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Appalti: la discrezionalità può avere un limite*

Una maggiore discrezionalità permette alle amministrazioni di selezionare l’azienda più adeguata per realizzare una opera specifica. Ma non mancano i rischi, come una diminuzione della produttività e della trasparenza. Gli strumenti per evitarli.

Più flessibilità negli appalti

Nel nostro paese, circa due terzi dei contratti pubblici sono oggi aggiudicati attraverso procedure negoziate e affidamenti diretti. Si tratta di meccanismi che attribuiscono più flessibilità alle stazioni appaltanti nell’individuazione dell’impresa affidataria rispetto alle procedure competitive.

Accordare maggiore discrezionalità alle amministrazioni può facilitare la selezione del contraente più adeguato per la specifica opera da realizzare. In linea con le direttive europee del 2014, il nuovo Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 50/2016) muove in questa direzione, recependo molte delle istanze avanzate dagli esperti e dagli operatori del settore.

Una maggiore discrezionalità comporta, però, anche rischi di inefficienze e di favoritismo. Per quantificarne alcuni, ci siamo focalizzati sull’innalzamento della soglia di valore entro la quale è possibile ricorrere alle procedure negoziate per l’affidamento dei lavori pubblici. La soglia iniziale era infatti di 500 mila euro ed è stata portata a un milione di euro nel 2011.

Meno produttività e meno trasparenza

Utilizzando dati relativi alle gare per l’affidamento di lavori pubblici bandite dai comuni italiani nel periodo 2009-2013, abbiamo studiato gli effetti della riforma sulle caratteristiche delle imprese aggiudicatarie (Discretion and supplier selection in public procurement). Ci siamo basati sul confronto tra l’esito delle procedure di selezione sopra e sotto la soglia dimensionale di applicabilità delle norme, prima e dopo la loro introduzione.

Alla maggiore discrezionalità è associata una diminuzione della produttività media delle imprese aggiudicatarie (misurata come rapporto tra valore aggiunto e costo del lavoro nell’anno precedente l’affidamento dell’appalto). Ne sono scaturiti effetti negativi sulla distribuzione delle risorse, connessi con l’afflusso di fondi pubblici a imprese strutturalmente più deboli. L’effetto si osserva esclusivamente tra le stazioni appaltanti identificate come “meno qualificate” sulla base di indicatori di competenza e integrità (figura 1).

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Figura 1

Nota: la qualificazione è stata misurata aggregando i seguenti indicatori: il livello di istruzione di amministratori locali e personale in servizio presso l’amministrazione comunale; la trasparenza delle informazioni, definita come la quota di appalti risalenti al periodo precedente la riforma per i quali sono state trasmesse all’autorità competente le informazioni relative all’esecuzione del contratto; il rischio di corruzione, stimato combinando misure di frequenza dei reati contro la Pa, di percezione della corruzione e di fiducia nelle istituzioni locali.

L’ampliamento della discrezionalità delle amministrazioni si è anche associato a un aumento delle gare assegnate a imprese politicamente connesse, cioè che avevano tra i propri soci o amministratori individui con esperienze politiche a livello locale.
La maggiore flessibilità nella selezione dei contraenti ha comportato, inoltre, una riduzione della trasparenza del sistema: è, infatti, diminuita la quota di appalti per i quali sono stati rispettati gli obblighi di trasmissione delle informazioni relative alla fase di esecuzione del contratto (per esempio, i costi finali dell’opera). Laddove le informazioni sull’esecuzione dell’opera sono disponibili, la discrezionalità non risulta abbinata a differenze in termini di scostamenti di costo.

Per limitare i rischi connessi alla discrezionalità, il nuovo Codice dei contratti pubblici ha previsto, tra l’altro, l’introduzione di un sistema di qualificazione della committenza pubblica. Basato sulla raccolta e il confronto di dati sulle caratteristiche organizzative delle stazioni appaltanti e sui loro comportamenti pregressi, il sistema è volto a una razionalizzazione qualitativa dei processi di acquisizione, premiando i comportamenti virtuosi. A distanza di oltre due anni dall’entrata in vigore del Codice, tuttavia, non è ancora operativo.
È, inoltre, fondamentale assicurare che la maggiore discrezionalità si leghi a più elevati livelli di responsabilità del settore pubblico, in special modo migliorando la qualità delle informazioni raccolte in relazione alle varie fasi dell’appalto e rendendole più facilmente accessibili.

*Le opinioni espresse in questo articolo non coinvolgono l’istituzione di appartenenza degli autori.

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  1. Savino

    1) Abolire il termine appalto, ormai sporcato, e sostituirlo con “incarico a contratto” 2)Vietare le consulenze di ogni tipo (le Amministrazioni dovrebbero avere personale specializzato, in caso contrario se ne devono dotare reclutando giovani); 3) Progettazione unica con responsabilità ben definite in caso di difformità o cronoprogramma non seguito; 4) Definizione dettagliata delle competenze tra Enti sulla strategicità e necessità dell’opera; 5) Meccanismo che scarti idee troppo onerose, non credibili per sproporzionalità in alto o in basso, infruttuose, inutili, irrealizzabili, e non strategiche 6) No Enti o entità locali come stazioni appaltanti; 7) Rotazione continua di direttori dei lavori e collaudatori; 8) Abolizione dei lavori in somma urgenza

    • Henri Schmit

      Mi sembra molto più semplice: 1. Trasparenza totale prima, durante e dopo. 2. Responsabilità di chi decide. In Italia non è garantita né la prima né la seconda. La responsabilità dei privati è innacquata da una cultura giuridica formalistica che tutela i potenti e i furbi. La responsabilità dei rappresentanti pubblici è ai minimi livelli (meriterebbe un trattato a parte).

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