Per non affossare definitivamente la riforma della cittadinanza occorre trovare un compromesso che ne salvi la sostanza e sia accettabile per Alternativa popolare. Il punto di convergenza potrebbe essere lo ius culturae, rinunciando allo ius soli.
Una legge dalla sorte segnata?
La riforma della legge sulla cittadinanza sembra destinata a morire. Approvata due anni fa dalla Camera, rischia di essere cancellata definitivamente dal calendario del Senato. Alternativa popolare non intende votarla, e il governo (con l’eccezione di qualche suo membro autorevole) non se la sente di porre la fiducia e di rischiare una fine anticipata della legislatura. È vero che l’attuale Senato ha accordato la fiducia tutte le volte (cinquanta) che gli è stata chiesta, ma dal 15 settembre anche i senatori al primo mandato hanno maturato il diritto alla pensione; e in queste condizioni è più facile che una parte della maggioranza volti le spalle al governo.
Se il Pd si arrende al diktat di Angelino Alfano, la legislatura si concluderà, in materia di immigrazione e asilo, all’insegna delle misure adottate dall’esecutivo per bloccare in Libia i profughi. Sono provvedimenti non molto diversi, qualitativamente, dai respingimenti in mare messi in atto dall’ultimo governo Berlusconi. Procurano forse simpatie nelle file dell’elettorato di destra, ma difficilmente faranno guadagnare voti al partito di Matteo Renzi.
Compromesso sullo ius culturae
Un rafforzamento del Pd potrebbe invece venire dalla dimostrazione che i suoi dirigenti hanno la caratura degli statisti e sono capaci di mediare pur di varare una riforma ritenuta necessaria al paese. Occorre trovare un compromesso che salvi la sostanza e sia digeribile per Alternativa popolare. Alfano è preoccupato che il suo elettorato dia credito alla propaganda dalla Lega, secondo cui la riforma dello ius soli permetterebbe l’acquisto automatico della cittadinanza al bambino nato dalla donna straniera appena sbarcata sulle nostre coste, facendo dell’Italia la “sala parto d’Europa”.
In realtà, la riforma consentirebbe di ottenere la cittadinanza solo al bambino nato da genitore titolare di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato o, se cittadino dell’Unione europea, di diritto di soggiorno permanente. In entrambi i casi, quindi, il genitore avrebbe alle spalle almeno cinque anni di soggiorno legale. Si tratterebbe, cioè, di una forma temperata di ius soli, anche se certamente più generosa di quella oggi in vigore, in base alla quale è lo stesso minore a dover maturare diciotto anni di soggiorno legale prima di ottenere la cittadinanza.
Si può rinunciare all’ampliamento dello ius soli – così smontando la propaganda contraria – senza perdere i vantaggi della riforma? Sì, a mio parere. Perché il testo approvato dalla Camera prevede un secondo canale di acquisto della cittadinanza, che è stato definito ius culturae: il diritto riguarda tutti i minori che, nati in Italia o arrivati in Italia prima del dodicesimo anno di età, abbiano completato cinque anni di percorso regolare di istruzione o di istruzione e formazione professionale. Sopprimere le disposizioni relative allo ius soli non avrebbe ovviamente alcun effetto sulle possibilità di pervenire alla cittadinanza italiana per tutti i figli di stranieri arrivati in Italia dopo la nascita, né per quelli nati in Italia da genitori privi di permesso di soggiorno a tempo indeterminato o di diritto di soggiorno permanente. Ne avrebbe però uno modestissimo perfino sui potenziali beneficiari di quelle disposizioni. A condizione di mantenere intatte le disposizioni sullo ius culturae, il figlio del “lungosoggiornante” dovrebbe, infatti, solo aspettare il completamento delle scuole elementari. E si tratterebbe di un periodo vissuto comunque in condizioni di stabilità di soggiorno: quella di cui gode, per ipotesi, il genitore. Il beneficio soggettivo per ciascuno dei minori presenti in Italia resterebbe così inalterato; al più, in alcuni casi, rinviato a data certa. Per di più, lo ius culturae appare molto più significativo dello ius soli: il primo premia un effettivo inserimento del minore; il secondo, solo un dato (il luogo di nascita) che non è frutto di una sua scelta. Non per nulla, gli slogan dei sostenitori della riforma, anche quando la battezzano ius soli, fanno in genere riferimento ai minori che frequentano “le stesse scuole dei nostri figli” (cosa che, evidentemente, è ritenuta più idonea a coagulare consenso).
Questa considerazione offre al Pd una base per la ricerca di un compromesso con Alternativa popolare. A condizione di approvare l’introduzione dello ius culturae, Alfano potrebbe infatti intestarsi, davanti ai suoi elettori tentati dalla Lega, la soppressione dello ius soli (meglio: il mantenimento della norma restrittiva attuale). Difficilmente potrebbe perdere voti per il fatto di aver comunque favorito la riforma nella sua parte essenziale. Anzi: eviterebbe di porsi in contrapposizione netta con l’orientamento più volte manifestato, sia pure in modo a-tecnico, in questi ultimi mesi, da Papa Francesco e dalla Conferenza episcopale italiana. Il Pd, per parte sua, riuscirebbe ad attenuare la sensazione, avvertita da gran parte del tradizionale elettorato di sinistra, che la sola voce progressista sia oggi, appunto, quella del Papa.
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