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Lavoro, il domani che verrà

La sostituibilità tra uomo e macchine ha raggiunto livelli prima impensabili. È difficile dire quali saranno gli effetti complessivi. Ma per affrontare questi grandi cambiamenti è necessario creare un sistema diffuso di istruzione di qualità.

Apocalittici e integrati di fronte alle nuove macchine

I grandi cambiamenti tecnologici sono stati sempre accompagnati dal timore che risparmiando lavoro avrebbero generato disoccupazione. Il termine “disoccupazione tecnologica” indica per l’appunto la perdita di posti di lavoro dovuta agli avanzamenti della conoscenza umana. Non c’è quindi di che sorprendersi se anche oggi temiamo che l’automazione e la digitalizzazione possano portare a un futuro senza lavoro. In passato questi timori si sono rilevati infondati, ci sono stati vinti e vincitori, ma nel complesso la creazione di nuovi posti di lavoro ha più che compensato quelli distrutti dall’introduzione delle nuove tecnologie. Su quanto questo dovrebbe rassicurarci le opinioni sono contrastanti.

Con la nuova rivoluzione delle macchine, come denominata da Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, la sostituibilità ha raggiunto una qualità nuova, mai sperimentata in passato: le macchine sono in grado di rimpiazzare l’uomo in compiti che eravamo abituati a pensare da egli inscindibili. I progressi nel campo del machine learning stanno rendendo possibile lo svolgimento automatico di mansioni non di routine che coinvolgono capacità di apprendimento, ragionamento e decisione. Secondo Carl B. Frey e Michael Osborne circa il 47 per cento di tutte le persone occupate negli Stati Uniti è impiegata in lavori che potrebbero essere eseguiti da computer e algoritmi nei prossimi 10-20 anni. Altri studi mostrano che il 45-60 per cento dei posti di lavoro in Europa sono a rischio di automazione. Si tratta però di analisi parziali, che non considerano gli effetti complessivi derivanti dal progresso tecnico. Non manca chi sostiene che i numeri sovrastimino la quota di occupazioni automatizzabili poiché non tengono conto del fatto che ogni occupazione include lo svolgimento di numerose mansioni, alcune delle quali ancora non facilmente sostituibili dalle macchine (creatività, l’intelligenza sociale e emotiva). Tenendo conto di questo aspetto risulta che i posti di lavoro a rischio di automazione sono molti di meno (intorno al 10 per cento). A conclusioni simili giunge anche lo studio di McKinsey commentato di recente su questo sito. Se un’occupazione è solo parzialmente automatizzabile ci si può addirittura attendere un incremento occupazionale spinto dall’accresciuta domanda che deriva dalla riduzione di prezzo dovuta dall’innovazione tecnologica. Anche i settori non direttamente colpiti dal cambiamento tecnologico potrebbero espandersi grazie ai guadagni di produttività e al lavoro liberato dalle attività svolte dalle macchine.

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Giungere a stime che tengano conto di tutti questi effetti non è facile, ma un recente lavoro di Daron Acemoglu e Pascual Restrepo, che cerca di tener conto di alcuni effetti compensativi, mostra per gli Stati Uniti un forte impatto negativo dei robot sull’occupazione e sui salari (tra il 1990 e il 2007, l’aggiunta di ogni robot nel settore manifatturiero ha comportato la perdita media di 6,2 posti di lavoro). L’effetto positivo su altre attività e settori non direttamente interessati dall’innovazione è stato invece estremamente debole.

Come affrontare il cambiamento

Se l’automazione dei lavori di routine e a bassa qualifica ha determinato, come dimostrato da numerosi studi, un incremento della diseguaglianza e la polarizzazione dei redditi, con conseguente impoverimento della classe media, cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi anni? Quanti, chi e a che prezzo riusciranno a mantenere viva la propria creatività, aggiornate le proprie competenze, alta la propria motivazione in modo da vincere la corsa contro le macchine (“Race Against the Machines”).

Essere studenti a vita è più facile a dirsi che a farsi. È indicativo il fatto, riportato nel recente libro di Thomas L. Friedman, che a seguito dell’introduzione di un programma di formazione permanente, circa il 10 per cento della forza lavoro della AT&T lascia la società ogni anno. È tanto più difficile se si tratta di lavoratori non sufficientemente istruiti. Il nostro paese sotto questo profilo soffre di un ritardo significativo ed è anche per affrontare i grandi cambiamenti che ci attendono che bisogna garantire una buona istruzione al maggior numero di individui possibile. Non basta puntare sull’eccellenza, è necessario creare un sistema diffuso di istruzione di qualità. Ai campioni andrà il grosso dei benefici, ma cercare di garantire condizioni dignitose a chi non sarà ai primi posti della classifica è la sfida da affrontare. Per rispondere al cambiamento tecnologico servono nuove “tecnologie sociali” (sistemi formativi, governativi e normativi) che permettano di trarre il meglio dai cambiamenti in atto e di ammortizzarne gli effetti negativi.

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Non si può pensare di fermare il cambiamento, è necessario invece accompagnare gli individui, aiutarli nel processo di adattamento e di comprensione degli avvenimenti. Solo in questo modo si potranno evitare strade illusoriamente semplici. Un compito impegnativo perché non ci sono risposte semplici, ma al quale sarebbe da irresponsabili sottrarsi.

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  1. Savino

    Andranno avanti, giustamente, solo i lavori in cui vi è effettiva e concreta produttività.
    I robot rendono sicuramente di più degli italiani fannulloni.

  2. Alberto

    Trovato in una testata giornalistica: rapporto dell’intelligence Americana su come sarà il mondo nel futuro – il 17 settembre del 2021 è il turno della “rivolta dei gig workers a Londra”. I “gig workers” sono i lavoratori della cosiddetta “gig economy”. Si tratta di lavoratori senza stipendio fisso che lavorano solo “su richiesta (on demand)”. Lavoratori in proprio che svolgono attività temporanee. Secondo l’intelligence USA, infatti, lo sviluppo tecnologico creerà un ulteriore disequilibrio economico, modificando radicalmente la piramide lavorativa conosciuta dopo la Prima Rivoluzione Industriale. Così lo sviluppo progressivo di Intelligenza Artificiale andrà a sostituire il capitale umano in numerosi comparti, contribuendo allo sviluppo appunto della figura del lavoratore “su richiesta”.

  3. Marcomassimo

    Guardando ai precedenti storici si può prevedere quello che accadrà; per esempio la diffusione dello schiavismo di massa nella Roma antica; a causa dell’afflusso massiccio di schiavi derivanti dalle conquiste militari ci fu una concentrazione di ricchezza nelle mani dei grandi latifondisti che potevano sfruttare al meglio la manodopera a costo zero; parallelamente ci fu uno spiazzamento dei piccoli contadini liberi che prima avevano costituito il nerbo della repubblica; questi non poterono che affluire a Roma come plebe che si arrangiava; i Gracchi furono i soli che intuirono la deriva negativa che stavano prendendo le cose ma furono fatti fuori come tutti sanno; il fenomeno portò alla crisi della Repubblica e all’avvento del nuovo equilibrio dell’Impero ove la carriera militare costituiva il principale mezzo di mobilità sociale in un contesto di diseguaglianze molto più massiccio che nella Repubblica; ora possiamo paragonare la robotizzazione ventura all’afflusso di una vera nuova classe di schiavi metalllici; la estensione della
    “lotta di classe” a masse di soggetti di intelligenza artificiale è un vero fenomeno epocale che ovviamente può sconvolgere gli equilibri sociali e politici in modo drammatico ed intuibile, spostando il potere sostanziale verso forze finanziarie che ne hanno il effettivamente il possesso ed il controllo

  4. Mario

    Come concilia la sua affermazione “oggi temiamo che l’automazione e la digitalizzazione possano portare a un futuro senza lavoro. In passato questi timori si sono rilevati infondati, ci sono stati vinti e vincitori, ma nel complesso la creazione di nuovi posti di lavoro ha più che compensato quelli distrutti dall’introduzione delle nuove tecnologie con la successiva “un recente lavoro di Daron Acemoglu e Pascual Restrepo, che cerca di tener conto di alcuni effetti compensativi, mostra per gli Stati Uniti un forte impatto negativo dei robot sull’occupazione e sui salari (tra il 1990 e il 2007, l’aggiunta di ogni robot nel settore manifatturiero ha comportato la perdita media di 6,2 posti di lavoro). L’effetto positivo su altre attività e settori non direttamente interessati dall’innovazione è stato invece estremamente debole”?
    Grazie

    • Maria

      Come può vedere dal testo, dopo l’affermazione che lei cita, ho scritto” Su quanto questo dovrebbe rassicurarci le opinioni sono contrastanti.”. Il fatto che in passato il progresso tecnologico non abbia portato a una riduzione complessiva dei posti di lavoro non significa che ciò non possa accadere in futuro.

    • Alberto

      Va considerato che in passato un contadino veniva “riconvertito” al lavoro in fabbrica. I campi venivano comunque lavorati, seppur da meno contadini con nuovi mezzi tecnoclogici. Per costruire, ad esempio, un trattore servivano nuove figure professionali come operai, tecnici, ingegneri che, in diverse aziende, costruivano i diversi componenti del trattore alimentando l’indotto, ad es. la catena di distribuzione del carburante, nuove figure di impiegati ad es. nella motorizzazione ecc… Il primo problema nasce quando questi lavori vengono delocalizzati in altre nazioni creando da noi, solo una frazione di occupati nella vendita e assistenza post vendita del trattore. Se viene meccanizzato, tramite robot, la produzione di trattori diminuisce la forza lavoro anche dove è stato delocalizzato ma forse rende più competitiva la loro costruzione in loco. Ci saranno nuove figure professionali che creano robot, fino a quando altri robot creano i primi robot che realizzano il trattore.

    • Maria De Paola

      Le nuove “tecnologie sociali” includono forme di redistribuzione dei redditi. Mi sono soffermata sulla formazione ma sono consapevole che essa è solo un tassello e da sola non può bastare.

  5. il problema della disoccupazione tecnologica risale a molto addietro uno dei primi a porselo fu Ricardo e poi Marx. Il problema esiste ma si è risolto ( anche con gravi problemi sociali) grazie anche alle evoluzioni istituzionali ( vedi Polanyi), il mercato lasciato a se stesso produce disastri sociali è solo la reazione della società che pone le basi per una sua regolazione. Quindi il problema è che le rivoluzioni scientifico tecnologiche sono inevitabili ma solo un cambiamento sociale garantisce uno sviluppo equilibrato ( C.Perez) . Lo Stato e la sua spesa sono serviti nel dopoguerra ha creare un benessere diffuso e la redistribuzione della ricchezza. Il problema attuale è che lo Stato nazionale è debole perchè le multinazionali giocano sulla possibilità di arbitraggio tra le diverse condizioni dei paesi. La soluzione non è facile ne dietro l’angolo, l’idea che si risolva tutto solo con la formazione è un po troppo semplicistica il vero problma è la redistrbuzione dei redditi e della proprietà delle grandi corrportaion.

  6. E’ possibile che gli effetti della automazione robotica siano meno distruttivi di quanto si teme e che potranno nascere nuove attività correlate (istruzione dei robot, manutenzione, ecc) ma potranno esserci nuovi e inattesi intrecci con altri fenomeni gravissimi quali la sovrapopolazione in Asia e spratutto in Africa (la sola Nigeria si prevede passerà da 200 a 400 milioni di abitanti nei prossimi 20 anni) o fenomeni come nuove epidemie non facilmente arginabili (da Ebola al pollame e molti altri). Mi pare che siamo di fronte a fenomeni gravi e intrecciati fra loro in modo inestricabile. Non possiamo valutarli singolarmente.

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