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Banche, il problema numero uno è l’informazione

La Commissione d’inchiesta sulle banche non è stata inutile. Forze politiche litigiose sono concordi su un punto: Consob e Banca d’Italia devono collaborare di più. I cambiamenti necessari per far sì che i risparmiatori siano più informati e tutelati.

Una Commissione utile

Di fronte allo spettacolo delle ultime audizioni, concentrate sul ruolo del ministro Boschi, e alle 390 disordinate pagine delle quattro relazioni finali (una di maggioranza e tre di minoranza) è forte la tentazione di liquidare i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta come una inutile commedia, tipica del teatrino della politica italiana. Ma sarebbe un errore.

In realtà, le relazioni contengono resoconti e suggerimenti su diversi fronti, quali: la gestione e la vigilanza sulle banche entrate in crisi, i poteri investigativi della Banca d’Italia, lo scambio di informazioni tra di essa e la Consob, la giustizia relativa ai reati finanziari, il divieto di collocare prodotti d’investimento complessi, la re-introduzione degli scenari di probabilità nelle informazioni da dare agli investitori. Certo sarebbe stato meglio avere una relazione unitaria e più organica, ma non è stato possibile, anche per il clima pre-elettorale.

Giudizio unanime: migliorare il rapporto Consob-Bankitalia

C’è un problema, emerso durante le audizioni, sul quale le diverse relazioni concordano. Nelle varie vicende analizzate, da Banca Etruria a Monte dei Paschi alle popolari venete, quello che non ha funzionato è la collaborazione tra le due autorità preposte alla tutela del risparmio: Consob e Banca d’Italia. Quest’ultima è venuta a conoscenza di elementi critici, relativi alla gestione di quelle banche e ai prodotti di investimento offerti ai risparmiatori, che non sono stati utilizzati nella redazione dei prospetti informativi, autorizzati dalla Consob. Ciò è avvenuto nonostante la legge preveda un obbligo di scambio di informazioni tra le due autorità, escludendo che possa essere opposto il segreto d’ufficio nei rapporti tra di esse.

La relazione di maggioranza (pag. 175) propone allora di rendere più preciso l’obbligo di collaborazione, imponendo che le due autorità si scambino i verbali delle ispezioni, allegando una descrizione sintetica delle prescrizioni fatte alla banca oggetto di ispezione (precisando se alcune informazioni debbano restare riservate per ragioni di tutela della stabilità). Se la Banca d’Italia dà indicazioni a una banca vigilata, la Consob deve controllare che vengano riportate nel prospetto informativo. In questo modo, si dovrebbe evitare che una banca possa astenersi dal rendere pubbliche indicazioni ricevute dalla Banca d’Italia, sfruttando il fatto che l’autorità preposta alla tutela della trasparenza, la Consob, non ne è a conoscenza. È interessante che il suggerimento sia ripreso alla lettera in una delle relazioni di minoranza (pag. 344), a dimostrazione che sulla necessità di una maggiore collaborazione tra le due autorità vi è stata una convergenza persino tra le litigiose forze politiche rappresentate nella Commissione parlamentare.

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Naturalmente, ritoccare i protocolli di intesa tra le due autorità non risolverà il problema, se non cambierà davvero il rapporto tra di esse, finora improntato a una reciproca diffidenza. Occorre che i vertici delle due istituzioni facciano uno sforzo per aumentare il livello di collaborazione reciproca. Altrimenti il modello di vigilanza che prevede una ripartizione dei compiti per finalità (stabilità alla Banca d’Italia e trasparenza alla Consob) non potrà mai funzionare. Da questo punto di vista, un ricambio della massima carica può essere un segnale positivo: è quello che sta accadendo in Consob, ma non in Banca d’Italia.

La protezione del risparmiatore

Analogamente, introdurre informazioni più accurate nei prospetti informativi non cambierà davvero le cose, se allo stesso tempo non si passerà da una tutela formale a una tutela sostanziale dei risparmiatori. I prospetti informativi sono documenti lunghi centinaia di pagine, che gli investitori al dettaglio non leggono. Bisogna invece che i risparmiatori ricevano poche e chiare informazioni sui rischi dei prodotti di investimento. Il Kid (Key Information Document), previsto dalla direttiva Mifid, assolve a questa funzione, ma non è privo di elementi troppo tecnici ed è richiesto solo per i prodotti di risparmio gestito (ad esempio i fondi comuni), non per le obbligazioni. Gioverebbe anche una indicazione esplicita della probabilità con cui è possibile incorrere in perdite elevate.

Le autorità dovrebbero utilizzare il loro potere di vietare la vendita di prodotti complessi: se in passato avessero dissuaso le banche dal collocare obbligazioni subordinate ai risparmiatori al dettaglio, molti guai prodotti dai dissesti bancari sarebbero stati evitati.

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  1. Savino

    La Consob, contrariamente a quanto dicevano politici e commentatori (concentratisi più su Bankitalia), esce da questa vicenda con scarsa credibilità. I prodotti finanziari sono stati venduti in Italia come detersivi ad un target generico ed impreparato sulle prospettive. Essi sono incompatibili con le formule di risparmio portate avanti dagli italiani. Non basta, quindi, la trasparenza, ma bisogna rimodulare le ipotesi di piccolo e medio investimento, mettendole in sintonia con il sentiment del Paese.

  2. Henri Schmit

    Non penso che una maggiore “collaborazione” fra le due autorità sia la soluzione per evitare i disastri del recente passato. Al contrario, i compiti e le responsabilità devono essere precisi e quindi distinti. Le accuse incrociate davanti alla commissione d’inchiesta non segnalano una mancanza di collaborazione, ma un eccesso di mala fede (non dire tutto, far ricadere le colpe apparenti sull’altro), di gioco delle parti, in una vicenda che ha rivelato le incapacità sostanziali delle due autorità. Gli esponenti della Consob hanno fatto la figura peggiore, ma le responsabilità maggiori sono dalla parte di Bankit: le emissioni delle banche disperate perché disastrate erano solo un epifenomeno del vero problema, le immense sofferenze create dai singoli istituti, ma gonfiate da un sistema inefficiente (procedure, inefficienze). La protezione del risparmio non spetta solo alle autorità, ma prima (sopra) di loro al legislatore, al governo e al sistema giudiziario. Nonostante l’inquadramento europeo tutti insieme hanno clamorosamente fallito. E sembrano aver imparato molto dalla lezione.

  3. Giuseppe Guglielmo Santorsola

    Segnalo un errore nel testo; la MiFID prevede il KIID e non il KID (investors la seconda I).Il KID è per i FIA di cui alla AIFMD.
    Nello specifico, il problema dalla Commissione non affrontato è quello della cornice normativa che non assegna chiara oneri (oltre che poteri) alle Authority. Manca quindi autocritica dei Commissari regulators. Resta anche la ritrosia delle Authority nell’intervenire nella fase critica, operando invece nella fase di dissesto. Infine, nessuna banca può essere gestita di fatto da un solo soggetto (il principi dei vieraugen di cui alla Direttiva del 1985). In tutti gli 8 casi critici (escludendo le 3 banche acquisite da CreditAgricole) vi è stato eccesso di potere in mano ad un unico soggetto, fattore da impedire con stringenti regole di Governance. Ricordiamoci che la banca è soggetto potente e quindi frangibile quando non riesce a dimostrare la potenza stessa che le viene riconosciuta. Commissione non utile perchè ha cercato colpevoli (con scarico circolare fra tutti i soggetti) e non offerto un quadro di soluzioni.

  4. serlio

    Una domanda semplice cui non è stata data risposta: cosa ci fanno i politici nei board delle banche?
    a prendere soldi e fare finta di niente rispetto alle nefandezze a danno dei risparmiatori? oppure a favorire i loro interessi di partito, sempre a danno dei risparmiatori? oppure causa la loro incompetenza, non se ne sono neppure accorti?
    in ogni caso, un altro esempio di invadenza nefanda della politica nella attività della vita civile, da cui dovrebbe starsene lontano. I politici nel board delle banche sono quindi un pericolo per la collettività e per il sistema politico stesso che viene quindi coinvolto in ogni scandalo, giustamente.
    La politica, quella vera, dovrebbe promuovere la competenza e non la fedeltà (quella è dei cani..) e sopratutto tutelare la collettività, ma visto non che ci riesce, allora deve stare il più possibile lontano dalle attività economiche.

  5. Lorenzo

    Una Commissione presieduta da un Presidente poi candidato nelle liste del partito più impegolato nella questione.
    Un verdetto segretato. Domande inammissibili a discrezione del Presidente.
    Una commissione che poteva essere un esame di coscienza di una classe dirigente che per decenni ha visto aggrovigliarsi in un’orgia di autoreferenzialità Politica/Imprenditoria/Stampa-informazione, il tutto generando una montagna di debiti inesigibili.
    …e mi tocca leggere “La Commissione d’inchiesta sulle banche non è stata inutile”.
    Sono stati sentiti gli amministratori? sono stati sentiti i responsabili delle Direzioni Crediti? sono stati interrogati i responsabili sul controllo interno?ci si è interrogati sui metodi e i modelli con cui veniva elargito il credito?
    Sentire che il risultato di una commissione sulle banche dopo lo Tsunami Creditizio (che ha origini culturali prima di tutto nella classe dirigente) ha partorito un verdetto del tipo “serve più comunicazione tra Consob e Bankit”, dopo aver testimoniato a come questa Commissione è stata organizzata e gestita, fa cadere in terra le braccia,
    No Professor Baglioni, La Commissione sulle banche non solo è stata inutile, ma ancora più una grandissima, ennessima presa in giro.

  6. Michele

    La contraddizione sta alla base: spesso stabilità e trasparenza non vanno d’accordo. La trasparenza spesso mina la stabilità. Basta guardare alla vicenda delle obbligazioni subordinate. Occorrerebbe chiaramente stabilire la supremazia della tutela della trasparenza. Ma soprattutto occorre passare da una tutela formale a una sostanziale. I documenti informativi li leggono in pochissimi anche tra i professionisti. Oggi servono soprattutto a tutelare gli emittenti e i regolatori e non i risparmiatori

  7. Henri Schmit

    Certo, l’INFORMAZIONE è fondamentale sia per il mercato degli strumenti finanziari vigilato da Consob sia per la pubblicazione dei dati di bilancio delle banche di cui BdI monitora la solidità. Ma le regole c’erano già, bisognava solo applicarle, e correttamente. La concezione formalistica del diritto rende le regole più semplici complicate, non nell’interesse di coloro che la legge garantisce ma di coloro che grazie alla legge si arricchiscono, operatori senza scrupoli e i loro consulenti che fatta la legge trovano l’inganno. Invece di sanzionare errori formali involontari bisogna punire la mala fede e l’inganno. Si tratta di un problema culturale. Se si cambiasse paradigma, una grossa fetta dei professionisti più pagati si troverebbe senza lavoro. Loro e il bizantinismo normativo sono un dazio interno sull’economia. Ma se ai legislatori e ai governanti è concesso ingannare, sostenere cose palesemente false, promettere l’impossibile, e in alcuni casi frodare impunemente, come si può attendersi che l’opinione pubblica e gli operatori economici agiscano diversamente? Le causa del dissesto bancario è il credito facile (mismanagement) che permette l’arricchimento dei non meritevoli (potenti), non adeguatamente vigilato, per troppo tempo ignorato e negato (opportunismo colpevole delle autorità e dei governanti), e le procedure risolutive delle sofferenze troppo farraginose (colpa di tutti: legislatori, governo, autorità, consulenti e commentatori).

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