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Serve una banca pubblica per aggirare le regole Ue, come dice Di Maio?

Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca alle affermazioni di Di Maio sulle banche pubbliche d’investimento in Europa. Vuoi inviarci una segnalazione? Clicca qui.

Con l’avvicinarsi delle consultazioni, le forze politiche vincitrici discutono di investimenti per rilanciare la crescita. Ma solo con la fine della campagna elettorale si è tornati a parlare dei possibili vincoli al loro finanziamento posti dalle regole europee. Per esempio, nel programma del Movimento 5 stelle figura al dodicesimo punto la creazione di una banca pubblica che sostenga l’economia reale. A questa proposta allude probabilmente il candidato premier Luigi Di Maio, quando – parlando il 13 marzo alla rappresentanza delle imprese italiane – dice:

Gli altri paesi hanno strumenti come la banca pubblica degli investimenti che ha consentito negli anni di fare rivoluzioni dal punto di vista economico, anche a volte eludendo quelli che sono i parametri deficit/Pil proprio perché si utilizzava un istituto di credito pubblico (…)”

All’Italia mancherebbe quindi un intermediario finanziario a controllo pubblico che invece hanno altri paesi, il quale fornisca risorse sufficienti alla crescita e che, eventualmente, permetta di aggirare il vincolo del Patto di stabilità e crescita.

Cos’è una banca pubblica d’investimento

Innanzitutto è utile definire meglio il quadro in cui si inserisce la proposta. Il modello a cui aspira il Movimento 5 stelle rientra nel perimetro dei cosiddetti “istituti nazionali di promozione”, così come la stessa Cassa depositi e prestiti. Secondo la Commissione europea fanno parte di questa categoria le entità legali svolgenti attività finanziarie a livello professionale, le quali hanno ricevuto un mandato dallo stato membro per portare avanti attività di sviluppo e promozione del territorio. La peculiarità di questi istituti, controllati interamente o parzialmente dallo stato, è che tendono a investire in settori giudicati strategici o in quei progetti a lungo termine che non attraggono gli investitori privati, ma sono essenziali per lo sviluppo di un territorio.

Quasi tutti i nostri vicini europei hanno banche per lo sviluppo, anche se con strategie d’investimento, garanzie statali e assetti proprietari molto diversi (tabella 1).

Tabella 1 – Istituti di promozione nazionale in Italia, Francia, Germania e Spagna

Fonti: Dati sui bilanci, prestiti e rating: Kfw, Ico, Cdc, Cdp
Dati sul PIL: Eurostat
Assetto proprietario e mandato: Cdp, Kfw, Cdc, Ico.

Tabella 2

Fonti: Dati sui bilanci, prestiti e rating: Kfw, Ico, Cdc, Cdp

Per capire se l’affermazione di Di Maio è corretta bisogna mettere a confronto il nostro istituto con quelli degli altri stati membri della Ue. Le banche tedesche, francesi e spagnole, in quanto pubbliche, presentano meccanismi generali di funzionamento simili. È utile quindi, per osservare le particolarità del sistema italiano, confrontare Cdp con il più discusso Kfw, ossia la banca pubblica tedesca.

Un rapido confronto

Va innanzitutto specificato che, dal punto di vista legislativo (art. 5 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269), Cassa depositi e prestiti (Cdp) non è un ente di diritto pubblico (differentemente dalle sue controparti estere), ma una società per azioni a partecipazione pubblica e privata. Al contrario, Kfw opera come banca pubblica. Tuttavia le fondazioni bancarie proprietarie di Cdp sono sotto la supervisione del Tesoro quindi, nonostante la partecipazione privata, è difficile sostenere che le scelte dell’istituto vengano decise a prescindere dall’interesse nazionale.
Le attività svolte da Cdp e da Kfw sono infatti simili. Entrambi gli istituti finanziano, attraverso mutui a enti locali e pubbliche amministrazioni, progetti a lungo termine, come le infrastrutture nazionali, e promuovono lo sviluppo delle Pmi attraverso finanziamenti diretti. Il Kfw, tuttavia, come anche la sua controparte francese, agisce anche mediante il controllo di una banca (Kfw Ipex-Bank) che opera con le regole, i vincoli e i privilegi degli istituti di credito.

Ma la differenza principale è rappresentata dal modello di raccolta dei due istituti e dalle garanzie statali sui debiti contratti. Cdp si finanzia al 90 per cento attraverso i libretti e i buoni fruttiferi postali raccolti da Poste italiane attraverso la rete di uffici presenti sul territorio. Quest’attività di raccolta è garantita dallo stato. Tale garanzia, tuttavia, non si estende anche alle altre obbligazioni emesse dall’istituto italiano. La banca tedesca si finanzia invece sui mercati internazionali attraverso titoli e bond che godono della completa garanzia statale e garantiscono all’istituto un rating superiore a quello di Cdp.
Nonostante questo garantisca alla Kfw una “potenza di fuoco” maggiore rispetto a Cdp (l’istituto italiano ha un attivo di 400 miliardi, quello tedesco raggiunge i 500), i prestiti totali ai clienti dei due istituti sono quantitativamente simili (112 miliardi per Cdp e 136 per Kfw). E lo stesso vale anche per gli utili di esercizio (tabella 2). Inoltre, se allarghiamo il confronto alle banche pubbliche di Francia e Spagna, emerge che questi istituti sono in grado di finanziare ancor meno investimenti di Cdp.

Chi elude i parametri di Maastricht

Di Maio, con la sua affermazione, lega allo status di banca pubblica la possibilità di fare investimenti aggirando il vincolo del 3 per cento annuo del rapporto deficit/Pil. Questo sarebbe possibile poiché, pur trattandosi di enti pubblici, il passivo in bilancio delle banche in questione (Kfw, Cdc e Ico) non è conteggiabile nel debito pubblico.
Secondo il sistema di calcolo Sec 2010 di Eurostat, infatti, queste banche, essendo formalmente autonome rispetto all’attività governativa, possono indebitarsi (e quindi investire) attraverso obbligazioni garantite, senza i limiti che sorgerebbero se a indebitarsi fosse un’amministrazione pubblica.

Questo è probabilmente il motivo per cui molti giornali, tra cui Linkiesta e Il Giornale, hanno descritto il meccanismo come un “trucchetto contabile”. Tuttavia, non è tanto il fatto di possedere una banca pubblica a permettere che il debito emesso non gravi sul deficit e sul debito, ma che questa non rientri nei parametri della pubblica amministrazione.
Effettivamente è proprio così che molti paesi, compreso il nostro, riescono a finanziare in maniera significativa l’economia reale. Basti guardare solo al loro peso sul Pil (tabella 1). La stessa Cassa depositi e prestiti, strategicamente privatizzata nel 2002, riesce a investire cifre importanti, raccolte presso i risparmiatori, senza creare squilibri contabili pubblici.
L’unico modo che Cdp ha per stimolare la creazione di debito pubblico, nel caso italiano, sarebbe quello di prestare denaro alle amministrazioni pubbliche. Tuttavia, date le strette condizioni di finanza pubblica, l’ammontare di prestiti a questi enti (figura 1) è considerevolmente inferiore al totale del risparmio postale (250 miliardi di stock nel 2016) e altre forme di finanziamento (circa 80 miliardi). È dunque con l’acquisizione di partecipazioni e con il finanziamento a privati che la Cdp impiega il restante. Dando così impulso al tessuto economico, senza gravare su deficit e debito.

Figura 1

Il verdetto

È sbagliato sostenere di poter aggirare il vincolo del 3 per cento del rapporto deficit/Pil grazie agli istituti di credito pubblici per il solo fatto che questi sono completamente controllati dallo stato. Inoltre, l’Italia ha già un istituto simile alla banca pubblica d’investimento ipotizzata da Di Maio, ossia Cassa depositi e prestiti. La quale, per efficienza e risorse utilizzate, presenta un volume d’affari simile alla banca pubblica tedesca, e addirittura superiore a quelle francesi e spagnole. L’affermazione di Di Maio, quindi, ritrae la realtà in modo parziale e poco accurato. L’affermazione è da considerarsi pertanto PARZIALMENTE FALSA.

Ecco come facciamo il fact-checking. Vuoi inviarci una segnalazione? Clicca qui.

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Il Punto

  1. dnucera@libero.it

    Buonasera,
    osservo che si è arrivati al parzialmente falso, ma non si è espresso un giudizio netto sull’utilità, o meglio sul vantaggio, di avere una banca d’investimenti. Io deduco che il vantaggio non c’è, essendo Cdp da considerare, agli effetti pratici, pari delle quasi consorelle.

    • mario

      Buonasera,

      L’obiettivo era verificare l”aggiramento” del vincolo deficit/pil e la diversa grandezza dell’impatto economico che avremmo se Cdp fosse una banca pubblica. Un giudizio netto e completo sul fatto sul fatto di avere o meno una banca pubblica non è l’obiettivo di un fact-checking. Lasciamo che ciascun lettore, approfondendo maggiormente, si faccia la sua opinione.

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