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L’Europa che rallenta aspetta il traino tedesco

Prosegue la ripresa ma rallenta la crescita in Europa. Anche da noi cresce il Pil, come al solito meno che altrove. In caso di ulteriore rallentamento servirebbe una locomotiva tedesca che probabilmente non arriverà.

Nel secondo trimestre è proseguita piano la crescita europea e italiana

Nel secondo trimestre 2018 è proseguita la lunga ripresa dell’economia europea. Il Pil dell’Eurozona è salito dello 0,3 rispetto al trimestre precedente e del 2,1 per cento su base annua rispetto al secondo trimestre 2017. La musica è la stessa anche per l’Italia, sia pure attenuata, con una minor crescita congiunturale rispetto all’Europa (+0,2 per cento) e una crescita annua che si ferma al +1,1 per cento rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso.

La crescita europea è in rallentamento rispetto al secondo semestre 2017: il +2,8 del terzo e quarto trimestre 2017 hanno lasciato il campo a più modesti +2,5 nel primo trimestre e il +2,2 registrato nel secondo trimestre. Non si può dimenticare tuttavia che, malgrado tutto, l’economia europea è ormai arrivata al ventunesimo trimestre di crescita consecutiva. Se per l’anno in corso saranno confermate le previsioni contenute nel più recente Oecd economic outlook di giugno 2018, durante l’attuale ripresa – iniziata nel 2013 – il Pil dell’Eurozona sarà aumentato mediamente dell’1,6 per cento, con qualche variabilità tra i grandi paesi dell’area. Nella parte alta della forchetta si trovano Germania (con +1,7) e Spagna (con +2 per cento). Nella parte bassa della forchetta si trova la Francia, con un +1,3 per cento, e l’Italia che fa registrare un +0,5 per cento se il conteggio parte dal 2012 oppure +0,8 per cento se si comincia nel 2014, cioè da quando il Pil italiano ha cominciato prima a ristagnare e poi a crescere di nuovo. Il dato di fondo è che da noi la ripresa è arrivata dopo ed è stata più lenta che in altri paesi.

Il benessere delle persone non dipende però dal Pil ma – almeno in prima approssimazione – dal Pil pro capite. Grazie alla lunga ripresa, tedeschi e spagnoli godono oggi mediamente di un reddito pro-capite più alto – rispettivamente – del 7,4 e del 13,2 per cento rispetto al 2012. Numeri più modesti si osservano per i francesi (+5,3 per cento) e per gli italiani il cui reddito pro-capite è salito rispetto al 2012 ma solo del 2,9 per cento (e dopo essere diminuito quasi del 10 per cento negli anni precedenti).

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La ripresa ha raddrizzato i conti pubblici, ma…

Rispetto al 2012, tutti i grandi paesi dell’Eurozona mostrano deficit pubblici in calo. La Germania ha addirittura trasformato un sostanziale pareggio di bilancio in un surplus per 1,4 punti di Pil, grazie alla riduzione di un punto per la spesa per interessi ma anche facendo salire di quasi mezzo punto il suo avanzo primario. La Spagna che nel 2012 aveva salvato il suo sistema bancario vedrà scendere il suo deficit da 10,5 (dato 2012) a 2,4 punti di Pil nel 2018. Nel caso della Spagna il bonus da minori interessi sul debito pubblico è quasi assente. Il grosso della riduzione del deficit deriva dal sostanziale azzeramento del disavanzo primario (era 8,3 punti di Pil nel 2012 ed è ora diventato un piccolo avanzo).  La Francia dovrebbe analogamente completare il rientro del deficit al di sotto del limite del 3 per cento, un po’ grazie al calo della spesa per interessi e un po’ grazie al calo del disavanzo primario. L’Italia che in questo periodo di tempo non ha mai superato la soglia del 3 per cento dopo il 2012, dovrebbe chiudere il 2018 con un deficit dell’1,8 per cento e un avanzo primario pari all’1,7 per cento del Pil – un po’ inferiore a quello del 2012.

…ci vorrebbe la locomotiva tedesca

La buona notizia che proviene da questi dati è che nel caso di un ulteriore rallentamento dell’economia europea i governi dei grandi paesi sono meglio posizionati nel sostenere le loro economie perché partono da situazioni di deficit molto almeno un po’ migliori rispetto a quelle del 2012. Ma come già nel 2008-09 non tutti i paesi sono nella stessa situazione di conti pubblici. C’è chi come la Germania parte da un rapporto debito-Pil che secondo l’Ocse convergerà al 60 per cento del Pil. Ma c’è anche un paese come l’Italia che presenta oggi un rapporto debito-Pil più che doppio rispetto a quello della Germania e più alto di quello del 2012, con Spagna e Francia a metà strada con un rapporto debito-Pil non troppo lontano dal 100 per cento. Francia e Spagna sono cresciute più dell’Italia facendo più deficit in questi anni. Ma lo hanno fatto facendo salire il loro rapporto debito-Pil in misura rilevante (la Spagna aveva un rapporto debito-Pil del 36,4 per cento nel 2007!). Nel caso di una recessione, dunque dovrebbe essere la Germania ad attuare una politica fiscale super-espansiva perché gli altri europei non possono veramente permetterselo. Ma con le elezioni europee che si avvicinano, il vento non soffia in favore di una Germania che diventi locomotiva di Europa.

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Anas-Fsi, troppo grande per non creare perplessità*

  1. Savino

    Il carico è appesantito dalla zavorra del vagone italiano, non più trainabile poichè colmo di tonnellate di piombo ed altri metalli pesanti. Non si possono accampare scuse dell’abbondanza della manifattura, dell’export, del made in Italy, dell’enogastronomia. I metodi italici, che rendono l’economia nostrana ingolfata, stanno infettando il resto d’Europa e del mondo. Siamo evidentemente nelle condizioni di nuocere anche l’economia globale oltre alla nostra. L’Italia ed il suo gattopardismo sono un problema serio. L’Italia è il vero cigno nero da evitare per l’economia globale.

  2. Piero

    Egregio Daveri, pur essendo io quel che voi definireste un polulista, avendo apprezzato l’ultima parte del suo articolo su Spagna Francia e Germania.. mi permetto di allegarle un mio commento (postato in altro vostro articolo) che rappresenta (x me) il fondamento sopra il quale emergono gli effetti che lei descrive………..
    La Produttività CUMULATA (ovvero: NON la VARIAZIONE di anno in anno che tutti citano sempre nei vari studi) nei paesi sviluppati è CRESCIUTA molto anche negli ultimi 30 anni, però si è aperto un Gap enorme con i Salari a causa di molti fattori (accelerazione tech sostituisce lavoro, globalizzazione amplia esercito di lavoratori a basso costo sostituibili, distruzione dei sindacati e del potere negoziale, flessibilizzazione cioè precarizzazione di massa per es MiniJob in Germania o WorkingPoors in Us dove dipendenti WallMart accedono a sussisi pubblici x integrare). Da questo Gap Strutturale nascono i vari cosî detti Populismi AntiElite (Trump, Brexit, LegaM5S, Afd, Lepen, Destra Austriaca, etc). Purtroppo impoverimento / inequality delle masse in occidente aumenterà ancora: ed aumenteranno pure Debiti Mondiali x finanziar Domanda Senza Salari. Ed a catena aumenteranno anche i Qe x evitar Default Sistemici (dopo un Panico da Tappering) e rallentare un poco la Deflazione Salariale.

  3. Maurizio Cocucci

    Osservando gli scambi bilaterali con la Germania, ns. partner principale, emerge che quanto si afferma spesso in giro riguardo la nostra presunta minore competitività sui mercati esteri causa appartenenza alla zona euro e sua introduzione è privo di fondamento. Nel 2007, ovvero prima dell’avvento della prima parte della crisi finanziaria e poi economica, noi abbiamo esportato in Germania beni per 44,7 mld di euro, mentre abbiamo importato beni per 64,5 mld, pertanto un disavanzo di circa 20 mld. (dati dell’Istituto di Statistica Federale) Nel 2014 i valori sono stati rispettivamente di 48,5 e 54,2 mld. Ho preso i dati del 2014 perché da quell’anno i salari hanno cominciato a salire e di conseguenza i consumi interni in Germania con ripercussione anche sulle importazioni. Nel 2017 noi siamo riusciti ad esportare in Germania beni per poco meno di 56 mld e importato per 65,5 mld. Da questi dati si evince come la Germania abbia recuperato la ‘perdita’ seguente la crisi l’anno scorso e superando il dato per un solo miliardo, mentre noi al contrario abbiamo recuperato già prima del 2011 e l’anno scorso come si può vedere dai dati riportati superato il dato del 2007 di ben 11 mld. L’incremento in percentuale dal 2014 (quando i salari in Germania hanno iniziato una crescita in termini reali) è risultata maggiore del dato medio (1.032 mld nel 2017 vs 910 nel 2014). Rimane però il fatto che il deficit commerciale aumenta e quindi in termini bilaterali si ripercuote negativamen sul PIL.

  4. Michele

    Si conferma una volta di più la solita situazione italiana: quando l’Europa cresce, l’Italia cresce della metà. In sutuazione negativa in Italia la crisi è più profonda. La precarizzazione del lavoro non ha aumentato la produttività delle imprese italiane, che è rimasta stagnante, malgrado tutte le ideologie contro i diritti dei lavoratori. Dopo i governi Berlusconi che ci hanno portato sull’orlo del default, i governi Renzi e Gentiloni hanno sprecato gli anni buoni della congiuntura internazionale e quindi il debito pubblico non è diminuito. Ad una molto probabile correzione ciclica l’Italia si presenta inerme e con un governo che ha illuso gli italiani con l’impossibile.

  5. Henri Schmit

    Non si potrebbe mettere in discussione l’ultima frase e immaginare che il governo tedesco promuova una politica domestica più espansiva proprio per mortivi elettorali; la SPD sicuramente non si opporrebbe …. Una tale politica favorirebbe l’Italia doppiamente, come traino di un’economia correlata e come modello di politica fiscale meno rigido. Lo dobbiamo escludere perché è già tutto deciso da maggio (budget 2018, obiettivi 2019 e piano fino al 2022)? On 6 July 2018, Germany’s federal cabinet adopted the government draft for the 2019 federal budget and the financial plan to 2022. To lay the foundations for tomorrow’s prosperity, the German government is significantly raising its investment in the country’s future. A total of €151.6 billion in investment spending is planned for the four years from 2019 to 2022. This is a record high that adds €8.4 billion to the benchmark figure adopted in May 2018 and nearly €16 billion to the amount projected in last year’s financial plan. This means that investment levels will remain consistently high for the entire period covered by the new financial plan, at €37.9 billion per year. A particular focus will be placed on infrastructure, education, housing and digital technology. https://www.bundesfinanzministerium.de/Content/DE/Pressemitteilungen/Finanzpolitik/2018/07/2018-07-06-PM-Haushalt2019.html

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