Da gennaio 2019 i diesel Euro 0, 1, 2 e 3 non potranno più circolare a Milano. Il provvedimento non è giustificato dai dati sull’inquinamento prodotto da questo tipo di motori. Più ragion d’essere avrebbe semmai l’approccio “chi congestiona paga”.
Perché il blocco dei diesel non conviene a nessuno
Milano ha deciso. Dal 21 gennaio 2019 i veicoli diesel Euro 0, 1, 2 e 3 non potranno più entrare in città. Nel successivo mese di ottobre il blocco verrà esteso ai veicoli Euro 4 e, più tardi, agli Euro 5. Il sindaco ha parlato di una misura “delicata ma necessaria” aggiungendo, curiosamente, che “la filosofia dell’amministrazione comunale non è fatta di divieti”. Eppure, la misura adottata consiste esattamente in questo. Si tratta di un provvedimento inevitabile, efficiente ed equo?
Per rispondere alla prima domanda è forse utile analizzare lo scenario tendenziale ovvero che cosa è accaduto finora e quale sarebbe stata l’evoluzione del livello di inquinamento senza il provvedimento. Oggi, la principale preoccupazione legata all’uso di veicoli alimentati a gasolio è quella relativa alle emissioni di ossidi di azoto. Ma la concentrazione media di biossido di azoto registrata nelle stazioni della città metropolitana milanese è passata dai 120 microgrammi/m3 del 1990 a poco più di 40 nel 2016 (figura 1). Un radicale miglioramento che, stando ai dati contenuti nel Piano urbano della mobilità sostenibile di Milano, era destinato, anche in assenza di nuovi provvedimenti, a consolidarsi negli anni venturi grazie a un’ulteriore riduzione delle emissioni, dell’ordine del 75 per cento, conseguita attraverso il rinnovo del parco veicolare.
Figura 1– Concentrazione di biossido di azoto nella città metropolitana di Milano (1990 – 2016)
Fonte: Arpa Lombardia, Rapporto sulla qualità dell’aria della città metropolitana di Milano – Anno 2016
La tendenza trova conferma nel recente Piano regionale per la qualità dell’aria del Piemonte dove si può leggere: “Al 2030 si prevede una consistente e diffusa riduzione delle concentrazioni di biossido di azoto, legata alla prevista riduzione delle emissioni da traffico per le innovazioni tecnologiche ed il miglioramento dei carburanti (…). Il valore medio annuo non sarà superato e le concentrazioni rimarranno nell’agglomerato di Torino fra la soglia di valutazione superiore e il valore limite, mentre nella zona di pianura le concentrazioni saranno per lo più al di sotto della soglia di valutazione inferiore. Per quanto riguarda il numero di superamenti del valore limite orario, al 2030 non si avranno superamenti della soglia di valutazione inferiore su tutto il Piemonte”.
Sembra dunque difficile scorgere motivazioni di necessità e urgenza che possano giustificare la limitazione adottata da Milano.
Divieti e prezzi da pagare
Inevitabilmente, un provvedimento di divieto è “rozzo”. Pone infatti sullo stesso piano tutti coloro che posseggono un veicolo che appartiene alle classi interdette dalla circolazione, senza riguardo per l’utilità che ciascuno dei conducenti trae dallo spostamento. Utilità che invece, nella maggior parte dei casi, risulta essere di gran lunga superiore al danno arrecato dalle emissioni nocive. In base alle stime della UE, il costo esterno per chilometro percorso correlato alle emissioni reali di tutti gli inquinanti atmosferici, è compreso tra i 9,9 €ct per un’autovettura diesel Euro 0 (3,6 per una a benzina) e i 0,7 €ct per una Euro 6 (0,4 per quella a benzina) (figura 2).
Figura 2– Costi esterni unitari dell’inquinamento atmosferico in ambito urbano
Fonte: elaborazione su dati European Commission – Dg Move, 2014. Update of the Handbook on External Costs of Transport, Report for the European Commission
Se ad esempio ipotizziamo che in un giorno un’auto Euro 3 percorra venti chilometri, il costo esterno dell’inquinamento arrecato equivale a circa 50 centesimi, per i quali la collettività introita 1,5 euro di accise. L’attuale livello di prelievo fiscale è tale per cui sono interamente internalizzate tutte le esternalità ambientali e quella relativa all’incidentalità per tutti i veicoli a benzina – a eccezione dei pochissimi immatricolati oltre venticinque anni fa e ancora circolanti – e per quelli a gasolio di standard Euro 3 o più recente. Sotto il profilo ambientale non si ravvisano dunque ragioni per un inasprimento dell’attuale quadro regolatorio per la maggior parte delle auto oggi in uso.
Sebbene comunque sproporzionato alla luce dei dati, rispetto all’approccio milanese risulta preferibile quello adottato nella città di Londra: nessun divieto, ma un prezzo da pagare per accedere alla Ultra low emission zone pari a 12,50 sterline al giorno. Il prezzo non è “giusto”, ma quanto meno coloro che attribuiscono un elevato valore al proprio spostamento possono ancora effettuarlo senza essere costretti ad acquistare un nuovo veicolo. Al contempo, la collettività acquisisce risorse economiche proporzionali al numero di persone che continuano a utilizzare l’auto di cui sono in possesso.
La congestione ci danneggia più dell’inquinamento
Una diversa forma di esternalità che giustificherebbe l’adozione – o la revisione al rialzo ove già esistente – del pedaggio per l’utilizzo dell’auto nelle zone urbane più dense è quella rappresentata dalla congestione, il cui costo non internalizzato può superare nelle maggiori aree metropolitane i 2 euro per chilometro percorso (tabella 1). Qualche microgrammo in più o in meno di biossido di azoto non modifica in misura apprezzabile la speranza di vita – la popolazione di Milano è tra le più longeve di tutta l’Europa – ma, nell’arco di un’esistenza, l’eccesso di congestione rispetto al livello ottimale ci ruba in media alcuni mesi.
Tabella 1– Costi esterni unitari della congestione
Fonte: European Commission – Dg Move, 2014. Update of the Handbook on External Costs of Transport, Report for the European Commission
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