Il trasporto pubblico gratis è una buona idea contro l’inquinamento urbano? Per chi si muove quello che conta è il tempo del viaggio, non il costo. Alternative ben più valide vanno dalle tariffe di ingresso alla certezza della pena per le infrazioni.
Non seguiamo la Germania
La Germania, che come l’Italia ha un elevato livello di inquinamento urbano, sta valutando l’ipotesi di combatterlo rendendo gratuito il trasporto pubblico.
La notizia, sotto elezioni, ha ovviamente trovato un coro di sostenitori anche nel nostro paese. Ma ci sono buone ragioni che sconsigliano di adottare provvedimenti simili.
L’elasticità alle tariffe nei paesi sviluppati, e in particolare quella dei possessori di automobili, è molto bassa, comunque inferiore all’unità. Il fattore dominante è il tempo di viaggio (elasticità prossima a -2): con un valore del tempo percepito che si aggira sui 15 euro/ora, è evidente che bastano 5 minuti in più spesi tra attesa e viaggio in autobus rispetto a un percorso in auto per annullare il vantaggio di 1 euro di tariffa risparmiato (media del costo per viaggio di un abbonamento in Italia). Semplificando molto si tratterebbe di un maggior onere percepito di (60:15=0,25€/minuto, x 5 minuti=1,25€ > 1€). E infatti gli esperimenti già fatti anni fa a Bologna e Roma sono stati cancellati data l’esiguità dei risultati rispetto ai costi. Con le nostre bassissime tariffe rispetto a quelle tedesche, l’impatto in Italia sarebbe ancora minore che in Germania.
Il ruolo del traffico stradale sul fenomeno dell’inquinamento è diminuito, tanto che ormai è superato da altre fonti (riscaldamento domestico, industria), che tra l’altro “internalizzano” per via fiscale molto meno dei trasporti stradali. E il progresso tecnico nei propulsori (ibridi, elettrici e così via) è tale che scenderà ancora nel prossimo futuro, a riprova dell’efficacia del principio ambientale “chi inquina paga”.
Le considerazioni di equità appaiono ancor più clamorose: per quale ragione far pagare a tutti i contribuenti una operazione molto onerosa per le finanze pubbliche, volta a contenere i danni generati da un gruppo specifico di cittadini? È vero che con gli elevatissimi sussidi attuali al trasporto pubblico è già in parte così, ma non sembra proprio il caso di peggiorare ancora la situazione, soprattutto perché gli utenti meglio serviti dal trasporto pubblico sono i residenti nei centri urbani, non certo tra le categorie più svantaggiate.
E che dire di altri settori che hanno sì poche responsabilità dirette nell’inquinamento urbano, ma che provocano comunque molti danni all’ambiente e che vengono pesantemente sussidiati, invece che tassati? Prima fra tutte, l’agricoltura che per alcuni inquinanti, quelli più “diffusivi”, finisce tra l’altro per colpire anche i contesti urbani.
Vi è poi la specifica situazione fiscale italiana, molto diversa da quella tedesca. Applicando un qualsiasi valore superiore all’unità al costo-opportunità marginale dei fondi pubblici (Comfp) i banali conti che abbiamo fatto prima peggiorerebbero ancora.
Le alternative possibili
Come sempre quando si parla di ambiente, emerge come centrale il tema dei “costi di abbattimento”, cioè della valutazione di politiche alternative. E le alternative sono note, più efficienti e più eque. Ignoriamo pure la migliore, una “carbon tax” generalizzata, a causa delle note resistenze politiche. Ma una seconda opzione, particolarmente significativa per i contesti urbani caratterizzati anche da elevati livelli di congestione, è quella delle tariffe di ingresso (road pricing). Possono essere applicate in modo selettivo ai veicoli più inquinanti e vi è una vasta casistica di esempi nazionali e internazionali molto efficaci ed efficienti. Inoltre, la tecnologia rende sempre più facile applicare strumenti di tariffazione al cordone, sia “free flow” che con l’introduzione di targhe elettroniche, o “scatole nere”, il cui costo ormai sarebbe simbolico. Servirebbe anche per sanzionare molto più efficacemente tutti i tipi di infrazione, soprattutto quelle relative alla sicurezza.
Per ridurre il traffico nelle maggiori città vi sarebbero poi tecniche ancora più banali: meccanismi repressivi delle infrazioni alla sosta simili a quelli esistenti negli Stati Uniti (con sanzioni non diverse dalle nostre, ma con una assoluta “certezza della pena”). Simulazioni fatte per Milano hanno stimato che i veicoli in sosta vietata sono una rilevante percentuale del totale delle macchine in sosta (ricerca dell’Aci – Milano). E anche in questo caso le tecnologie per il rilevamento automatico e per la sanzione delle infrazioni sono già disponibili, mentre sembra assente la volontà politica di usarle, per ragioni di consenso. Una riprova banale: non viene neppure valutato in modo sistematico il totale delle infrazioni stradali. È evidente che senza tale valutazione è privo di significato anche il totale delle sanzioni comminate, cioè il “costo probabilistico” percepito dai contravventori: a Milano nella ricerca Aci risultava dell’ordine di un caffè per le soste vietate.
D’altronde, è noto alle discipline sociologiche che per il consenso la soluzione ottimale consiste nell’imporre norme severe e successivamente non farle osservare o condonarle.
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