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La formula giusta per dare credito alle piccole imprese

Non occorre ridiscutere gli accordi di Basilea sui rating. Per dare credito alle piccole aziende c’è una soluzione: intervenire sulla formula che misura la risposta del portafoglio prestiti della banca a fattori di rischio non eliminabili con la diversificazione.

Un problema conosciuto

Il contratto stipulato fra Movimento 5 stelle e Lega al punto 5 (“Banca per gli investimenti e risparmio”) contiene alcuni rilevanti obiettivi di natura economica e finanziaria. In particolare, il governo vorrebbe ridiscutere gli accordi di Basilea sui rating che “creano grave pregiudizio alla sopravvivenza e allo sviluppo del tessuto della micro impresa italiana”.

Hanno torto o ragione i due partiti di governo a ritenere che le imprese di piccole dimensioni siano discriminate dalle banche e che il fenomeno dipenda dalla regolamentazione introdotta dal Comitato di Basilea?

In parte hanno ragione, ma l’intervento politico dovrebbe focalizzarsi su un aspetto diverso dal rating delle imprese cui si accenna nel contratto. In realtà, il Comitato di Basilea e il Parlamento europeo, i presunti colpevoli, sono consapevoli del problema e hanno già proposto alcune soluzioni.

Già nel 2001, il cancelliere tedesco Gerhard Schröder definì “inaccettabile senza modifiche rilevanti” la bozza di Accordo di Basilea 2 perché la riteneva penalizzante per le PMI. Il problema nasceva dall’avere legato in maniera eccessivamente meccanica i requisiti patrimoniali delle banche alla rischiosità dei prestiti alla propria clientela, quest’ultima stimata con i modelli di rating. E quando i prestiti sono fatti alle micro e piccole imprese, la banca assorbe più capitale a causa della loro maggiore rischiosità rispetto alle imprese di grandi dimensioni. In questo senso, l’incentivo a prestare alle micro e piccole imprese si riduce. Le pressioni politiche per una revisione dell’Accordo sul requisito patrimoniale portarono a stabilire la regola per cui i prestiti al dettaglio (prestiti inferiori a 1 milione di euro) avessero un trattamento di favore e le banche potessero usufruire di uno sconto del 25% sul patrimonio di vigilanza per questo tipo di prestiti. La regolamentazione, dunque, riconobbe il vantaggio di fare prestiti a un numero elevato di imprese perché l’elevata diversificazione che queste consentivano avrebbe limitato l’impatto del fallimento di alcune di loro sulla stabilità della banca.

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Il problema si è riproposto con la crisi finanziaria e la richiesta alle banche di aumenti di capitale per rafforzare il patrimonio di vigilanza. Il costo degli incrementi patrimoniali avrebbe potuto generare l’effetto indesiderato di un aumento del costo del credito da erogare alle piccole e micro imprese. La soluzione al problema, tuttavia, non è, come sembra chiedere il governo, nella correzione dei modelli di stima dei rating che, al contrario, devono essere sempre più adeguati a riconoscere il rischio delle controparti creditizie.

La risposta è arrivata nel 2013, quando il Parlamento Europeo è intervenuto con il regolamento 575, che all’articolo 501 ha previsto un fattore di sostegno per il credito alle imprese con un fatturato inferiore a 50 milioni di euro. La misura neutralizza l’incremento patrimoniale delle banche e stimola il credito concesso alle PMI.

Altri rischi da cui guardarsi

I correttivi adottati, tuttavia, non eliminano i problemi legati alla dimensione dell’impresa e le preoccupazioni alla base dell’obiettivo dichiarato dal nostro governo sono motivate.

Il rischio di credito delle banche, infatti, è influenzato anche da quanto le esposizioni siano correlate tra di loro, cioè da quanto si muovano insieme, soprattutto in risposta a eventi non prevedibili (asset correlation). E l’intensità e la direzione di questo movimento possono variare a seconda della loro dimensione e della ciclicità economica. E’ un po’ come la percezione del caldo e del freddo: siamo sensibili a entrambi ma ognuno di noi in modo diverso e, soprattutto, con effetti diversi sulla salute. I bambini (micro e piccole imprese) si ammalano più frequentemente (maggiore rischio) e si spende di più per la loro salute (assorbimento di capitale), perciò bisogna evitare che si ammalino in massa. Ma non per questo bisogna avere meno figli. Diversi lavori empirici hanno dimostrato come Basilea abbia calibrato in termini inadeguati questo fattore, e soprattutto non abbia tenuto conto che essere in estate (crescita economica) o in inverno (recessione) non è la stessa cosa. In questo senso, gli effetti pro-ciclici che voleva ridurre rischiano di amplificarsi.

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Il governo italiano potrebbe proporre un correttivo alla formula regolamentare relativamente alla stima di questa correlazione, in particolare nelle fasi recessive, tale da non distorcere il calcolo del requisito patrimoniale per i prestiti alle micro e piccole imprese. Probabilmente avrebbe dalla sua parte anche paesi, come la Germania, che già in passato hanno cercato di condizionare le decisioni regolamentari a tutela degli interessi delle imprese di minori dimensioni

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  1. Savino

    La platea dei mediatori creditizi è troppo ristretta e non sempre in linea con il volume di ricchezza espresso in concreto nel Paese. Bisogna trovare formule, mirate al piccolo credito e alle aspettative imprenditoriali dei giovani e delle start-up, che agevolino l’estensione della platea di chi possa prestare danaro, intercettando ricchezza oggi sterile ed introducendo modelli pattuali e fiduciari.

  2. Henri Schmit

    Da non esperto dei parametri Basilea 2 mi domando qual è la spiegazione e la giustificazione dell’affermazione centrale: “E quando i prestiti sono fatti alle micro e piccole imprese, la banca assorbe più capitale a causa della loro maggiore rischiosità rispetto alle imprese di grandi dimensioni”. Statisticamente può essere vero, ma logicamente non è necessariamente così: a capitalizzazione e redditività uguale la banca finanzierebbe con minor rischio 10 PMI o 100 micro-imprese piuttosto che una grande, perché diversificherebbe il rischio (come l’articolo e a quanto sembra pure la regolamentazione vigente riconoscono, fatto salva la correlazione fra più rischi). Inoltre per piccoli finanziamenti garanzie personali e reali dei soci possono coprire tutto il rischio e di fatto lo fanno spesso, mentre tale ipotesi è esclusa per le medio-grandi. C’è qualcosa che mi sfugge.

  3. Marco

    Quali sono i lavori empirici che dimostrano l’inadeguatezza di Basilea II? Grazie

    • Giampaolo Gabbi

      I principali paper che mostrano i risultati su cui si basano le considerazioni del nostro articolo sono:
      Per Germania e Francia: Dietsch, M. and J. Petey 2004. Should SME exposures be treated as retail or corporate exposures? A comparative analysis of default probabilities and asset correlations in French and German SMEs. Journal of Banking and Finance 28, no. 4: 773–88.
      Per Italia: Gabbi, G. and P. Vozzella 2013. Asset Correlations and Bank Capital Adequacy. European Journal of Finance 19, no. 1: 55-74.
      Düllmann K. and H. Scheule 2003. Asset correlation of German corporate obligators: Its estimations, its drivers and implications for regulatory capital. Paper presented at Banking and Financial Stability: A Workshop on Applied Banking Research. Bank of Italy, mostrano come la relazione fra AC e PD in Germania è ambigua e non supporta quella regolamentare.
      Suggeriamo la review su questi studi che si trova in un paper (appendice A) della Bundesbank. Il link è:
      https://www.econstor.eu/bitstream/10419/148276/1/873235452.pdf

    • Giampaolo Gabbi

      I principali paper che mostrano i risultati su cui si basano le considerazioni del nostro articolo sono i seguenti. Per Germania e Francia: Dietsch, M. and J. Petey 2004. Should SME exposures be treated as retail or corporate exposures? A comparative analysis of default probabilities and asset correlations in French and German SMEs. Journal of Banking and Finance 28, no. 4: 773–88.
      Per Italia: Gabbi, G. and P. Vozzella 2013. Asset Correlations and Bank Capital Adequacy. European Journal of Finance 19, no. 1: 55-74.
      Düllmann K. and H. Scheule 2003. Asset correlation of German corporate obligators: Its estimations, its drivers and implications for regulatory capital. Paper presented at Banking and Financial Stability: A Workshop on Applied Banking Research. Bank of Italy. Rome. March.
      mostrano come la relazione fra AC e PD in Germania è ambigua e non supporta quella regolamentare.
      Suggeriamo la review su questi studi che si trova in un paper (appendice A) della Bundesbank. Il link è:
      https://www.econstor.eu/bitstream/10419/148276/1/873235452.pdf

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