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Tutti i rischi del reddito di cittadinanza*

Introdurre un reddito di cittadinanza è più complicato di quanto sembri. Perché i beneficiari sono spesso molti di più di quelli stimati. E perché i rischi di parassitismo sono alti. Anche l’investimento nei centri per l’impiego andrebbe considerato bene.

Stime e costi effettivi

Il fact-checking di Gabriele Guzzi e Stefano Merlo sulle affermazioni di Matteo Renzi in merito al reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 stelle, le dichiara “false” perché l’ex-premier non tiene in considerazione la condizioni previste dalla proposta di legge sul reddito di cittadinanza.
Il ragionamento mi trova assolutamente d’accordo, ciò su cui non sono d’accordo è considerare sbagliato il concetto espresso da Renzi, che si può riassumere nel rischio di dare “un reddito a tutti per stare a casa”.
Quando si parla di reddito di cittadinanza va tenuto conto dell’effetto prodotto dallo strumento (come disincentivo al lavoro) nei confronti di coloro che svolgono professioni usuranti (o poco appetibili al mercato del lavoro) e percepiscono salari vicini all’assegno di sostegno. Contemporaneamente, non va dimenticato l’effetto “assalto alla diligenza” nella fase di attuazione alla pratica: se c’è una cosa che il reddito minimo di inserimento o il reddito di cittadinanza in Campania ci hanno insegnato (soprattutto quest’ultimo), è che la stima dei potenziali beneficiari potrebbe essere molto più bassa del dato reale. Rispetto alle stime di 25-30 mila richieste, nella prima edizione del reddito di cittadinanza (una sorta di reddito minimo selettivo) furono presentate più di 120 mila domande e di queste almeno 100 mila erano di persone idonee.
In altri termini, è concreto il rischio che il reddito di cittadinanza possa costare molto di più e avere una platea molto più ampia di quella stimata. Senza considerare i tempi tecnici necessari alla realizzazione di uno strumento di tale complessità.
Tuttavia, il costo economico del reddito di cittadinanza non è il solo motivo per cui Renzi ha ragione. Ha ragione soprattutto per le difficoltà di attuazione della “condizionalità” tra sostegno economico e politiche di inclusione. Incentivare il “surfista di Malibù” della celebre battuta di John Rawls a trovarsi un lavoro è una delle cose più complesse da realizzare. Persino in contesti con ampia esperienza in materia, come il sistema di welfare-to-work in Regno Unito, la condizionalità non dà buoni esiti occupazionali nel mercato del lavoro, funziona soprattutto nei confronti di coloro che sono più appetibili al mercato del lavoro e difficilmente contrasta l’opportunismo (sono frequenti i casi di falsi colloqui di lavoro, falsa ricerca di lavoro, litigi con datori di lavoro per farsi licenziare e così via).

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Investire nei centri per l’impiego: sì, ma come?

Quanto all’investimento di 2 miliardi di euro nei centri per l’impiego, sarebbe certamente auspicabile per una struttura mai valorizzata dai precedenti governi, ma per fare cosa? In che modo andrebbero valorizzati affinché si sviluppi uno schema efficace di “condizionalità”, in un paese in cui ci sono 20 modelli regionale di gestione delle politiche attive del lavoro, 20 modelli di accreditamento ai servizi di lavoro e formazione professionale, 20 modelli diversi di attuazione di semplici norme nazionali come ad esempio le nuove modalità di dichiarazione di disponibilità online? Probabilmente, si creerebbe un “esercito di nuovi lavoratori socialmente utili” al servizio dei comuni, finanziati dal reddito di cittadinanza.
L’investimento finirebbe all’interno di una macchina burocratica che comporterebbe l’attuazione “concreta” della condizionalità dopo quattro o cinque anni dall’entrata in vigore della misura. Basti pensare, per esempio, alle difficoltà gestionali viste durante la realizzazione del programma Garanzia giovani, ben più semplice in confronto a un progetto come quello del reddito di cittadinanza.
Persino la poderosa macchina danese dei servizi pubblici per l’impiego, negli anni Novanta, non riuscì minimamente a ridurre il cosiddetto “carosello dei benefici”: l’assistenza sulle spalle dello stato di coloro che non avevano un lavoro durava fino a 9 anni (all’interno di un mix di sostegni al reddito di diversa natura) e si era creato un vero e piccolo esercito “parassitario”, nei confronti del quale si dovette intervenire con strumenti incisivi (il programma “Più persone al lavoro” nel 2002) che ha poi dato vita al famoso modello flexicurity. Soprattutto, è stato necessario ridurre gli anni di beneficio da nove a sei.
Rispetto all’idea di un reddito di cittadinanza, meglio verificare l’attuazione del Rei ed eventualmente aumentarne la platea se i risultati saranno positivi. Nei confronti dei soggetti destinatari della misura sarebbe auspicabile sviluppare percorsi “intensivi” di inserimento nella società. Tali percorsi sono spesso complessi e costosi, ma se veramente si disponesse di ingenti risorse, meglio investirne una buona parte in programmi attivi di inserimento e reinserimento al lavoro piuttosto che relegarli a uno strumento passivo dai pericolosi effetti distorsivi nel mercato del lavoro. E senza dimenticare il rischio di incentivare attività di lavoro sommerso per non superare la soglia di reddito che farebbe decadere il beneficio.

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*Le opinioni espresse sono strettamente personali e non coinvolgono l’amministrazione di appartenenza.

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13 commenti

  1. Flavio

    Sono d’accordo con questo articolo. Non vedo perchè improvvisamente i Centri per l’impiego dovrebbero cominciare a funzionare da ora in poi. Diciamo così: prima facciamo funzionare i Centri poi vediamo se concedere i redditi di cittadinanza (o anche di inclusione).

  2. Paolo Palazzi

    “Quando si parla di reddito di cittadinanza va tenuto conto dell’effetto prodotto dallo strumento (come disincentivo al lavoro) nei confronti di coloro che svolgono professioni usuranti (o poco appetibili al mercato del lavoro) e percepiscono salari vicini all’assegno di sostegno.”
    Il rifiuto o l’abolizione di questo tipo di rapporto lavori usuranti/bassi salari credo che vada considerato un eventuale effetto positivo del reddito di cittadinanza.

    • Federico

      Concordo pienamente, ma nessuno ha mai affontato il tema in questi termini (forse solo Boeri)

  3. Enzo

    Perché non ricordare mai che tutta Europa ad eccezione della Grecia dispone di strumenti analoghi? Perché limitarsi a fare ipotesi senza citare casi concreti se non quello più favorevole alle proprie tesi, con quello danese, dove per giunta non si è optato per l’abolizione ma solo per la rimodulazione?

  4. Enzo

    Perché parlare di “strumento passivo dai pericolosi effetti distorsivi nel mercato del lavoro” quando sono previsti strumenti a sostegno e al reinserimento, senza considerare che esistono davvero italiani che rovistano nella spazzatura e che così tornerebbero a rispondere? Ah, saperlo…

  5. Concordo con Gabriele Guzzi e Stefano Merlo, le affermazioni di Matteo Renzi in merito al reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 stelle sono manifestamente false perché Rei e Rdc M5S sono concettualmente identici. Ci si dovrebbe allora chiedere se l’ex Presidente del consiglio semplicemente ignori i fatti, non riesca a comprenderli per deficit di intelletto o sia in malafede.

    Trovo invece sconcertante l’intenzione dell’affermazione di Francesco Giubileo, che giustamente rileva come un effetto del Rdc sarebbe un aumento del costo del lavoro per i lavori usuranti e poco appetibili. Come dire: meglio se i lavoratori più poveri sono costretti a lavorare in condizioni di necessità e quindi di sfruttamento!

    Sul Financial Times dell’11.02.2018 Ian Goldin (Five reasons why universal basic income is a bad idea) ha espresso le sue perplessità su Basic Income. Quattro giorni dopo Guy Standing, (Universal basic income would enhance freedom and cut poverty) ha risposto opponendo le ragioni di chi invece è favorevole. Mi interesserebbe capire perché su lavoce.info, ma più in generale sulla stampa italiana, questo non accade mai.

  6. Giuseppe G B Cattaneo

    Ps. Concordo con Paolo Palazzi

  7. Silvio

    I centri per l’impiego non trovano lavoro a nessuno tranne a chi ci lavora. Quindi investire denaro pubblico in tali centri sarebbe solo l’ennesimo spreco.
    In un Pease dove manca personale ovunque: scuole, ospedali, pulizie, comuni, servizi, ecc. nessun partito propone di condizionare un VERO reddito di inclusione, cioe’ distribuito SOLO a chi non ha lavoro, CHIEDENDO in cambio qualche ora di lavoro svolto a beneficio del proprio comune o della societa’. Cosi’ facendo si darebbe dignita’ alle persone e si eviterebbe di incentivare a “stare a casa”. Ultima considerazione: il vero numero dei bisognosi e’ noto, es. da Eurostat, ma sono diminuiti o gonfiati a seconda delle esigenze politiche del momento. Quello che serve all’Italia e’ un’azione seria non solo propagandistica.

  8. Natale Ruggeri

    L’articolo dice: Siccome abbiamo una macchina burocratica inefficiente e complessa, allora lasciamo perdere… e se invece fosse un incentivo al cambiamento? Certo, ci vogliono regole certe, ad esempio il reddito di cittadinanza non dovrebbe andare oltre i 5/6 anni ma almeno ci si prova, c’è troppa gente in difficoltà, non la si può lasciare al proprio destino.

  9. Giovane Arrabbiato

    Il reddito di cittadinanza è uno dei motivi principali per cui i giovani votano 5 stelle. Io non sono a favore, ma capisco chi tra chi conosco lo è. Le scelte dei governi Monti e successivi hanno ammazzato una generazione. Un buon terzo dei millennial italiani è ora considerato carne avariata dal mercato del lavoro a causa di buchi di 3-4 anni sul CV, anche volendo cercare viene ignorato, quindi tanto vale non cercare e votare i 5 stelle per prendersi il reddito di cittadinanza. Piaccia o non piaccia, si è deciso di tradire una generazione in nome della moneta unica, e quella generazione continuerà a votare euroscettico fino alla morte, perché non entrerà mai nel mercato del lavoro. Pessimista? No. Vedo solo tanti laureati che a 30 anni non hanno mai avuto un vero lavoro.

    • Giovane Contento

      Il governo Monti è l’unico che negli ultimi decenni abbia fatto qualcosa di positivo per i giovani. E il qualcosa fatto è stato pure moltissimo e importante. Il debito pubblico è il nemico di base di chiunque abbia una visione a lungo termine in questo Paese (quindi tanto più influente quanto più si è giovani). La sostituibillità sul lavoro tra gli over 60 e chi ha 40 anni in meno è in realtà bassissima e per questo piccolo scotto si è evitato grazie alla riforma Fornero di abusare ancora del cuneo fiscale, garantendo che molti giovani potessero in questi anni essere assunti e continuare a lavorare nonostante tutto. Giovani con buchi di anni nel cv ci sono sempre stati, si chiamano fannulloni. Lo stesso aggettivo che merita chi spera in un reddito pagato dagli altri concittadini mentre lui presta 8 ore di lavori socialmente futili o segue 2 inutili (nell’ammontare periodico e complessivo) ore di formazione.

  10. Bocca Di Verità

    Gli ultratrentenni ignorati dalle statistiche sulla disoccupazione e bistrattati dal mercato del lavoro del Bel Paese, hanno bisogno di un reinserimento lavorativo adeguato alle loro competenze ed eventualmente adeguatamente formato ad hoc per non incorrere nei soliti impieghi saltuari, mal gestiti o retribuiti senza garanzie, diritti e prospettive di carriera. Il reddito di cittadinanza potrebbe rappresentare l’ultima spiaggia per una ripresa, seppur temporanea mente lenta e forse precaria ma almeno sufficiente per risanare la vita di chi ha il diritto ricostruirsi un futuro dignitoso, oltre che contribuire ad un aumento della spesa pubblica futura e conseguente crescita economica del paese.

  11. Johny

    Sul reddito di cittadinanza ho una perplessità in particolare:
    Le famose 2,3 offerte che ti dovrebbero arrivare.
    Chi assume deve cercare persone con il tuo profilo. Non è scontato.
    Ci sono moltissime migliaia di persone che sono escluse dal mercato in Italia. Infatti cercano lavoro nel Regno Unito o in altre zone nelle quali è più accessibile.
    Come fai a dare lavoro a loro? in Italia? Se nessuno li cerca?
    Inoltre gli uffici di collocamento dovrebbero essere riformati bene.
    Io sono stato iscritto 15 anni all’ufficio di collocamento, non mi hanno mai trovato un lavoro.
    L’unica chiamata che mi hanno fatto era per fare vendite telefoniche (di quelle nelle quali prendevi pochi centesimi a contratto) più un piccolissimo fisso.
    Avevo avuto contemporaneamente, un’altra occasione, tramite mie ricerche più convente. Ho scelto la seconda.
    Come dovrebbero fare a dare 2, 3 offerte ai cittadini che ricevono il reddito. Molti sono fuori mercato.
    Il mercato italiano ha requisiti particolari, fra l’altro:
    Limiti di età, anni continuativi di esperienza anche per lavori non specializzati(es. pulizie). Sono in moltissimi annunci.
    Anche se gli facessero fare stage, corsi di formazione, tirocinio o altro.. non raggiungerebbero gli “anni continuativi” richiesti come requisito minimo in moltissimi settori. Risultato? Non troverebbero lavoro lo stesso.
    Se non cambia il mercato, non puoi trovare lavoro a quelli che hanno avuto solo contratti di pochi mesi.P.s: è solo una mia opinione.

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