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A ciascun debito la sua ristrutturazione

Il nuovo piano concordato tra i governi dell’Eurozona prevede l’allungamento delle scadenze del debito greco ed esclude per ora riduzioni del suo valore nominale. Ma ogni rinegoziazione di debito sovrano ha caratteristiche specifiche, di cui tener conto.

Il nuovo accordo con la Grecia

Il 22 giugno, i governi europei hanno rinegoziato un accordo che prevede l’allungamento delle scadenze del debito greco e la concessione di nuove risorse finanziarie, ma esclude la riduzione del valore nominale del debito a scadenza. Christine Lagarde, direttore operativo del Fondo monetario internazionale, ha apprezzato il piano, tuttavia ha anche sottolineato qualche “riserva in merito alla sostenibilità di lungo periodo del debito greco”. A sua volta Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea, ha sottolineato “la disponibilità dei ministri delle finanze di considerare misure future (…) nel caso in cui si manifestassero delle difficoltà economiche in futuro”.

È ormai riconosciuto che le caratteristiche specifiche di ogni rinegoziazione di debito sovrano sono determinanti e possono avere conseguenze importanti anche a lungo termine. Negli ultimi anni, è sorta una letteratura specifica che considera l’eterogenità che caratterizza le varie strategie di ristrutturazione e il tipo di rimborso specifico di ogni paese.

Di particolare interesse, per esempio, è distingure le ristrutturazioni di debito sovrano che avvengono con creditori privati (banche e individui) rispetto a quelle con creditori ufficiali (altri governi o istituzioni multilaterali). Le ristrutturazioni ufficiali sono generalmente gestite attraverso il cosiddetto gruppo di Parigi, che dovrebbe garantire un approccio più “consensuale”, meno traumatico, rispetto a quelle con creditori privati.

Nelle ristrutturazioni con creditori privati, gli accordi negoziati prima della dichiarazione di default da parte del paese debitore sono più frequenti, più veloci da concludere ed associati a perdite di output inferiori. Al contrario, fallimenti associati a relazioni più aggressive tra creditori e debitori (hard default), comportano maggiori perdite di output. Secondo Carmen Reinhart e Christoph Trebesch – che hanno analizzato ristrutturazioni di debito sia private (avvenute sotto il piano Brady) sia ufficiali (paesi europei durante gli anni Trenta – solo gli accordi che comportano riduzioni di debito nominale sono in grado di migliorare la situazione economica nei paesi coinvolti, mentre non vi riescono altre forme di rinegoziazione, quali l’allungamento delle scadenze o la riduzione dei tassi di interesse.

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Per quanto riguarda le ristrutturazioni ufficiali, Gong Cheng, Javier Diaz-Cassou e Aitor Erce mostrano che gli accordi del club di Parigi possono avere un effetto positivo e significativo sulla crescita, ma solo nel caso in cui prevedano dei tagli nel valore del debito nominale.

Uno studio su cinquecento ristrutturazioni

In un nostro recente lavoro confrontiamo l’effetto sulla crescita di ristrutturazioni di debito “private” e “ufficiali” (sia con che senza riduzione di valore nominale), valutando simultaneamente i due tipi di accordo.

Abbiamo analizzato circa cinquecento episodi avvenuti tra il 1975 e il 2014 e ne abbiamo concluso che le ristrutturazioni private e ufficiali possono avere effetti molto diversi sulla crescita, anche nel lungo periodo. Mentre quelle private sono in genere associate a crescita più bassa sia durante gli anni della crisi che a lungo termine, per le ristrutturazioni ufficiali non osserviamo una riduzione dell’output né durante né dopo la crisi finanziaria (figura 1).

Figura 1 – Effetto medio delle ristrutturazioni private e ufficiali

Nota: Le linee continue rappresentano il Pil pro capite medio di un campione di Paesi debitori nei confronti di creditori privati ed ufficiali. Le linee tratteggiate mostrano il livello di Pil pro capite che tali Paesi avrebbero raggiunto in mancanza della crisi finanziaria.
Fonte: Marchesi e Masi (2018).

Al contrario, quando le ristrutturazioni ufficiali sono associate a riduzioni del valore nominale del debito, i paesi debitori beneficiano di un aumento della crescita, sino al 2 per cento, che può protrarsi nei dieci anni successivi all’ultimo accordo (figura 2).

Figura 2 – Evoluzione dei tassi di crescita dopo l’uscita da una crisi di debito

Nota: i coefficienti mostrano l’evoluzione della dimensione, del segno e della significatività dei coefficienti (ottenuti con stime Gls) che mostrano l’andamento della crescita economica dopo l’uscita da un default associato a una riduzione del debito nominale da parte di creditori privati ed ufficiali.
Fonte: Marchesi e Masi (2018).

I nostri risultati indicano l’importanza di considerare il modo e anche il “clima” in cui le ristrutturazioni di debito vengono realizzate. In particolare, se siano o meno caratterizzate da rapporti consensuali tra debitori e creditori. Quando gli accordi di ristrutturazione (ad esempio quelli ufficiali gestiti dal cub di Parigi, ma anche quelli concordati sotto il piano Brady) sono di “soft” default, l’evidenza empirica suggerisce che non implicano un costo in termini di crescita per i paesi debitori. Anzi, le rinegoziazioni possono addirittura stimolarla quando comportano una riduzione del valore nominale del debito

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Poiché circa l’80 per cento del debito greco, dopo i precedenti salvataggi, è ormai stato trasformato in debito verso creditori ufficiali i nostri risultati possono dare indicazioni utili sull’opportunità di concedere alla Grecia riduzioni del valore nominale del suo debito ufficiale nel prossimo futuro.

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  1. Nello Morena Belli Valetta

    Estremamente interessante ed approfondito. Termini più semplici (per noi barbari) e qualche dettaglio in più nei grafici renderebbero più semplice l’apprendimento.

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