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Ma la Costituzione annulla il codice etico del M5s

Il codice etico del Movimento 5 stelle considera i parlamentari eletti nelle sue liste come meri strumenti operativi, ai quali non viene riconosciuta alcuna autonomia. Ma è in contrasto con la Costituzione e con il richiamo all’interesse del paese.

Il codice e il vincolo di mandato

L’assenza di controlli esterni in ordine al “metodo democratico” attraverso cui i partiti politici concorrono a determinare la politica nazionale è stata sempre oggetto di approfondimenti e polemiche, vista l’indiscussa importanza che la Costituzione attribuisce a queste associazioni private non riconosciute. Se è però evidente il disinteresse fin qui manifestato dai partiti tradizionali per l’introduzione di regole statutarie che finirebbero per limitare l’autonomia decisionale dei propri dirigenti, con l’avvento del “non partito” di Beppe Grillo si assiste a una inversione di tendenza.

La partecipazione degli associati al Movimento 5 stelle è sottoposta infatti a un numero spropositato di regole, limiti e vincoli che superano anche i confini privatistici della giurisdizione domestica, come accade con il recente codice di comportamento che i candidati M5s alle elezioni per il rinnovo del parlamento sono chiamati a sottoscrivere.

Nel codice non si fa alcun mistero nel considerare i parlamentari eletti come meri strumenti operativi del Movimento, ai quali non viene riconosciuta alcuna autonomia, se non quella di promuovere iniziative per l’attuazione del programma del Movimento. La conferma arriva dallo stesso Grillo che in un post riportato l’11/1/2018 sul sito web istituzionale del Movimento così scrive “L’unico modo per eliminare l’effetto cadrega è il vincolo di mandato. Chi tradisce gli elettori e non è più d’accordo con il programma per il quale è stato eletto, se ne torna a casa e lascia spazio al primo dei non eletti”.

Ora, sembra evidente e costante l’interferenza di questioni interne al Movimento nell’esercizio di funzioni pubbliche derivanti dal mandato elettivo dei futuri parlamentari che tanto ricorda il mandato imperativo e revocabile caldeggiato sia da Marx che da Lenin e introdotto poi nella Costituzione sovietica e delle Repubbliche popolari.

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L’interesse esclusivo della nazione

Agli ideologi del codice etico sembra infatti sfuggire la differenza tra il cittadino appartenente a un’associazione partitica in forza di un’adesione ideale e il cittadino a cui sono state affidate importanti funzioni pubbliche in forza di un mandato elettivo (articoli 49, 51 e 54 della Costituzione). Se i cittadini che esercitano funzioni pubbliche, oltre a essere ancora più fedeli alla Repubblica e ancora più rispettosi della Costituzione e delle sue leggi, sono chiamati a farlo con diligenza e onore, coloro che nel contesto delle stesse funzioni pubbliche sono chiamati a esercitare anche funzioni legislative devono farlo a tutela dei soli interessi pubblici e, comunque, nell’esclusivo interesse della nazione. Peraltro, per la Corte costituzionale “(…) ammesso il rapporto, che il legislatore può stabilire, tra partiti e liste elettorali, dando alle formazioni politiche la facoltà di presentare proprie liste di candidati, non ne segue l’identificazione tra liste elettorali e partiti” (sentenza della Corte costituzionale n. 15/2008). Indossata quindi la veste istituzionale, la carica elettiva è pienamente parte integrante della più ampia articolazione istituzionale ed esercita la propria funzione pubblica per tutta la durata del mandato, senza vincolo di mandato come prescrive l’articolo 67 della Costituzione. Nulla di privatistico emerge nell’esercizio della funzione pubblica. Al contrario, l’esercizio della funzione parlamentare s’incasella nella più pregnante funzione pubblicistica che la Costituzione affida al parlamento, nel contesto di un pluralistico e democratico confronto dialettico all’interno delle rispettive camere.

L’emancipazione dell’eletto dal partito politico di riferimento si ripercuote inevitabilmente anche sulla natura istituzionale del gruppo politico. Infatti, se per i giudici di Pazza Spada “(…) in via generale il gruppo consiliare non è un’appendice del partito politico di cui è esponenziale ma ha una specifica configurazione istituzionale come articolazione del consiglio regionale, i cui componenti esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato dai partiti e dagli elettori (…)” (sentenza del Consiglio di Stato n. 8145/2010), a maggior ragione non potranno essere considerati un appendice del M5s i futuri parlamentari eletti in quelle liste. E ciò a prescindere, e indipendentemente, dalla sottoscrizione del codice di comportamento, la cui violazione, semmai, può rilevare ai soli fini delle regole interne al Movimento e non certo per piegare a esigenze di parte interessi che devono continuare a essere considerati pubblici e riferiti esclusivamente alla nazione.

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  1. Savino

    Forse non era proprio il caso di lasciare la Costituzione così com’è e o di lasciarla inapplicata. Forse era il caso di apportarvi alcune modifiche o di fare delle leggi applicative sui temi del vincolo di mandato, della rappresentanza politica e della democrazia interna ai partiti.
    Ad esempio, nel sistema parlamentare e politico britannico il legame partito-gruppo-esecutivo (reale ovvero “ombra”) è molto stretto, per cui non succede che pochi cani sciolti trasversali formino un gruppo parlamentare.
    Idem nel sistema parlamentare e politico tedesco dove, con la sfiducia costruttiva, le maggioranze sono sempre predefinite. O, ancora, una legge ad hoc sui partiti avrebbe dato applicazione al loro ruolo pubblicistico di concorrere all’esercizio della politica nazionale.

  2. Henri Schmit

    Ottimo articolo, che condivido interamente; anche nella forma: tutto è argomentato, nessun richiamo a maestri di comodo. Non solo Marx e Lenin, ma anche Hans Kelsen ha definito il libero mandato come una “grossolana finzione”. Alcuni accademici italiani (Salvatore Curreri, 2006) seguono le orme del “faux pas” di Kelsen. Tutti i leader partitici di fatto rivendicano la stessa logica del vincolo di mandato, riflesso nelle scandalose liste bloccate e nella polemica malfondata contro i rappresentanti che si dissociano dal loro partito … o cambiano gruppo. Sono le logiche del potere studiate dalle scienze politiche che hanno preso il sopravento sulla logica dei diritti (Antonio Floridia, 2017), fino a condizionare la giurisprudenza costituzionale in materia elettorale (sentenze 1/2014 e 35/2017): secondo i giudici i partiti non solo devono selezionare i loro candidati, ma possono pure decidere attraverso liste bloccate corte o parziali l’ordine di elezione, un diritto che la Costituzione aveva riservato agli elettori. L’alterazione dei principi della democrazia costituzionale non è quindi un’esclusiva del M5S.

  3. Riccardo

    A livello psicologico credo funzioni così. Per quanto quasi certamente il contratto privato firmato dal consigliere comunale che lo obbliga a votare secondo le direttive del partito pena i 100.000€ di multa sia invalido, poca gente ha voglia di rischiare e di impegnarsi in una lunga e costosa battaglia legale per provarlo. Meglio il quieto vivere e il voto seguendo i dettami della direzione del partito.
    Per questo, secondo me, questo contratto privato non solo è in contrasto con la Costituzione ma è dannoso per tutti i cittadini perchè, pur se probabilmente invalido, fino a che non viene con certezza dichiarato tale ostacola la difesa degli interessi pubblici da parte dell’eletto grillino, che non può agire liberamente pena la minaccia della battaglia legale detta sopra.
    Non a caso gli eletti grillini vengono generalmente scelti tra persone con poca disponibilità economica e competenze “non alte”: lo si fa – anche – per diminuire la probabilità che un eletto decida di “vedere il bluff” e andare in tribunale per far dichiarare invalido il pezzo di carta firmato prima dell’elezione.

  4. Luigi Zundap

    Tutto molto bello e corretto ma come si applicano queste affermazioni al comportamento da “voltagabbana” dei parlamentari uscenti ??
    Il parlamento appena terminato ha visto oltre un terzo dei parlamentari cambiare partito/movimento ed alcuni piu’ volte e questo non è stato certamente nell’interesse degli italiani elettori.
    La norma dovrebbe inserire il vincolo che il parlamentare, nel caso non si riconosce piu’ nella linea politica del partito/movimento, non puo’ continuare in un altro gruppo ma debba essere dichiarato decaduto perché tradisce il mandato degli elettori.
    Un parlamentare è eletto da parte degli elettori affinchè segua la linea politica del partito in cui si è candidato.
    Se non lo fa non rappresenta piu’ nessun elettore ma solo sé stesso e quindi deve andare a casa.

    • Carlo De Vincentiis

      ehm…
      non esageriamo. I parlamentari sono individui non parti di un organismo politico. Non abbiamo in parlamento dei leviatani di Hobbes che si scontrano ma individui che agiscono in maniera autonoma nei gruppi parlamentari rappresentando i cittadini della propria circoscrizione.
      Se i parlamentari fanno i voltagabbana la colpa è di chi li ha votati che non li controlla. In altri paesi se uno si comporta male i cittadini stessi richiedono la presenza del proprio parlamentare.
      Invece i cittadini italiani nemmeno sanno chi hanno votato e se lo dimenticano.
      Il voltagabbana è una questione ridicola se rapportata a questo principio sacrosanto che è l’autonomia parlamentare.

    • Gio

      E chi dice che nel frattempo anche il suo elettore non abbia cambiato idea? oppure che l’elettore si sia pentito del suo voto? il parlamentare deve ragionare con la sua testa, altrimenti eleggiamo solo i capi partito ed evitiamo di pagare migliaia di stipendi inutili.
      In questo tempo in cui quasi tutti i partiti sono personali introdurre il vincolo di mandato sarebbe come strisciare lentamente verso l’autoritarismo

  5. Carlo

    Vorrei capire come mai un contratto simile, che vincolava la sindaca Raggi a rispettare la linea del partito, è invece stato ritenuto valido dalla magistratura. Da non giurista, non riesco a capacitarmene.

    • Federico

      La magistratura in quel caso non stabilì la nullità o meno del contratto, ma si limitò ad osservare che il ricorrente (che non era una delle parti firmatarie) non aveva titolo a fare rimostranze sul contratto.

      Il punto diverrebbe interessante solo se si innescasse il meccanismo delle sanzioni previste dal contratto. E.g.: un parlamentare/sindaco del M5S fa qualcosa contrario al patto, il M5S o chi per esso chiede il pagamento della sanzione. Se cercasse di farlo via decreto ingiuntivo il sanzionato ricorrerebbe e a tal punto avrebbe la pressoché certezza di vedere il contratto dichiarato nullo (avendo il titolo per farlo!)

      D’altronde la stessa cosa avviene, per esempio, per il PD quando chiede ai deputati di versare la quota pattuita al partito. Perché Bonifazi si spreca in appelli a Grasso a pagare? Perché non ingiunge il pagamento? Proprio perché quello è al massimo, per il parlamentare, un vincolo morale ma non certo garantito dalla legge.

  6. Stefano

    Indubbiamente non è elegante e politicamente poco corretto pagare una multa per la esprimere il proprio dissenso (specialmente per un eletto poco abbiente). Ad ogni modo credo che gli attuali stipendi parlamentari (con magari il contributo di un altro partito) possano garantire il pagamento di simili multe, pur rimanendo il parlamentare in carica, così che possa continuare ad esprimere liberamente il proprio pensiero, come garantisce la Costituzione.

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