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Voto tedesco, campanello d’allarme per l’Europa*

Le conseguenze del voto tedesco non saranno limitate alla sola Germania. C’è il rischio serio che i risultati elettorali danneggino il processo di riforma dell’unione monetaria e di conseguenza i paesi più deboli dell’area, a cominciare dall’Italia.

Conseguenze del voto in Germania

I risultati delle elezioni in Germania sono state una doccia fredda per tutti gli osservatori. Impressiona che un partito che si richiama esplicitamente al nazismo abbia raccolto il 12,6 per cento dei voti e sia di nuovo presente nel parlamento tedesco. Impressiona anche la perdita netta di consensi registrata dai partiti della grande coalizione che hanno governato nella legislatura precedente, con la Cdu-Csu che ha avuto l’8,6 per cento dei voti in meno e l’Spd più del 5 per cento in meno, con buona pace degli ottimi risultati economici che pure la Germania ha saputo inanellare negli ultimi anni. Segno che non tutto quello che luccica è oro e che alcune delle critiche sollevate nei confronti della politica della cancelliera e del suo onnipotente ministro delle Finanze, compresa l’ossessione per l’equilibrio di bilancio, non fossero del tutto campate in aria. Quasi certamente, Angela Merkel ha pagato anche la coraggiosa apertura nei confronti dei rifugiati siriani.

Ma quale che siano le ragioni della débâcle elettorale, le conseguenze negative del voto non saranno purtroppo limitate alla sola Germania. C’è il rischio serio che i risultati elettorali danneggino il processo di riforma dell’unione monetaria e di conseguenza i paesi più deboli dell’area, a cominciare dall’Italia. È in corso infatti un dibattito molto serrato tra i principali paesi europei su come riformare l’area monetaria comune e le conseguenze dell’accordo, o mancato tale, saranno molto importanti per il futuro dell’euro e più in generale per l’Unione europea.

Due posizioni sull’Europa

Per riassumere in due battute una discussione molto complessa, c’è sostanziale accordo tra i principali paesi europei che dopo la Brexit, l’Unione europea richieda profonde riforme per metterla in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini, sia per quello che riguarda la governance e la legittimità democratica, che le funzioni assegnate. E al cuore dell’Unione europea c’è l’unione monetaria: con l’uscita del Regno Unito, i paesi dell’euro assommano all’85 per cento del Pil dell’Unione e se fallisce l’euro – o perché qualche paese importante è costretto ad andarsene o perché non è in grado di garantire una sufficiente crescita economica a tutti i membri – crolla anche tutta la costruzione europea. C’è anche una finestra di opportunità, vista la ripresa congiunturale delle economie europee e la recente elezione di un presidente francese con un’agenda europeista.

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Come area monetaria comune, l’euro ha parecchi e ben noti problemi. Manca una sovranità politica che faccia da contrappeso alla moneta comune, e di conseguenza manca un bilancio federale comune, che possa investire risorse su beni pubblici europei e sostenere paesi in difficoltà. Mancano – o sono appena iniziati – i processi per la costruzione di una unione bancaria e dei capitali, e di conseguenza manca anche una sufficiente integrazione dei mercati finanziari. Ciò significa che un forte shock simmetrico o asimmetrico, come quello conosciuto dalle economie europee nel corso degli ultimi anni, rischia di far saltare in aria l’intera costruzione, con fughe di capitali, spread alle stelle e via proseguendo. Senza una maggiore integrazione finanziaria, neanche la politica monetaria comune può funzionare a pieno, con le imprese dei paesi della periferia che rischiano di dover pagare permanentemente interessi più elevati, perpetuando una situazione di svantaggio.

Per affrontare questi problemi si fronteggiano due proposte principali. Quella francese, che richiede l’introduzione di un bilancio e di un ministro delle finanze dell’area euro, che risponda a un euro-parlamento e con sufficiente risorse e discrezionalità per poter sostenere l’attività economica dei paesi dell’euro; e quella tedesca, che invece punta sulla trasformazione dell’Esm (Meccanismo di stabilità europeo) in un vero e proprio fondo monetario europeo, che si basi su meccanismi automatici (prestiti agevolati a sostegno degli investimenti oppure rainy funds) per sostenere i paesi in difficoltà. Per gli italiani è invece soprattutto importante portare a casa il completamento dell’unione bancaria, con l’introduzione di un fiscal backstop europeo per le banche. Il completamento è già previsto, ma trova per il momento l’opposizione della Germania. Una grande trattativa dovrebbe affrontare tutte le questioni in sospeso e le proposte che la Commissione europea si appresta a fare, dopo il discorso sullo stato dell’Unione del presidente Junker, vanno appunto in questa direzione.

Le posizioni tra i paesi restano ancora lontane, ma almeno fino alle elezioni tedesche, spirava un cauto ottimismo tra le cancellerie e le istituzioni europee. Gioca anche il fatto che riformare e mettere in sicurezza l’Unione europea rappresenta probabilmente il lascito principale che la cancelliera tedesca potrebbe voler conseguire per passare alla storia.

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Adesso, la situazione si è fatta più complessa. Ci sono buone probabilità che i risultati del voto costringeranno Angela Merkel a irrigidire la propria posizione, in particolare se dovrà guidare – come sembra – una coalizione assieme ai liberali, un partito fondamentalmente euro-scettico. A maggior ragione servirebbe un governo italiano che fosse in grado di prendere posizioni credibili a sostegno del processo di riforma dell’area. Far finta che il problema del nostro debito non esista e limitarsi a chiedere più flessibilità di bilancio sarebbe solo controproducente.

* Massimo Bordignon è attualmente membro dell’European Fiscal Board. Le opinioni espresse in questo articolo sono tuttavia esclusivamente personali e non sono in alcun modo attribuibili all’istituto di appartenenza.

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Il Punto

  1. Savino

    Non mi pare ci siano stravolgimenti per l’Europa, anzi, il prossimo ministro delle finanze tedesco sarà giustamente ancora più rigoroso dell’attuale sui conti pubblici. Sono i Paesi cicala, ribellisti e furbetti come il nostro che debbono seriamente preoccuparsi. Piuttosto, Di Maio si metta a combattere la casta del debito pubblico e Salvini cominci a dire prima i nostri ….debiti.

  2. Maurizio Cocucci

    Mi permetta di dissentire, sebbene parzialmente, dalla analisi sul voto tedesco. Intanto non vedo la sorpresa, erano mesi che AfD era data da tutti i sondaggi tra il 10 ed il 13%. Erano mesi che Unione e SPD erano dati in perdita. In sostanza il voto è stata la conferma di stime che erano conosciute da tempo. Le ragioni economiche c’entrano poco così come c’entra poco il rigore di bilancio o “Schwarze Null”. AfD fin quando non ha fatto presa la questione immigrazione (2015) era data attorno al 6% (nel 2013 non raggiunse il quorum), dopo è salita guadagnando altri 6 punti. FDP (che non è partito euroscettico!) con un programma di ancora maggiore attenzione al rigore dei conti e severo nei confronti delle politiche di aiuto ai Paesi UE in difficoltà ha guadagnato gli stessi voti, ovvero in termini percentuali anche loro il 6%. Verdi e Linke, rispettivamente di sinistra moderata ed estrema sinistra, hanno sostanzialmente mantenuto i consensi guadagnando ciascuno meno del 1%, il che unito alla perdita della SPD mi fa dubitare di dissensi dell’elettorato rispetto a questioni economiche. Nei Länder ex DDR tra l’altro la disoccupazione è in continua riduzione con salari al contrario in aumento. Per quanto riguarda l’Italia, beh… presentarci con 7 banche salvate da crisi derivanti più da cattive (anche illecite) gestione che dalla crisi economica non è un buon biglietto da visita in fatto di credibilità.

  3. Henri Schmit

    Analisi troppo pessimista e troppo conservatrice. Il potere “sovrano” nell’UE è chiaramente nel Consiglio e la democraticità dipende in primis dagli assetti nazionali. I risultati elettorali tedeschi erano prevedibili e previsti. I partiti di governo pagano il prezzo del malcontento dei perdenti sociali, un fattore non riflesso ne “gli ottimi risultati economici”. Dobbiamo riflettere sulle “cause” del successo dell’AfD dovuto prima alla difesa della responsabilità fiscale nazionale all’interno dell’UE; la crisi dell’immigrazione gestita come sappiamo dalla cancelliera ha creato una seconda ondata di consensi al movimento di protesta dei perdenti; aggiungiamo i due fattori Brexit e Trump che puntano nella stessa direzione e la misura è piena, cioè al 13%. Il nuovo scenario mondiale di cui AfD è un riflesso “irrazionale” cambia numerosi punti fissi della politica estera italiana. Inutile piangere, bisogna provare a capire che cosa è (era) sbagliato nel vecchio paradigma. Esattamente come la Brexit anche la coalizione con i liberali può essere un incentivo benefico per l’UE: finalmente si accetta l’idea (non nuova) di un’UE a più velocità con il tandem F-D al centro (lo è da almeno 40 anni, dai tempi di Giscard-Brandt). Devono tremare non i paesi piccoli ma quelli deboli, inadempienti, incapaci di tener il passo. Aggiungerei: finalmente! Il nuovo paradigma permetterà, spero, all’Italia migliore di prevalere su quella che ora occupa le prime pagine dei giornali, e non solo.

  4. Marcomassimo

    Se i paesi europei non risolvono i loro problemi sociali -che sono disoccupazione, precarietà, salari stagnanti- l’Europa politica resterà sempre un sogno prevalendo al contrario le pulsioni divisive; per farlo Corbyn ha proposto giustamente il “QE della gente”, al posto di quello delle banche; creazione di moneta finalizzata non all’acquisto di titoli ma alla realizzazione di infrastrutture ad alto tasso di manodopera umana

  5. enzo

    figuriamoci dopo il voto italiano

  6. Giovane Arrabbiato

    Ottimi risultati economici: 54%+ sotto la soglia povertà; 100%+ in più di lavoratori con stipendi da poveri; 80%+ con doppio impiego; 30%+ pensionati poveri.
    C’è un motivo se la classe intellettuale sta perdendo credibilità. Ma vabbè, l’importante è dare dei “nazisti” a chi si oppone all’abolizione dei confini e tagliare ogni discorso.

  7. Marcomassimo

    La piena occupazione non si ottiene con l’abbassamento degli orari di lavoro ma con la spesa pubblica in infrastrutture, come diceva Keynes; il fatto è che ovviamente molti liberali vedono la piena occupazione come il fumo negli occhi perchè dicono le teste dei lavoratori così tendono a rilassarsi in fase lavorativa e a scaldarsi in fase contrattuale

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