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Sì o no alla neutralità della rete?

Gli Usa hanno abbandonato il principio di neutralità di Internet. Il tema è ostico perché contrappone il principio della democrazia sulla rete con quello della libertà di scelta imprenditoriale di chi la fornisce. La soluzione è nella sperimentazione.

Negli Usa cancellata la neutralità della rete

Come cambierà il panorama di Internet dopo che la Federal Communication Commission (Fcc) – nella sua nuova composizione dopo le nomine del presidente Trump – ha deciso a maggioranza assoluta di procedere all’eliminazione del principio della cosiddetta neutralità della rete?

Ma che cos’è la net neutrality? Si tratta del principio secondo cui gli Isp (Internet Service Provider) – le società di telecomunicazioni che forniscono agli utenti l’accesso a Internet su rete fissa e mobile – (i) non possono bloccare l’accesso alla rete stessa dei contenuti (a meno che questi non siano illegali), (ii) devono praticare a tutti lo stesso prezzo, a prescindere dal tipo di contenuti e dall’identità di chi li fornisce e di chi li usufruisce e (iii) non devono dare la precedenza sulla rete a un fornitore di contenuti o a un tipo di contenuti rispetto a un altro.

Il principio è stato introdotto esplicitamente dalla Fcc solo nel 2015 e l’idea sottostante è che la rete sia un bene comune a cui tutti possono accedere senza discriminazioni di prezzo e di precedenza, e senza blocchi. Dal punto di vista della teoria economica, quanto più gli Isp assomigliano a un monopolio tanto più l’autorità di regolamentazione deve preoccuparsi di evitare l’abuso della posizione dominante, che all’estremo si traduce in un blocco di contenuti sgraditi che siano prodotti da soggetti deboli, oppure nel fissare prezzi eccessivi a danno di questi contenuti, dal lato del fornitore o dell’utente.

Dall’altra parte, se esiste un grado soddisfacente di concorrenza tra Isp, questo tipo di preoccupazioni dovrebbe essere meno rilevante, in quanto si crea un’opportunità di profitto per un provider che dia accesso o pratichi un prezzo più ragionevole a un fornitore di contenuti bloccato o tartassato nei prezzi dagli altri. Si può anche ragionare sul fatto che esiste una differenza importante tra blocco dell’accesso e prezzi differenziati, e che naturalmente questa differenza si assottiglia se i prezzi sono terribilmente differenziati.

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Nelle loro interazioni con la Fcc, le società di telecomunicazioni che forniscono il servizio di Internet hanno anche sollevato il tema degli investimenti. In breve, il ragionamento è questo: “se facessimo pagare di più coloro che utilizzano una larga banda di traffico Internet, ad esempio per trasmettere video ad alta definizione, con conseguente rischio di congestione della rete stessa, allora potremmo ottenere più risorse per potenziare la rete proprio grazie ai ricavi netti aggiuntivi”. Con la neutralità della rete, le Isp dovrebbero alzare i prezzi per il traffico anche per i produttori di contenuti che non hanno una disponibilità sufficiente a pagare, dunque con l’effetto paradossale di spingerli fuori dalla rete. Sempre sotto net neutrality, la soluzione alternativa è quella di non praticare l’aumento di prezzi a nessuno: si evita l’effetto di esclusione dal mercato, ma nel contempo si limitano di fatto le risorse disponibili per investimenti nella rete. In effetti, come ben raccontato qui da Tortuga, gli investimenti da parte dei fornitori di banda larga sono per la prima volta leggermente scesi nel 2015 e nel 2016 (dopo il forte calo avvenuto durante la grande recessione del 2008/2009), cioè dopo l’introduzione esplicita della net neutrality da parte della Fcc. Peraltro, il problema della capacità trasmissiva limitata e della necessità di investimenti nella rete mantiene la sua rilevanza anche in presenza di molti Isp, e dunque la ragione “nobile” per consentire prezzi differenziati in base alla capacità di banda richiesta parimenti resta valida.

Sperimentare prima di decidere

Quale posizione assumere su questo tema ostico, che fa cozzare l’uno contro l’altro il principio della democrazia sulla rete e la libertà di scelta imprenditoriale di chi la rete fornisce? Se è per l’appunto difficile fornire una risposta finale, perlomeno si possono fare alcune riflessioni specifiche, che possano facilitare il cammino verso qualche risposta (provvisoria).

È buona cosa che la Fcc abbia imposto la trasparenza sulle eventuali discriminazioni di prezzo praticate dagli Isp, perché cittadini e imprese possano giudicare con le loro stesse scelte di consumo oppure formare un’opinione pubblica più o meno favorevole o sfavorevole.

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Quanto più il mercato degli Isp assomiglia a un monopolio in una certa area geografica, tanto più è necessario prestare attenzione a comportamenti discriminatori da parte loro, per cui la net neutrality può essere considerata come un modo prudente di regolamentare la materia. Viceversa, un mercato caratterizzato da un grado di concorrenza sufficiente tra Isp giustifica in misura maggiore la nuova scelta da parte della Fcc.

Per ora la questione riguarda gli Stati Uniti e non l’Unione europea. Considerato però che esistono pro e contro per entrambe le scelte, si potrebbe pensare di effettuare esperimenti. Si potrebbe cioè verificare in maniera scientificamente più solida che cosa accade ai prezzi se in una certa area geografica (ad esempio in una regione italiana) o per un certo sottoinsieme di contenuti viene allentato il principio della net neutrality, rispetto ad altre regioni o contenuti per cui la neutralità viene mantenuta.

L’empirismo anglosassone è ben sintetizzato dal detto “the proof of the pudding is in the eating” (“la prova del budino sta nel mangiarlo”): i bit di informazione non si mangiano, ma le prove sul funzionamento efficiente e democratico di Internet si possono fare lo stesso.

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  1. giovanni

    Le dispsrità regionali già esistono, nel senso che ad. es la fibra è disponibile solo in alcune zone o città, non solo, anche il WIMAX è disponibile solo in alcune zone. Per cui questa preoccupazione non dovrebbe essistere dato che conviviamo con questa situazione da sempre. Di questo passo bisognerebbe proibire SKY e Mediaset che danno dei servizi di televisione digitale a pagamento, mentre gli altri che non pagano questi servizi si debbono contentare della TV digitale generica. O Ryanair e Easyjet che ti fanno pagare l’imbarco prioritario. Resta il fatto che un sacco di gente con Whatsapp e tweet ed altre inutilezze del genere intasa la rete con stupidaggini a scapito di avere a disposizione banda utile per trasmissione di dati veri. Una differenziazione di tariffe in base all’uso che si fa di Internet non mi sembra fuori dal mondo. La cosa fondamentale è vigilare che ci sia una effettiva concorrenza da parte delle offerte degli ISP.

  2. Savino

    La rete non è mai stata neutrale. Assolutamente sbagliato dire ai suoi utenti, soprattutto giovani, che essa sia “free”, poichè, nell’uso privato, qualcuno (i genitori di quei giovani nella fattispecie) la paga una tariffa fatturata.
    Quanto ai contenuti, i fini più utilizzati sono stati l’e-commerce, il marketing, le profilazione, le fake news e la propaganda, le frodi telematiche e, perfino, il terrorismo e la pedopornografia.
    Quale altro prezzo dobbiamo pagare?

  3. Onestamente, le ragioni a favore della Net Neutrality si riducono alla possibilità per le Telco di fare più soldi, vendendo banda al miglior offerente.
    Che ci sia bisogno di una sperimentazione per capire se questo favorisca la libertà e la pluralità di presenza online mi pare dubbio.

    • Filippo Ottonieri

      Ovviamente intendevo: a sfavore della Net Neutrality…

  4. Earnest

    se io fossi Google o Netflix all’idea di pagare di più per il consumo di banda, risponderei comprandomi gli ISP…. a quel punto il produttore/diffusore di contenuti diventa pure padrone della rete di divulgazione….e voilà, la frittata è servita

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