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Due Italie anche nella salute

Chi vive nel Mezzogiorno ha una speranza di vita alla nascita di circa un anno inferiore rispetto a chi risiede al Nord. Perché? Dal 1990 è cresciuta la differenza in spesa sanitaria tra famiglie del Nord e del Sud. Lo svantaggio pesa di più sugli uomini.

Sale l’aspettativa di vita

L’aspettativa di vita, cioè il numero di anni che un individuo di una certa età può aspettarsi di vivere, è un importante indicatore sintetico della qualità delle condizioni di vita e quindi di progresso economico e sociale. Tra il 1960 e il 2015 la speranza di vita a livello mondiale è passata da 42 anni a 68 anni. Nel nostro paese, negli ultimi trent’anni, quella alla nascita è cresciuta di circa 9 anni (10 per gli uomini e 8 per le donne). Molto del miglioramento è dovuto a una riduzione del tasso di mortalità infantile, ma anche a un incremento dell’aspettativa di vita a tutte le età. Mentre nel 1970 un uomo di 65 anni poteva aspettarsi di vivere altri 13 anni, nel 2014 gli anni di vita attesa per quell’individuo sono diventati 19.
Il fatto che le nostre vite si siano allungate è indicativo dei grandi progressi fatti dalla medicina e del miglioramento delle condizioni socio-economiche. Tuttavia, ancora persistono forti differenze tra paesi ricchi e poveri. Per dare un’idea, nel 2010, l’aspettativa di vita nella Repubblica democratica del Congo era di circa 47 anni. Non solo, persistono differenze anche all’interno dello stesso paese tra individui con diverso reddito. In Italia, come evidenziato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, il ben noto differenziale Nord-Sud in termini di Pil si traduce in un forse meno noto e più odioso divario nella speranza di vita (già in passato discusso su lavoce.info).

Un nuovo divario Nord-Sud

Chi vive nel Mezzogiorno ha una speranza di vita alla nascita di circa un anno inferiore a chi risiede nelle regioni del Nord. Rispetto alla regione con la più alta speranza di vita, il Trentino Alto Agide, chi vive in Campania ne ha una inferiore di 2 anni e mezzo. Vi è anche variabilità all’interno della stessa regione. Se si effettua un’analisi provinciale, il gap tra la prima (Firenze) e l’ultima posizione (Caserta) si allarga a quattro anni.
Come si può vedere dai grafici, il differenziale Nord-Sud per le donne si è mantenuto pressoché costante negli ultimi anni, mentre per gli uomini si è passati da un iniziale vantaggio a favore dei residenti nel Mezzogiorno a uno svantaggio.

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Grafico 1 e 2

Fonte: dati Istat

Il divario è giustificabile? Per poter dare una risposta è necessario capire quali siano le sue determinanti. Infatti, l’accettabilità della diseguaglianza è strettamente collegata alle sue cause. Differenze riconducibili al patrimonio genetico sono probabilmente più accettabili di quelle che derivano dalle condizioni economiche. Ciò soprattutto perché le prime sono difficilmente modificabili, mentre sulle seconde si può intervenire con politiche appropriate. Poiché al Sud il reddito medio è di molto inferiore a quello del Nord, potrebbe trattarsi di un divario dovuto al reddito. Sfortunatamente in Italia non è possibile esaminare direttamente questo aspetto per mancanza di informazioni adeguate. È tuttavia possibile analizzare la speranza di vita per livello di istruzione.
Secondo le statistiche fornite dall’Istat, la speranza di vita alla nascita per un uomo senza alcun titolo di studio o con la licenza elementare è di circa 5 anni inferiore a quella di un uomo che ha conseguito la laurea (77,2 contro 82,4). Per le donne la differenza è invece più contenuta e pari a +2,7. Le differenze possono dipendere dal fatto che una maggiore istruzione rende più consapevoli delle conseguenze di comportamenti rischiosi per la salute e aumenta la prevenzione. Può anche essere che l’effetto dell’istruzione sia mediato dal reddito, infatti individui più istruiti tipicamente dispongono di redditi più alti, che permettono l’accesso a cure migliori.
Per comprendere quale sia il canale responsabile del differenziale territoriale è possibile analizzare i dati dell’Istat riguardo ai comportamenti rischiosi. Al Sud gli individui mostrano comportamenti meno virtuosi che al Nord, ma è un il divario che si è mantenuto pressoché costante nel corso del tempo (ad esempio per quel che riguarda la percentuale di persone obese o la percentuale di persone che praticano attività fisica) e in alcuni casi si è anche ridotto (percentuale di fumatori).
Di conseguenza, mentre queste differenze possono dar conto del gap costante nell’aspettativa di vita delle donne del Sud, è più difficile che possano spiegare il più lento miglioramento nell’aspettativa degli uomini. Se vi è un differenziale che è cresciuto in maniera allarmante nel corso del tempo è quello nella spesa sanitaria delle famiglie (che significa anche minori controlli preventivi). Come si può notare dal grafico 3, se nel 1990 la spesa sanitaria era pressoché uguale nelle due aree geografiche, nel 2014 la differenza ammontava in media a 1.200 euro.

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Grafico 3

Alla minore spesa privata si è accompagnata una minore spesa pubblica. Secondo il rapporto Crea, nel 2015 fra la regione in cui si spende di più (provincia autonoma di Bolzano) e quella dove si spende meno (Calabria), il divario pro-capite ha superato il 50 per cento (quasi il 40 per cento per quanto concerne la spesa pubblica). È facile che la contrazione nella spesa sanitaria produrrà i suoi effetti negli anni a venire, con conseguenze negative soprattutto sulla popolazione maschile, quella che sembra più reattiva all’influenza di fattori socio-economici.

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  1. Antonio Cornelio

    Nell’articolo manca il grafico n°3

  2. Rick

    La spesa pro-capite sanitaria NON segue sempre il divario nord-sud.
    Riprendendo i dati ufficiali (quelli AGENAS, qui: http://www.agenas.it/aree-tematiche/monitoraggio-e-valutazione/spesa-sanitaria/monitoraggio-della-spesa-sanitaria) si vede che regioni come Veneto e Lombardia spendono, pro-capite, meno di Lazio e Sicilia e solo poco più della Campania.
    Il problema è la qualità e l’efficienza della spesa; di nuovo i dati Agenas hanno una statistica riassuntiva dei LEA per regione: mentre Veneto e Lombardia stanno intorno a 190, Lazio e Sicilia hanno 20-30 punti in meno.
    Secondo me la soluzione non è necessariamente quella di dare più risorse a Lazio o Sicilia bensì diminuire la discrezionalità nella spesa per le regioni non in grado di fornire livelli decenti di assistenza sanitaria (federalismo differenziato).

    PS: ho preso Veneto, Lombardia, Lazio e Sicilia perchè sono tra le regioni più grandi. Regioni più piccole hanno differenti economie di scala, e quelle a statuto autonomo maggiore autonomia nel decidere la spesa.

  3. Tra Puglia e Lombardia ci sono oltre 100 euro di spesa corrente per abitante che si aggiungono ad una capacità di spesa privata inferiore ed ad una disponibilità di LEA inferiore. Certo la discrezionalità delle regioni va limitata, ma un gap storico non si può recuperare senza un piano straordinario per il Sud o qualcosa di simile.

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