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Le implicazioni elettorali della (lenta) crescita di fine anno

Il Pil italiano registra un +1,6 per cento su base annua nel quarto trimestre 2017. Il confronto con l’Europa mostra però l’incapacità dell’economia italiana di accelerare. E resta ancora da capire quali sono le ricette dei partiti su come stimolare la crescita strutturale.

L’Italia cresce meno degli altri ma cresce

I dati del quarto trimestre 2017 confermano l’evidenza di una crescita dell’economia italiana che procede con uno stabile segno più, anche se a ritmo più lento degli altri paesi dell’eurozona, sia rispetto al trimestre precedente che rispetto allo stesso trimestre dell’’anno precedente.

Come evidenziato nella tabella, l’Italia è cresciuta dell’1,6 per cento nel quarto trimestre 2017. Un dato identico alla performance annua che vale per tutto il 2017, e questo è un segno acquisito di continuità rispetto ai mesi precedenti. L’Italia, nell’attuale contesto internazionale e di politica economica interna, è in grado di crescere più o meno dell’1,5 per cento in modo continuativo. E questa è una buona notizia che non va sottovalutata. Peraltro, il dato del quarto trimestre 2017 è anche leggermente migliore della previsione per il 2018 contenuta nell’aggiornamento di gennaio del World economic outlook del Fondo monetario internazionale. Per il Fondo monetario, il Pil dell’Italia nel 2018 si fermerebbe a un +1,4 per cento, un dato leggermente inferiore al +1,6 registrato nel quarto trimestre 2017.

Quanto ci sia di strutturale e quanto di temporaneo, e quanto pesi l’incertezza politica sulla crescita attuale dell’Italia è difficile a dirsi. Di sicuro, nell’eurozona nel suo complesso e segnatamente in Francia e Germania, il dato del quarto trimestre è in accelerazione rispetto al dato annuale del 2017 ed è anche nettamente migliore della previsione del Fondo Monetario per il 2018. La buona performance dell’economia europea induce a ritenere che il Fondo Monetario sia troppo pessimista sulle possibilità di crescita del Vecchio Continente nel 2018. Ma i dati italiani confrontati con quelli europei mostrano l’incapacità dell’economia italiana di accelerare in linea con l’accelerazione di cui stanno beneficiando i nostri partner e concorrenti dell’eurozona.

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Tabella 1 – La crescita in Italia e nell’eurozona

Fonte: Elaborazioni lavoce.info su dati Istat e Fmi

Le implicazioni elettorali dei dati 2017

I dati dell’ultimo scorcio del 2017 hanno due implicazioni per la competizione elettorale. Al di là delle polemiche sull’attribuzione del merito della crescita osservata (semplificando: merito della Bce oppure merito dei governi Renzi-Gentiloni), i partiti devono offrire risposte alla domanda: come si fa a consolidare i risultati raggiunti? Quali sono le proposte in campo per accelerare la crescita senza mettere a repentaglio la stabilità dei conti pubblici faticosamente e precariamente recuperata negli ultimi anni? Le proposte che abbiamo cominciato ad analizzare e quantificare sul nostro sito (come anche avvenuto sui media) indicano un’abbondanza di promesse di regali elettorali e di mancati tagli o puri e semplici aumenti alla spesa pubblica, dotati di scarse coperture. Ma la mancanza di coperture, se ha (forse) il potenziale di agevolare la crescita nel più breve termine, rischia di pregiudicare la stabilità dei conti pubblici. E qui viene una seconda implicazione. Con un’economia che cresce sempre meno dell’Europa (non in questo o quel trimestre ma più o meno da metà degli anni Novanta) quali sono le ricette dei partiti su come accelerare la crescita strutturale? Gli incentivi a Industria 4.0 saranno mantenuti oppure, come propone il leader della Lega Matteo Salvini, si tasseranno i robot, cioè l’innovazione?

Su questi temi si è sentito troppo poco nei dibattiti elettorali che si sono svolti fino a questo momento.

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14 commenti

  1. Savino

    La crescita e l’ordine nei conti pubblici sono merito di riforme inequivocabili come la legge Fornero e come le politiche di austerità, tanto bistrattate quanto insostituibili per la disastrosa situazione finanziaria e macroeconomica italiana ereditata in decenni di politiche sbagliate e caratterizzate unicamente dalla ricerca di clientele. Chi mostra ancora il becero coraggio di negare la fallacia di quelle scelte che hanno incrementato il peso del debito pubblico per chissà quante generazioni deve davvero andare a ripetizione dell’ABC politico ed economico.
    Se la politica avrà la cattiva intenzione di ritornare in auge con la medesima “testa gloriosa” e con le medesime “felici idee” del passato per specularci sopra un pò, realizzerà con precisione un progetto di macelleria sociale intergenerazionale e classista.

  2. Andrea Goldstein

    Nn si parla di produttività, che anche Fantozzi aveva capito essere fondamentale

  3. Michele

    Il gap tra l’Europa e l’ Italia cresce da 20 anni, è strutturale: in fase di recessione l’Italia decresce di più, in fase di espansione l’Italia cresce meno. Le cosi dette riforme non hanno migliorato la situazione, anzi hanno ampliato lo spread negativo. Le implicazioni elettorali sono ovvie: i programmi di tutti i partiti storici non valgono la carta su cui sono scritti. E infatti una volta eletti faranno tutt’altro. Alla prova dei fatti le ricette proposte non hanno mai retto il confronto con la realtà. Purtroppo nessuno dice la verità agli italiani, che d’altro canto non amano sentirsela raccontare.

  4. Aldo Mariconda

    Spero vengano confermati alcuni punti: Europa, Euro, Industry 4.0 di Calenda, politica di bilancio rispettosa dei parametri EU. Detto questo, non vedo un progetto politico atto a ridare velocità al motore dell’economia. Vorrei meno leggi e più chiare (non 10 volte la Germania e 5 gli UK); una giustizia che funzioni, Scuola e Università non sacrificate come ora e più rispondenti al mercato; privatizzare i Servizi Pubblici Locali col principio svedese, infrastrutture pubbliche e servizi in concorrenza. Con più sviluppo, va reinventato il welfare, la sanità, ecc.

  5. Amegighi

    Numeri impietosi e freddamente veri. Basterebbe mettersi davanti a questi e prenderne atto umilmente. Non sono un economista. Lavoro nella ricerca di base. Ma fa specie vedere come questa è organizzata e finalizzata centralmente in Germania dove il German Center for Innovation and Research organizza seminari, stand nei maggiori Congressi mondiali, invia newsletter ai ricercatori nel mondo per illustrare chiaramente le opportunità di ricerca, le linee perseguite e, ancor più in pratica, illustra come i ricercatori devono organizzarsi per lavorare nei centri di ricerca tedeschi. Là hanno rinnovato i centri Max Plank affiancandoli alle start up. Hanno mantenuto la ricerca di base vera (per intendersi danno soldi anche a chi studia le orchidee) come serbatoio di preparazione per i ricercatori da utilizzare nelle imprese o nei centri di ricerca applicata. In UE i ricercatori sono affiancati dai burocrati ministeriali per il sostegno delle loro richieste e dei loro progetti. Qui il CNR (che dovrebbe essere paragonato ai Max Plank) è praticamente collassato nelle spese mostre di personale, lo Stato è assente nel sostenere le richieste dei nostri ricercatori in sede UE, non esistono linee o progetti di ricerca nazionale. Ognuno fa per se cercando di arraffare il poco (1% del PIL contro il 3% UE) che viene dato. L’industria non esiste né come fonte di ricerca, né come punto di impiego dei nostri dottori di ricerca che sono costretti o a emigrare o a infossarsi nell’Università.

  6. Corrado Tizzoni

    Gentile prof. Daveri, mi faccia capire meglio il discorso della crescita del pil italiano inferiore alla media europea: leggo da più parti, anche sul sole 24 ore, che comunque la crescita procapite italiana è tra le più alte d’Europa. E’ addirittura più alta della crescita procapite tedesca, di quella francese, ecc. La differenza tra il nostro e gli altri paesi è causata dalla diminuzione degli italiani a fronte degli incrementi della popolazione tedesca e di altri paesi. Quindi dovremmo avere un incremento di ricchezza per abitante in Italia superiore alla Germania, alla Francia, ecc. Mi sembra un dato che merita un commento.
    Corrado Tizzoni

    • francesco daveri

      Giusta osservazione. I dati al primo gennaio 2017 (fonte Tradingeconomics) dicono che, rispetto a 12 mesi prima, la popolazione è salita dello 0,1 per cento in Germania, dello 0,2 in Spagna e Francia, mentre è scesa dello 0,15 per cento in Italia. Ci sono dunque differenze di dinamica demografica in sfavore dell’Italia ma la loro entità non è tale da modificare le conclusioni ottenute usando la crescita del Pil. Grazie.

      • Corrado Tizzoni

        Gentile prof. Daveri, speravo che la sua risposta mi chiarisse meglio la questione ma ho molte difficoltà. Se il dato dell’ incremento del pil/procapite italiano più alto d’ Europa è vero, come lei mi sembra confermare, allora questo vuol dire che qualcosa si sta muovendo sul fronte del miglioramento della produttività in Italia o no? Qualcosa di molto significativo deve essere successo in Italia se a fronte di incrementi assoluti di 1,6% e 2,5%,gli incrementi procapite diventano 1,52% e 1,32% per Italia e Germania rispettivamente. Il divario di produttività rimarrà pure alto ma forse si è invertita la rotta? Ho preso questi dal sole24 ore del 31 dic. 2017 e mi viene da chiedere se sono veri tanto sono sorprendenti. Corrado Tizzoni

        • francesco daveri

          Francamente non so da dove Marco Fortis abbia preso i dati che cita nell’articolo. penso che abbia messo insieme fonti diverse, il che di solito – appunto – genera confusione. I dati da me citati indicano che le differenze di dinamica demografica tra Italia e altri paesi europei non è tanto forte da giustificare andamenti molto differenti tra Pil e Pil pro capite.

  7. Simone

    Non credo sia una crescita strutturale, quanto di riflesso, dovuta a condizioni favorevoli (tassi, prezzo petrolio ecc.) E traino del resto del mondo. La nostra crescita è trascinata dall’export. Benissimo, ma è sintomo che i consumi interni sono ancora troppo bassi. Questo aspetto si porta dietro altre due considerazioni: il fatto che esista una questione salariale in Italia ed il fatto che questo crei una situazione di malessere sociale che nessuna forza politica sembra voler affrontare.

  8. Dopo legislature prive di strategia economico-industriale, non vi sono dubbi che quella appena conclusa se non altro è riuscita ad invertire la marcia. Di conseguenza occorre intervenire su diverse linee per accompagnare una crescita ancora troppo fragile, in modo tale da poter consolidare i risultati su più fronti (pubblico e privato). Tra gli interventi prioritari: 1) revisione del sistema fiscale; 2) aggiornamento e semplificazione del welfare; 3) riduzione significativa del cuneo fiscale/contributivo; 4) Revisione dell’alternanza scuola lavoro; 5) Maggiore attenzione alle PMI con agevolazioni per la crescita/aggregazione; 6) Più attenzione ai territori per contrastare un declino sempre maggiore di centri urbani e periferie.

  9. La crescita lenta del periodo analizzato è stata aiutata dal quantitative easing di BCE e da alcuni interventi temporanei quantitativi in materia di costo del lavoro. E’ stato osservato da molti che il QE di BCE avrebbe dato risultati migliori se accompagnato da stimoli fiscali e le politiche del lavoro necessarie in periodi di crisi sono quelle qualitative (es. sostegno alla riqualificazione delle risorse umane) di lungo periodo e non gli aiuti (es. decontribuzioni) temporanei. Occasioni sprecate e risorse usate male danno risultati scarsi.

  10. Savino

    Il Qe è game over col nuovo vice presidente BCE e anche Draghi ha, di fatto esaurito il suo mandato. Ora Berlusconi può anche annunciare chi sarà il premier.

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