Lavoce.info

Tutta colpa dell’austerità?

Le politiche di austerità sono le uniche responsabili della crescita più bassa delle attese nei paesi europei? Il dibattito dura dal 2010 e si fonda spesso su preconcetti ideologici. Mentre a guidarlo dovrebbe essere la ricerca di dati adeguati.

Due visioni opposte

A partire dal 2010, il dibattito sull’austerità in Europa è stato a dir poco acceso. Secondo alcuni, l’austerità è stata attuata troppo a ridosso della crisi finanziaria, è stata troppo draconiana e ha rappresentato l’unica (o quantomeno la principale) causa della prolungata recessione attraversata dalle economie europee.
Altri invece sostengono che i mercati avessero bisogno di un segnale di moderazione fiscale, almeno nel caso di paesi come Grecia, Italia, Irlanda, Spagna, Portogallo: lì, infatti, la mancata adozione di politiche di austeritàavrebbe avuto conseguenze ben peggiori. Le due differenti interpretazioni hanno implicazioni opposte su quale sia la miglior politica fiscale per i paesi ad alto debito.
La questione fondamentale – che non permette ai dati di dare un responso definitivo su posizioni dettate dall’ideologia – è che l’effetto della politica fiscale sulla crescita (il cosiddetto “moltiplicatore”) non è direttamente osservabile, ma deve essere misurato con la simulazione di modelli macroeconomici stimati.

Un moltiplicatore elevato, pari per esempio a 2, implica che un punto percentuale di aggiustamento fiscale riduca la crescita di 2 punti e rende difficoltosa la stabilizzazione del rapporto debito/Pil. Che sarebbe invece più facilmente realizzabile in presenza di un moltiplicatore basso, per esempio 0,2, che implica che un aggiustamento di un punto percentuale riduca la crescita solamente di 0,2.

Si noti che il moltiplicatore si chiama così perché nell’ambito della teoria keynesiana che l’ha introdotto questa grandezza è considerata maggiore di 1. In tale teoria, se il governo commissiona un nuovo ponte a Genova, salgono i profitti della società Autostrade e dei suoi lavoratori, i quali spenderanno la parte non risparmiata e non tassata dei loro redditi aggiuntivi riempiendo di più il carrello della spesa. Il che a sua volta farà salire i profitti della grande distribuzione – redditi che saranno a loro volta parzialmente spesi. E così via. L’aumento complessivo del Pil diventa quindi un multiplo dell’intervento infrastrutturale necessario per costruire il ponte. Ma la teoria keynesiana non considera che la più alta spesa pubblica di oggi implica una più alta tassazione futura per impedire al debito di esplodere. E le aspettative di più alta tassazione futura, con l’aumento dell’incertezza che questa comporta, possono avere effetti di contrazione della domanda di lavoro e di riduzione dell’investimento delle aziende. Anche in assenza di una più alta tassazione futura l’effetto espansionistico dell’aumento della spesa pubblica potrebbe essere compensato da un più alto costo di finanziamento del debito, a causa del maggior rischio di default di un debito pubblico più elevato. I più alti costi di finanziamento avrebbero di nuovo un effetto di contrazione su consumi e investimenti, che contrasta la spinta espansiva dell’incremento della spesa pubblica.
L’evidenza empirica indica che il moltiplicatore tende a essere inferiore a 1 e molto eterogeneo, perché a diversi tipi di aggiustamento fiscale corrispondono diversi moltiplicatori. In circostanze particolari, e rare, si è evidenziato persino un moltiplicatore negativo che ha dato adito alla teoria della cosiddetta “austerità espansiva”.

Leggi anche:  Tre regali contabili per la Nadef 2023*

Le previsioni sbagliate dell’Fmi

Il dibattito è stato inasprito da un documento del Fondo monetario internazionale, firmato da Olivier Blanchard e Daniel Leigh e pubblicato nel 2013 nella sua prima versione, che ha studiato la relazione empirica tra gli errori di previsione per la crescita nel biennio 2010-2011 e il consolidamento fiscale pianificato sulla base dei modelli del Fondo all’inizio dello stesso periodo per 26 stati europei.

Il risultato principale dello studio è che a ogni punto percentuale in più di consolidamento fiscale si è associata una crescita più bassa dell’attesa di 1,1 punti percentuali. L’interpretazione naturale del dato è che la risposta dell’economia alla restrizione fiscale è stata più intensa di quanto si aspettasse l’Fmi quando ha formulato le previsioni. In altre parole, le indicazioni di austerità auspicate dal Fondo monetario erano basate su un modello che non ha colto in maniera corretta la risposta effettiva delle economie europee alle politiche fiscali restrittive.

I risultati di Blanchard e Leigh sono poi stati estesi da Antonio Fatas e Larry Summers, i quali sostengono che, se le recessioni durano a lungo, gli effetti recessivi (sottostimati) dell’austerità avranno effetti duraturi sulla crescita.

Altri fattori in gioco

Tuttavia, sono possibili altre interpretazioni dei risultati di Blanchard e Leigh e la responsabilità della crescita più bassa di quella attesa può essere attribuita a diversi fattori.

In altre parole, nonostante le numerose variabili in gioco (specialmente le crisi bancarie e il panico nei mercati finanziari), la colpa è posta interamente sull’austerità stessa. Modelli macroeconomici come quelli usati dall’Fmi forniscono previsioni attendibili in periodi relativamente tranquilli. Ma in periodi di estrema incertezza, crisi bancarie e rischio di insolvenza, sono spesso inaffidabili. Considerare l’austerità come l’unico potenziale colpevole delle differenze osservate tra queste “inattendibili” previsioni e la realtà non lascia spazio ad altre spiegazioni. Ad esempio, si consideri la possibilità che l’austerità sia adottata a causa della paura di una crisi del debito e di un picco nel costo di finanziamento del deficit in un paese che ha vissuto una grave crisi del sistema bancario (si pensi a Spagna e Irlanda). Per finanziarne il salvataggio sono necessari considerevoli disavanzi di bilancio, che a loro volta richiedono pesanti misure di austerità per proteggere il paese da una crisi di fiducia potenzialmente contagiosa. Di fatto, una simile crisi si è verificata quando la Grecia ha annunciato i suoi problemi di misurazione del deficit pubblico: di conseguenza, l’austerità sembra essere legata al picco dei tassi di interesse europei a lungo termine, generati dalla crisi del debito greco. L’improvviso aumento dei tassi potrebbe aver causato gli errori di previsione della crescita. Infatti, prima della crisi dei debiti sovrani europei, si è prestata poca attenzione alla cosiddetta “spirale catastrofica”, generata dalla presenza cospicua di titoli di stato nei bilanci delle banche. Si è quindi avuta una contrazione del credito, dato che il calo dei prezzi dei titoli di stato ha portato a una riduzione del valore del capitale delle società bancarie. In una verifica empirica in cui gli errori nelle previsioni sulla crescita del Pil sono spiegati dalle misure di austerità, è molto difficile districare (o, per essere più precisi, identificare) il ruolo dell’austerità dall’effetto che un rapido incremento dei tassi di interesse a lungo termine ha sulla produzione, e distinguerlo dalle conseguenze inattese (e non descritte dal modello) che l’austerità produce sull’attività di credito del sistema bancario.

Leggi anche:  Nasce il nuovo Patto di stabilità e crescita*

In un libro che ho scritto con Alberto Alesina e Francesco Giavazzi mostriamo che l’impatto stimato dell’aggiustamento fiscale sugli errori di previsioni della crescita si dimezza quando si considera l’effetto della variazione dei tassi di interesse a lungo termine sulla recessione non prevista dall’Fmi nelle economie europee.

La difficoltà di interpretare i risultati dell’evidenza empirica di Blanchard e Leigh è testimoniata da un recente studio della Banca centrale europea che raccoglie informazioni dettagliate su quali fossero i moltiplicatori della politica fiscale stimati prima della crisi dalla Commissione europea e li trova molto bassi (circa 0,25) e, pur confermando la linea interpretative di Blanchard e Leigh che i moltiplicatori realizzati siano stati più alti di quelli attesi, li colloca a un valore “non eccezionalmente alto” (“not exceptionally large”) – 0,67 – escludendo i valori superiori all’unità indicati dallo studio Fmi.

Il dibattito illustra la difficoltà di utilizzo dell’evidenza empirica per valutare differenti visioni ideologiche sugli effetti della politica fiscale e la facilità con cui i dati possano essere utilizzati a supporto di preconcetti ideologici.

Le discussioni sui moltiplicatori fiscali basate su pochi dati o, ancor peggio, su nessun dato sono surreali. La risposta intellettualmente onesta all’incertezza nella relazione tra aggiustamento fiscale e crescita sta nell’accrescere la quantità dei dati utilizzati per l’analisi dell’effetto delle politiche fiscali e nel considerare in maniera più attenta la composizione di queste ultime.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Tre regali contabili per la Nadef 2023*

Precedente

Nove motivi per non chiudere i negozi di domenica

Successivo

Rebus pensioni

10 commenti

  1. Savino

    Ma non ci vergognamo di aver fatto durare una “crisi” più della prima e della seconda guerra mondiale messe assieme?
    Non mi pare che la società italiana sia “pancia a terra” per recuperare dagli effetti della “crisi” se si parla di azzerrare anche quel poco di lavoro domenicale esistente.
    E, poi, di “moderazione fiscale” ne abbiamo avuta fin troppa tra evasioni, elusioni e condoni vari. La “moderazione fiscale” deve fare i conti con la pazienza di quelle mosche bianche che, soprattutto tra i lavoratori dipendenti o ex tali, hanno sempre pagato fino all’ultimo centesimo e proprio non possono essere trattati come cittadini di serie b.

  2. bruno puricelli

    Mi scusi prof. Favero, pensavo che per moltiplicatore si potesse intendere di quanto un investimento potesse crescere nell’anno e, successivamente, negli anni successivi. In questo caso è comprensibile un moltiplicatore frazionale altrimenti converrebbe non investire. Mi pareva d’aver letto che il capitale prestato dalle banche si moltiplicasse per 5, 6 o più volte. E’ un’altra cosa? Ancora, se la disponibilità di investire 100 in Italia, mi fa raccogliere altri 200 e con tale capitale inizio una produzione che mi fa fatturare 80/a per tanti anni, cosa posso dedurre riguardo al Pil e al moltiplicatore?. Comunque grazie per l’argomento.

  3. Savino

    Responsabile della mancata crescita è la mentalità provinciale all’italiana in un contesto globale, nel governare i problemi, nel fare impresa, nel fare sindacato, nel fare formazione, nel fare accademia, nel fare società, nel fare risparmio, nel fare famiglia.
    All’italiana non si vincono neanche più le partite di calcio, figuriamoci rendere competitivo e produttivo il sistema Paese.

  4. Marcello Romagnoli

    Mi domando allora perchè si è voluto e si vuole ancora perseguire una linea di austerità se questa, nei fatti, non ha dato soluzione al problema della crisi economica….Mistero di Pulcinella.

    • Giovanni

      Dove vede l’austerità? Siamo in deficit da anni e continuiamo a chiedere maggiore flessibilità.

  5. Maurizio

    Concordo con la sua conclusione di avere maggiori/migliori analisi in merito. In merito, dato che personalmente interpreto il moltiplicatore negativo come un indice del fallimento dello Stato, secondo lei esiste una correlazione tra moltiplicatore negativo e indicatori del livello di corruzione e/o dell’inefficienza della burocrazia?

  6. Giacomo Cambiaso

    Conclusione logica per un dibattito sterile. Austerita’ si o no, interventismo si o no, debito si o no. Tutto strumentale ed inutile, L’austerita’ e’ depressiva in quanto tale se non accompagnata da stimoli alla crescita. Gli stimoli monetari sono inutili se servono a sostenere consumi e dividendi piuttosto che produzione e lavoro. Il debito e’ sempre tossico che si usa per finanziare attivita’ improduttive o ancora peggio di mero consumo. Gli americani hanno imboccato la strada opposta eppure le montagne di debito prodotte nell’ultimo decennio hanno dato vita alla ripresa piu’ fittizia ed anemica della storia degli USA. L’UE ha preteso di ridurre la spesa impoverendo invece di razionalizzare i costi. Le politiche di stimolo monetario sono state usate per investire all’estero, nei mercati borsistici o peggio ancora per rifinanziare debiti insostenibili. La verita’ e’ che la classe dirigente, sia essa americana o europea, ha gonfiato ancora di piu’ il debito senza rilanciare minimamente le attivita’ produttive. Invece di rilanciare i guadagni dei consumatori li ha indotti ad indebitarsi ulteriormente, a bruciare i risparmi ed il tutto a fronte di una situzione piu’ precarizzata di quella di 10 anni fa. L’enorme debito ha solo trasferito ricchezza nelle tasche dell’1% dal 99% al quale e’ stato solo lasciato un maggior onere. Prima o poi verra’ la prossima recessione e potremo testare i reali risultati delle sconsiderate politiche degli illustri esperti FMI, FED, UE, BCE, ecc…

  7. Michele

    Nel dibattito sui moltiplicatori keynesiani non si parla quasi mai della qualità della spesa o del consolidamento fiscale. Eppure appare evidente che esiste spesa e spesa e che austerità può essere implementata in modi molto diversi, più o meno efficaci, più o meno dannose per la crescita. È come curare un malato prendendo come riferimento unicamente i chilogrammi di medicine somministrate, senza tenere conto di quale principio attivo contengono

  8. marco molgora

    Primo punto “Le discussioni sui moltiplicatori fiscali basate su pochi dati o, ancor peggio, su nessun dato sono surreali. La risposta intellettualmente onesta all’incertezza nella relazione tra aggiustamento fiscale e crescita sta nell’accrescere la quantità dei dati utilizzati per l’analisi dell’effetto delle politiche fiscali.” Quando il lettore azzarda sue conclusioni senza i dati, compie un errore metodologico significativo.
    Nella metafora medica è come se la persona che si recasse dal medico decidesse lui la cura.
    Secondo punto: Come lettori, se non vogliamo cadere nell’arroganza intellettuale, siamo condannati alla sola lettura silenziosa di articoli perché non abbiamo tempo, dati, strumenti e competenze per analisi econometriche.
    Se ci rechiamo dal medico per un problema di salute ci mettiamo al suo cospetto passivi e senza intelligenza?
    Possiamo fare 2 cose leggendo un articolo divulgativo di uno specialista
    A. Costruire una modellizzazione logica. Ad esempio se un lettore sa come come funziona un modelle econometrico, può dire ma avete considerato nelle vostre analisi, gli effetti della composizione della spesa fiscale, di variabili “poco misurabili” come la corruzione e chiedere all’esperto delle risposte in merito fondate su dati.
    B. Esporre la situazione e fare delle domande all’esperto di economia, Queste attività aiutano a fare pensare l’esperto; per uscire dai tecnicismi e per avere chiaro che il suo compito di esperto non è autoreferenziale.

  9. marcello

    Mi sembra che la conclusione dell’articolo rimandi a quello che diceva Siro Lombardini: datemi pacchetto di dati e 24 ore, sarò in grado di dimostrarvi una cosa e il suo contrario”. Ciò detto che nell’eurozona ci siano state politiche non espansive mi sembra evidente. Non voglio rievocare l’austerità espansiva, ma le conseguenze di queste scelte della Commissione sono evidenti. Negli USA di Obama si è fatto altrimenti e i risultati sono stati diversi. Si può sempre dire che non c’è stata abbastanza austerità, ma resta il fatto che i ns dipendenti pubblici sono molti meno di paesi europei simili, che il prof Giarda alcuni anni fa diceva che orami da tagliare era rimasto ben poco e sono d’accordo con lui. Per converso la sanità è in condizioni pietose, medici bravi, spesso eccelleenti in strutture fatiscenti, la scuola non è in grado nenache di garantire la sicurezza strutturale degli immobili dove studiano i ns figli, l’università ha un bilancio doppio della sola harvard, e i frndi ricerca sono ridicoli, se esistono, le infrastrutture sono al collasso e la manutenzione straordinaria non esiste. Negli ultimi 10 anni queste disfunzionalità sono cresciute al punto di paventare il collasso dell’intero sistema. Abbiamo perso 10 punti di PIL e 25% di capacità produttiva, forse, ma solo forse, era meglio accrescere la domanda aggregata, anche in deficit, perchè, in assenza di crowding out, fino a prova contraria il problema è il pagamento degli interessi o sbaglio?

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén