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Abbattere le emissioni e i costi delle politiche ambientali

Nelle decisioni di politica ambientale non vengono utilizzati gli strumenti di analisi comparata, che permetterebbero di minimizzare i costi di abbattimento delle emissioni. Così alcuni settori sono colpiti con durezza, mentre altri vengono sussidiati.

Mancano le analisi comparate

A parità di risorse pubbliche e private disponibili, seguire politiche ambientali che non minimizzino i costi economici di abbattimento delle emissioni danneggia l’ambiente (si abbatteranno meno inquinanti). Il concetto sembra addirittura banale. E, proprio per questa ragione appare relativamente limitata la ricerca comparata sui costi sociali di abbattimento (si pensi per l’Italia al finanziamento delle fonti energetiche alternative a quelle fossili, che ha dato luogo a risultati palesemente inefficienti).

All’estero, certo, ne ha trattato diffusamente William Nordhaus, poi ripreso da Paul Krugman e da Stef Proost per il settore trasporti. Di empirico tuttavia sembra esistere solo una ricerca, non recente, di McKinsey, della quale qui si riporta il grafico riepilogativo del costo marginale di abbattimento per le varie tipologie di intervento.

Grafico 1

Questo approccio è stato sviluppato anche per l’Italia (Enel), ed esiste un lavoro Enea e uno sul comune di Milano (Iefe Bocconi). Tuttavia permangono problemi rilevanti: per esempio, nei trasporti sembra impossibile quantificare il costo-opportunità del cambio modale, che è la politica ambientale oggi dominante per il settore.

Va anche osservato che il problema è molto “country-specific” (specifico in relazione al paese considerato), e per tre buoni motivi: le emissioni generate dai diversi settori sono diverse, come sono diverse le politiche messe in atto. È evidente, per esempio, che il livello di sussidio o di tassazione (che internalizzi i costi esterni) varia da paese a paese.

Anche gli effetti delle politiche possono essere differenziati (differenti elasticità ai prezzi, anche se il teorema di Ramsey-Boiteaux non sembra qui direttamente utilizzabile). Ne consegue che senza questi elementi appare molto difficile configurare politiche razionali di intervento o di modifica di quelle in atto.

Non inquinano solo i trasporti

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Al fine di configurare politiche realistiche, è necessario anche parlare di costi sociali, cioè di aspetti distributivi e occupazionali. Per esempio, la politica ambientale in atto per il cambio modale a favore della ferrovia, dovrebbe tener conto che il modo stradale ha una molto più alta intensità di lavoro di quello ferroviario.

Tra i costi economici, poi, occorre tener conto anche del prezzo-ombra degli standard e dei vincoli, molto spesso usati in sostituzione o in rinforzo degli strumenti fiscali per ragioni distributive e tuttavia non per questo meno rilevanti. Il primo è assai più semplice da calcolare ed è il costo tecnico generato direttamente dallo standard (per esempio, il costo di produzione di un veicolo a basse emissioni rispetto a uno fuori standard, a parità di prestazioni: si pensi ai veicoli ibridi con doppia motorizzazione).

Per i vincoli, le tecniche sono più complesse e si basano sulla determinazione della “disponibilità a pagare” per superare il vincolo.

Anche i livelli già presenti di internalizzazione rappresentano un campo in cui analisi più accurate sembrano necessarie: assumendo, per rimanere sempre nel campo dei trasporti, che la pressione fiscale rifletta gran parte dei costi sociali causati del modo stradale in Europa (si veda la ricerca del Fondo monetario internazionale sul tema), sarebbero da valutarsi con attenzione gli effetti occupazionali e distributivi di questa politica, almeno in relazione ad altri interventi che si potrebbero adottare in settori diversi.

Si pensi in particolare ai settori molto inquinanti che risultano addirittura sussidiati. Il principale è l’agricoltura, che non solo è responsabile di parte delle emissioni climalteranti, ma che nei paesi europei ha oggi un ruolo predominante in termini di inquinamento atmosferico con i composti azotati, ma anche le acque, fino a provocare periodici fenomeni di eutrofizzazione in mare, e che presenta in Italia livelli di occupazione molto bassi. Il livello attuale dei sussidi pubblici per l’agricoltura non è semplice da quantificare, anche perché disperso in molti rivoli diretti e indiretti, ma l’ordine di grandezza è probabilmente compreso tra i 6 e i 10 miliardi di euro annui (si veda in proposito la recente ricerca dell’ufficio studi del Senato).

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Una ulteriore scorciatoia tecnica per valutare interventi settoriali sarebbe quella di definire un parametro nazionale per gli impatti sulla finanza pubblica dei singoli interventi, cioè il costo-opportunità marginale dei fondi pubblici (Comfp). La Commissione europea è restia a richiederne la definizione per ragioni sia teoriche che di consenso, tuttavia lo strumento, già in uso in diversi paesi, avrebbe una rilevante utilità pratica nella valutazione economica di interventi singoli: il ministero delle Infrastrutture e del Trasporti ne ha già raccomandato l’introduzione nelle sue linee guida.

Per concludere: come si spiega l’insufficiente uso di strumenti di analisi comparata per minimizzare i costi di abbattimento delle politiche ambientali, in un contesto che le vede giocare un ruolo crescente, anche nella sensibilità pubblica? Purtroppo, l’esistenza di solidi interessi costituiti nel settore, e obiettivi di consenso politico a breve termine, sembrano le motivazioni più verosimili.

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  1. Nino

    In quale contesto viene osservata l’assenza di analisi comparata (stato, regioni)? La Commissione Europea pubblica regolarmente degli “impact assessment” delle proprie proposte, per esempio questo su “passenger cars”
    https://ec.europa.eu/clima/policies/transport/vehicles/cars_en#tab-0-1

  2. Federico Leva

    Stabilire tali coefficienti è certo utile. Eliminare i sussidi controproducenti dovrebbe essere ovvio, ma anche fra quelli positivi è difficile concentrarsi solo sui piú efficienti: contano anche i totali realizzabili e le effettive possibilità di sostituzione. Il grafico mostra che la conversione a LED è massimamente efficiente, ma il numero di lampadine da convertire è pur sempre limitato. Anche gli interventi di risparmio energetico in edilizia, nonostante incentivi illimitati, non crescono a velocità tale da poter assorbire dall’oggi al domani i miliardi di euro spesi in interventi meno efficienti.

  3. Gemma

    Potreste aggiungere le references dell’articolo di Nordhaus, Krugman e della ricerca McKinsey?

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