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Alitalia vola con l’aiuto di stato?

Il prestito ponte ad Alitalia è palesemente un aiuto di stato. Meglio avrebbe fatto il governo a dichiararlo subito tale. Avrebbe anche potuto dimostrare che serve a finanziare esorbitanti extracosti aziendali, non politiche di prezzo anticoncorrenziali.

L’indagine della Commissione

Il prestito ponte da 600 milioni, concesso un anno fa dal governo ad Alitalia e poi accresciuto in autunno a 900 milioni, è un aiuto di stato? E in tal caso è conforme oppure viola le norme comunitarie? Sono i due interrogativi ai quali dovrà rispondere nei prossimi mesi la Commissione UE nell’ambito dell’indagine aperta pochi giorni fa.

Già solo il fatto che l’indagine sia stata avviata segnala che la Commissione ritiene non infondata l’ipotesi del contrasto col diritto comunitario. Non si tratta di un caso nuovo, date le numerose similitudini col prestito ponte da 300 milioni erogato all’Alitalia pubblica nel 2008. In quella circostanza la Commissione UE stabilì trattarsi di un aiuto di stato illegittimo e ne richiese la restituzione, che però non avvenne perché nel periodo trascorso tra erogazione e sentenza il prestito fu trasformato in capitale proprio e si dissolse rapidamente nella gestione.

Il finanziamento pubblico di un’impresa, diretto o indiretto, tramite l’apporto di capitale o l’erogazione di credito, non è aiuto di stato se avviene a condizioni di mercato, dunque in qualità di conferimento di capitale in un’impresa profittevole, o ragionevolmente attesa tale a seguito dell’adozione di credibili piani di ristrutturazione, oppure di erogazione di prestiti a condizioni normali di mercato e non a tassi agevolati.

Se l’Alitalia privata fosse stata profittevole il governo avrebbe persino potuto comprarsela tutta intera senza ostacoli da parte della Commissione. Trattandosi invece di un’azienda in dissesto, un prestito consistente concesso a un tasso elevato, prossimo al 10 per cento, non può essere considerato una normale operazione di mercato.

È senza dubbio un aiuto di stato dato che nessun soggetto di mercato presterebbe, a qualunque tasso, soldi a un’impresa insolvente. Meglio dunque avrebbe fatto il governo italiano a dichiararlo subito tale, chiedendone l’autorizzazione. In questo caso vi sarebbe stata comunque una violazione, dato che gli aiuti di stato possono essere erogati solo dopo l’autorizzazione da parte della Commissione, che richiede un’istruttoria di alcuni mesi.

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Si poteva tuttavia addurre la ragione della continuità del servizio sui voli nazionali. Se Alitalia fosse stata costretta a lasciare gli aerei a terra, l’offerta globale di posti a disposizione dei consumatori sui cieli italiani si sarebbe quasi dimezzata, compromettendo la mobilità dei cittadini sul territorio nazionale. I servizi di trasporto, nelle loro differenti modalità, fanno parte dei Sieg, i servizi di interesse economico generale, per i quali il diritto comunitario accoglie prioritariamente l’obiettivo che non vi debbano essere aree di discontinuità e di non offerta, trattandosi di servizi indispensabili per le normali attività dei cittadini e delle imprese.

Se si fosse seguita questa strada ci sarebbe stato il vantaggio aggiuntivo di poter applicare un tasso agevolato anziché uno elevato, fintamente di mercato ma certo non sostenibile dai disastrati conti aziendali.

Manca il piano di ristrutturazione

L’argomentazione dell’aiuto di stato “d’urgenza” per salvaguardare la continuità di un servizio essenziale non sarebbe tuttavia bastata per convincere la Commissione a dare un via libera globale. Due caratteristiche del prestito suscitano infatti le perplessità dei valutatori europei. In primo luogo, la sua durata, inizialmente prevista in sei mesi, ma in seguito allungata a un anno e ora, col decreto appena emanato, a oltre un anno e mezzo. In secondo luogo, l’entità dell’importo, elevata già in partenza e poi aumentata del 50 per cento. Novecento milioni rappresentano una cifra molto alta, superiore alla somma di quanto spesero gli azionisti privati nel 2008 ed Etihad nel 2014.

È l’importo di una ristrutturazione aziendale, senza tuttavia che ne sia stata prevista alcuna. I commissari straordinari, seguendo la legge Marzano, avrebbero potuto scegliere tra due strade alternative – la cessione d’azienda o la ristrutturazione -, ma il governo li ha indirizzati fin dall’inizio sulla prima, si presume avendo cognizione di uno o più compratori già pronti, precludendo la seconda. Ma il percorso “d’urgenza” giustifica un prestito limitato per un tempo breve, come avvenuto in Germania nel caso di Air Berlin: 200 milioni per tre mesi. Se invece l’acquirente non è alle porte, appare preferibile ristrutturare, per poi eventualmente vendere meglio dopo.

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Un aiuto di stato consistente per un tempo non breve richiede che si metta in atto un piano di ristrutturazione credibile, in grado di riportare l’azienda alla sostenibilità economica. Che però non è stato realizzato dai commissari né richiesto dal governo: la sua assenza rende di conseguenza ampiamente ingiustificato l’aiuto concesso.

Il percorso della ristrutturazione avrebbe però richiesto di esibire rapidamente i conti aziendali, i quali sono invece tuttora custoditi in una riservatezza degna del terzo segreto di Fatima. Se sono quelli non ufficiali che abbiamo illustrato in un precedente intervento, allora l’Italia avrebbe avuto il vantaggio ulteriore di poter dimostrare alla Commissione UE che il prestito ponte finanzia transitoriamente assurdi extracosti gestionali, anziché politiche di prezzo anticoncorrenziali ai danni degli altri vettori.

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  1. umberto marchesi

    Solito pressapochismo italiano. E i Commissari ? Quanto ci costeranno per fare melina ? Sarà come al solito il contribuente a pagare. Per non citare anche la CIG
    .

  2. Frank

    Al momento l’assenza di copertura politica determina un evidente stallo nella gestione, ma Alitalia doveva essere venduta già nel 2008: avremmo avuto meno costi a carico della finanza pubblica ed ora una compagnia privata competitiva.
    Una delle ragioni del tutto infondate per cui si tenderebbe a salvare/mantenere in mani italiane (private o pubbliche che siano) la compagnia è l’eventuale mancanza di un vettore in uno o più aeroporti ritenuti strategici. Questa mancanza però prima o poi viene riasssorbita: ne è un esempio il dehubbing di Alitalia a Malpensa nel 2007, sono passati un po’ di anni ed una crisi economica nel mezzo, ma ora si registra traffico malpensa in ripresa . Questo dimostra che non è necessario forzare il mercato in certe tratte… come demagogicamente sostenuto da chi nel nord vorrebbe avere ancora una compagnia di bandiera….oppure anche voli malpensa-fiumicino (peraltro in ritorno nell’estate… dopo essere stati tolti pochi mesi fa… complimenti per la logica delle scelte).
    Lasciamo operare il mercato: le low cost potrebbero (come accaduto a Malpensa) riempire il vuoto lasciato da aziende molto meno efficienti, e quindi basta gettare denaro pubblico anche con nazionalizzazioni mascherate.

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