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Fca e Gwm, questo matrimonio non s’ha da fare

Nel processo di ricerca, da parte di Fca, di una dimensione minima di sicurezza, si affaccia un nuovo scenario. Quello di essere acquisita da Great Wall Motors, produttore cinese di auto. Evento improbabile, sia per motivi di sostenibilità economica che di politica europea.

Marchionne ha festeggiato nel 2016 il miglior bilancio della storia Fiat (oggi Fca), dopo averla afferrata per i capelli sull’orlo del fallimento poco più di un decennio fa. Onore al merito quindi, con buona pace per i tanti detrattori. A meno di due anni dal previsto passaggio di consegne, tuttavia, la trasformazione di Fca in un gruppo sufficientemente grande nel difficile mercato automobilistico non è ancora completata. Con 4,7 milioni di auto vendute, siamo ancora lontani dalla soglia minima di sei milioni teorizzata da Marchionne stesso. È in questo contesto che si inserisce l’interessamento per Fca da parte di Great Wall Motors (Gwm), maggior produttore privato di auto cinese. Un interessamento che, in teoria, ha poche probabilità di concretizzarsi. Vediamo perché.

Gwm produce meno auto di Fca

Primo, l’operazione appare quantomeno “audace” da un punto di vista di sostenibilità economica. In economia non è sempre vero che pesce grosso mangia pesce piccolo, ma in questo caso il boccone appare proprio difficile da digerire: nel 2016 Gwm ha prodotto circa un milione di auto, meno di un quarto di quelle di Fca. I produttori cinesi di automobili sono ancora in ritardo da un punto di vista tecnologico rispetto a quelli occidentali. Gwm potrebbe quindi appropriarsi di know-how particolarmente utile nel grande mercato cinese. Inoltre, alcuni marchi, in particolare Jeep, avrebbero un forte appeal presso gli automobilisti cinesi.  Ma non è chiaro cosa ci sarebbe da guadagnare dall’acquisizione sui mercati in cui oggi Fca è forte: Europa, Stati Uniti e America Latina. La proprietà cinese potrebbe ridurre l’attrattività dei marchi in questi mercati, con conseguenze negative anche sulla produzione. Da un punto di vista logico, sembrerebbe quindi molto più naturale che Fca comprasse Gwm: in questo modo si manterrebbe intatta la presenza in Occidente e si aprirebbero le porte del mercato cinese, già oggi il maggior mercato del mondo e in cui Fca detiene quote marginali.

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I governi occidentali non resterebbero a guardare

Secondo, l’operazione incontrerebbe forti opposizioni da tutti i governi nei cui paesi Fca ha un insediamento significativo, come Italia, Unione Europea e Stati Uniti. L’industria automobilistica rappresenta tutt’oggi una delle maggiori fonti di occupazione nei paesi industrializzati ed è improbabile che i governi di questi paesi restino inerti di fronte al passaggio di proprietà di uno dei maggiori produttori sotto il controllo cinese. Anche se non è scontato che la proprietà cinese implicherebbe una riduzione di posti di lavoro in Occidente, per il populista Trump sarebbe un’occasione d’oro per cavalcare questo messaggio e per accreditarsi come il salvatore di “american jobs”. Ma persino l’Unione Europea, che non brilla certo in iniziativa, di fronte a questa eventualità si troverebbe costretta a muoversi.

E gli Agnelli?

Terzo, un’operazione di questo tipo non rientra nel progetto dell’azionista di controllo, cioè la famiglia Agnelli. L’obiettivo più o meno dichiarato fin dai tempi dell’acquisizione di Chrysler è una fusione con un altro produttore per raggiungere una dimensione “di sicurezza”. Nel processo, gli Agnelli diluirebbero la partecipazione ma manterrebbero una quota azionaria significativa, e con essa una presenza nel cda e un ruolo nelle scelte strategiche. Ma qui sorge il problema. Il progetto degli Agnelli presuppone un’ulteriore fusione. Fallita l’acquisizione di Opel, anche il corteggiamento a General Motors non ha dato finora frutti, e all’orizzonte non si vedono alternative. Inoltre, in termini di innovazione Fca sembra più rincorrere il processo che condurlo, sia per i motori elettrici che per la guida senza guidatore. Senza un chiaro progetto di sviluppo, si è soggetti a sbandate. In quest’ottica, la capacità dei cinesi di mettere risorse ingenti sul piatto potrebbe fare la differenza nell’indurre la proprietà a vendere: piuttosto che tenere in portafoglio una partecipazione troppo rischiosa, meglio incassare il capital gain e investire in altro. In fondo, gli Agnelli se la sono già vista brutta una volta e difficilmente correranno lo stesso rischio.

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Marchionne ha fato un lavoro impressionante nel rimettere in sesto la Fiat. Raggiunti (quasi tutti) gli obiettivi, serve un nuovo progetto per consolidare Fca e metterla al riparo da operazioni avventurose. Non ci sono uomini per tutte le stagioni. Un nuovo progetto richiede uomini nuovi: c’è da augurarsi che i vertici stiano lavorando ossessivamente alla successione. Rimpiazzare Marchionne non sarà semplice, ma è un passaggio inevitabile e ormai maturo.

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In Italia una lunga e lenta ripresa che non basta

  1. Alessia Amighini

    Grazie dell’articolo, benvenuto dopo le reazioni accolte sulla stampa economica nazionale (…) da parte dei ‘diversamente informati’ e ‘diversamente esperti’ che hanno gridato al grande successo di Marchionne per aver innescato la corte da parte di GWM.

  2. Michele

    Una storia emblematica della parabola del capitalismo italiano. Scelte sbagliate hanno portato il gruppo in una situazione di crisi. Una gestione ordinata e un po’ di fortuna (Chrysler) hanno rimediato la situazione. Ora “pittosto che tenere in portafoglio una partecipazione troppo rischiosa, meglio incassare il capital gain e investire in altro”. Magari in un business protetto dallo stato in qualche monopolio naturale (tipo autostrade), oppure in un portafoglio di aziende globali in giro per il mondo dove avere un ruolo da investitore finanziario. Quando questo approccio diventa generalizzato in un paese, ci si domanda ancora perché il paese sottoperformi in modo strutturale rispetto ai propri peers?

    • Salvatore Bellino

      Ci avevano già provato con Telecom ai tempi dei Dioscuri, i due fratelli pianti come divinità, comprata (si fa per dire) con un’impressionante serie di scatole cinesi, dove avevano piazzato un “very powerfull manager”. L’inizio della fine anche per Telecom. La sua domanda retorica ha purtroppo una chiara risposta da tempo. Ero rimasto impressionato sentire Cossiga su Rai1 dare del mascalzone a Draghi, all’epoca governatore della Banca d’Italia, per avere coordinato la svendita del patrimonio pubblico italiano sullo yacht Britannia. Nessuna reazione, come se anziché il Presidente Emerito avesse parlato uno a caso, Grillo.

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