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Terzo tempo per il contrasto all’evasione

L’obbligo di fatturazione elettronica è il terzo elemento di una riforma che mira a contrastare l’evasione. Ma la sua efficacia dipende dalla capacità di trasformare la grande quantità di dati raccolti in qualità dell’azione di prevenzione e adeguamento.

Dalle comunicazioni alla fatturazione elettronica

La fatturazione elettronica obbligatoria dal 2019 rappresenta il “terzo tempo” delle riforme varate in questa legislatura per contrastare l’evasione dell’Iva e delle imposte sul reddito nelle transazioni business-to-business.

La prima iniziativa è stata, nel 2014, l’introduzione del “cambiaverso”, ovvero l’idea di istituzionalizzare e regolamentare legislativamente la pratica di invio di comunicazioni al contribuente, finalizzate all’autocorrezione delle dichiarazioni e all’adeguamento spontaneo. Sebbene non siano limitate alle imprese, l’ispirazione originaria venne proprio dall’osservazione che nelle transazioni B2B le comunicazioni si possono basare sul confronto tra le informazioni fornite dalle due parti, cioè i ricavi dichiarati dal fornitore e i costi dedotti dal cliente.

Tuttavia, tra tutte le comunicazioni inviate dall’Agenzia, quelle relative alle transazioni business-to-business anomale sono state le meno efficaci, e ciò a causa di diversi problemi, tra cui la scarsa affidabilità e tempestività dello “spesometro”, lo strumento che contiene le informazioni relative a questo tipo di transazioni. Nella legge di bilancio per il 2017 arriva quindi il “secondo tempo”: il cambiamento dello spesometro, con il passaggio dal suo invio annuale a quello trimestrale, poi riportato a semestrale in via opzionale, e la sua estensione alla generalità delle transazioni.

L’idea è di sostituire l’invio a posteriori di un numero limitato di comunicazioni con la trasmissione quasi in tempo reale al contribuente, nel suo “cassetto fiscale”, dell’insieme delle informazioni ottenute, ossia di tutti gli importi segnalati come acquisti e cessioni nei suoi confronti.

Il terzo tempo è appunto nella legge di bilancio ora in discussione, che impone l’obbligo, a partire dal 2019, di inviare al sistema centralizzato dell’Agenzia delle Entrate tutte le fatture di vendita emesse e tutte quelle registrate in acquisto. La ragione è presumibilmente legata alla maggiore forza probatoria della fattura: mentre nello spesometro gli importi possono essere erroneamente indicati con conseguenze limitate, la fattura è il documento giuridico-contabile che attesta l’importo della transazione.

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Due condizioni per il cambiamento

La direzione di marcia è nel suo insieme comprensibile e condivisibile, ma non per questo possono essere sottovalutati gli aspetti critici, che con il passare del tempo crescono di importanza.

Partiamo dalla constatazione che tutte le innovazioni normative sono costose, in primo luogo per i contribuenti che devono impiegare tempo e denaro per i nuovi adempimenti richiesti, ma anche per l’amministrazione finanziaria chiamata ad attuarle. La vicenda del nuovo spesometro, con il “baco” trovato nel sistema e l’impossibilità di invio che si è protratta per giorni ne sono un esempio plastico. I costi potrebbero essere giustificati se ne derivasse una maggiore capacità di contrasto dell’evasione e di spinta all’adempimento spontaneo. Ma la conseguenza non è automatica. Servono almeno due condizioni. La prima è che l’amministrazione finanziaria sia realmente in grado di utilizzare l’enorme afflusso di dati, elaborandoli, interpretandoli e offrendoli al contribuente in modo intellegibile. La seconda è che i contribuenti si convincano, laddove dai dati emerga l’evasione, che non conviene loro far finta di nulla ed è meglio adeguarsi prima di subire un accertamento.

A ben guardare, si tratta di un’unica condizione: che la grande quantità di dati si trasformi in qualità dell’azione di prevenzione o in spinta gentile all’adeguamento. Per l’amministrazione finanziaria è un cambiamento organizzativo enorme, che richiederebbe interventi coraggiosi sull’attuale “filiera” dell’acquisizione e gestione dei dati nonché sull’organizzazione e la selezione del personale che interagisce con il contribuente sul territorio. Solo così si potrebbe determinare un cambiamento reale nella percezione che il contribuente ha di ciò che l’amministrazione sa su di lui.

Parole e concetti simili sono stati espressi più volte in questi anni, e l’Agenzia delle Entrate ha attuato diversi cambiamenti in questa direzione, pur nella perdurante e per certi versi scandalosa situazione di penuria di personale. Ma la velocità del cambiamento non è sufficiente, e, soprattutto, è inversamente proporzionale alla velocità di accumulo di nuovi adempimenti che il legislatore impone ai contribuenti, con l’obiettivo ormai evidente di avere nuove norme da inserire e da cifrare nella legge di bilancio.

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Una proposta seria di contrasto dell’evasione di massa dovrebbe partire da qui, dalla riforma dell’amministrazione finanziaria, dal reperimento di personale adatto, nonché dalla revisione della legge sulla privacy che spesso pone ostacoli insormontabili all’uso dei dati (si veda la vicenda dell’anagrafe dei conti correnti, teoricamente esistente dal 2011). Chissà se in campagna elettorale qualcuno avrà il coraggio di parlare di queste cose, invece di rifugiarsi nello slogan facile e stantio della “lotta senza quartiere” accompagnata dall’immancabile riferimento alle “grandi multinazionali”.

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Non di soli Npl è fatto il rischio delle banche

  1. Spesometro, Comunicazioni iva periodiche e Fatturazione elettronica verso PA e B2B sono misure totalmente inutili per il contrasto all’evasione. Semmai sono strumento utile per la riscossione ed il miglioramento di questa. Ragionando a contrariis mi dica come riuscirebbe da queste comunicazioni ad individuare una vendita effettuata senza emissione di fattura (e- o meno)/ricevuta fiscale/scontrino. Pertanto, l’evasore non viene minimamente intaccato nella sua attività da tali procedure che quindi, vanno a colpire sia in termini di maggiori costi che di maggiori adempimenti, solo i contribuenti onesti. Creare un grande fratello fiscale non serve a nulla.

  2. marcello zoffoli

    Attualmente il regime fiscale italiano prevede che sui prodotti e servizi acquistati da privati cittadini a qualunque titolo si paghi l’IVA.
    Tipicamente il denaro usato per fare un acquisto proviene da un reddito che è già soggetto a tassazione (IRPEF) per cui si verifica il caso, non strano, ma sicuramente discutibile, per cui si paga una tassa su un’altra tassa: IRPEF su IVA.
    È chiaro che questo fenomeno non contribuisce positivamente a indurre a chiedere fattura a chicchessia.
    È altrettanto chiaro che la possibilità di scaricare l’IVA sarebbe invece un ottimo invito a comportarsi di conseguenza.
    Probabilmente non è opportuno concedere la possibilità di dedurre l’IVA dalle tasse, ma sarebbe oltremodo corretto e compatibile con il bilancio pubblico, concedere la possibilità di dedurre l’IVA dall’imponibile! Si potrebbe pensare di dare inizialmente questa possibilità a fronte di spese per acquisto prodotti, per poi estendere questo regime anche all’acquisto di servizi una volta che si siano sviluppati sistemi di addebito/accredito informatizzati.
    Supponiamo che tutte le transazioni di acquisto vengano segnalate alla AE previa acquisizione del CF del consumatore e che l’AE registri l’importo dell’ IVA pagato dal consumatore e la totalizzi su base annua e poi al momento della dichiarazione dei redditi comunichi al cittadino l’importo IVA che può scalare dal suo imponibile…

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