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Perché “aiutiamoli a casa loro” è uno slogan semplicistico

Non sarà un modesto aumento degli aiuti all’Africa a fermare i flussi migratori. Peraltro da quell’area gli arrivi sono assai meno ingenti di quelli avvenuti negli anni da altre regioni. E senza dimenticare che abbiamo bisogno del lavoro degli immigrati.

Migranti e povertà

Il rapporto tra migrazioni, povertà e sviluppo è più complesso e forse sorprendente di quanto si pensi. Lo slogan “aiutiamoli a casa loro” è tornato alla ribalta nel dibattito pubblico, perché è un’idea semplice, accattivante, apparentemente molto logica. È però superficiale.

Prima di tutto, presuppone che l’emigrazione sia provocata dalla povertà, ma gli immigrati non arrivano dai paesi più poveri del mondo (in Italia sono prevalentemente europei, donne, provenienti da paesi di tradizione cristiana) e non sono i più poveri dei loro paesi: per emigrare occorre disporre di risorse. Questo vale anche per i rifugiati. I più poveri di norma fanno poca strada e non potrebbero farne di più. Per esempio si urbanizzano, più che dirigersi verso l’Europa. Se gli immigrati non arrivano dai contesti più poveri, per promuovere alternative all’emigrazione dovremmo aiutare i paesi in posizione intermedia sulla base degli indici di sviluppo anziché quelli più bisognosi, le classi medie anziché quelle più disagiate, gli ambienti urbani più di quelli rurali.

In secondo luogo, gli studi sull’argomento mostrano che, in una prima fase, lo sviluppo fa aumentare la propensione a emigrare, perché cresce il numero delle persone che dispongono delle risorse per partire. Le aspirazioni a un maggior benessere aumentano prima e più rapidamente delle opportunità locali di realizzarle. Solo in un secondo tempo le migrazioni rallentano, finché a un certo punto il fenomeno s’inverte: il raggiunto benessere fa sì che i paesi che in precedenza erano luoghi di origine di emigranti diventino luoghi di approdo di immigrati. Così è avvenuto in Italia, ma abbiamo impiegato un secolo a invertire il segno dei movimenti migratori, dalla prevalenza di quelli in uscita al primato di quelli in entrata.

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Il ruolo delle rimesse

L’emigrazione non è facile da contrastare neppure con generose politiche di sostegno allo sviluppo, anche perché un altro fenomeno incentiva le partenze e la permanenza all’estero delle persone: le rimesse degli emigranti, ossia il denaro che inviano in patria, essenzialmente alle loro famiglie. Si tratta di 586 miliardi di dollari nel 2015, 616 nel 2016 (Banca Mondiale). L’andamento italiano è più altalenante, ma nel 2014 ha registrato l’invio di 5,3 miliardi di euro (Caritas e Migrantes, 2016). A livello macro, 26 paesi del mondo hanno un’incidenza delle rimesse sul Pil che supera il 10 per cento.

A livello micro, le rimesse arrivano direttamente nelle tasche delle famiglie, saltando l’intermediazione di apparati pubblici e imprese private. Sono soldi che consentono di migliorare istruzione, alimentazione, abitazione dei componenti delle famiglie degli emigranti, in modo particolare dei figli, malgrado abbiano anche effetti negativi. I critici osservano che le rimesse alimentano un sviluppo drogato e dipendente dall’esterno, favorendo tra l’altro nuove partenze. Difficile negare però che le rimesse allevino i disagi e migliorino le condizioni di vita delle famiglie che le ricevono.

Il sostegno allo sviluppo dovrebbe dunque realizzare rapidamente alternative per competere con la dinamica propulsiva del nesso emigrazione-rimesse-nuova emigrazione, il che però nel breve periodo è praticamente impossibile.

Dunque, le politiche di sviluppo dei paesi svantaggiati sono giuste e auspicabili, la cooperazione internazionale è un’attività encomiabile, produttrice di legami, scambi culturali e posti di lavoro su entrambi i versanti del rapporto tra paesi donatori e paesi beneficiari, ma subordinare tutto questo al controllo delle migrazioni è una strategia di dubbia efficacia, certamente improduttiva nel breve periodo, oltre che eticamente discutibile. Di fatto, gli aiuti in cambio del contrasto delle partenze significano finanziare i governi affinché usino le maniere forti per impedire l’emigrazione dei loro giovani cittadini alla ricerca di un futuro migliore, oppure fermino il transito di migranti e persone in cerca di asilo provenienti da altri paesi: l’UE ha recentemente premiato il Niger per questo discutibile motivo.

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Da ultimo, il presunto buon senso dell’“aiutiamoli a casa loro” dimentica un aspetto di capitale importanza: il bisogno che le società sviluppate hanno del lavoro degli immigrati. Basti pensare alle centinaia di migliaia di anziani assistiti a domicilio da altrettante assistenti familiari, dette comunemente “badanti”. Secondo una ricerca promossa dal ministero del Lavoro, 1,6 milioni di immigrati lavorano in vario modo al servizio delle famiglie italiane.

Se i paesi che attualmente esportano queste lavoratrici verso l’Italia dovessero conoscere uno sviluppo tale da inaridire le partenze, non cesserebbero i nostri fabbisogni. In mancanza di alternative di cui per ora non si vedono neppure i presupposti, andremmo a cercare lavoratrici disponibili in altri paesi.

Come si vede, non sarà un modesto aumento degli aiuti all’Africa a fermare flussi migratori che peraltro da quell’area sono molto visibili e mediatizzati, ma assai meno ingenti di quelli arrivati negli anni da altre regioni del mondo.

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17 commenti

  1. Giorgio

    Lucida analisi.
    Però secondo lei fino a che numero di immigrati possiamo gestire? Quale percentuale del ns PIL possiamo destinare?

  2. Caro Professore, ho molto apprezzato il Suo articolo. Ho quindi due considerazioni in merito.
    1. Anche se la maggior parte degli immigrati presenti in Italia è europea, lo slogan si riferisce al recente problema degli sbarchi di persone provenienti da paesi poveri e se associamo a questo il fatto che le variazioni dei livelli di ricchezza, piuttosto che il livello di partenza di ricchezza, sono gli elementi influenti sulla percezione della qualità di vita (come affermano le ricerche dell’economia sperimentale), il quadro favorevole allo slogan mi sembra meno arbitrario.
    2. Se gli immigrati ai quali si riferisce lo slogan non sono europei, anche il numero degli occupati nei lavori di cura che si dovrebbe sostituire diminuisce. Inoltre, se gli immigrati impiegati in lavori di cura diminuissero, non necessariamente questi immigrati sarebbero sostituiti da altri immigrati, dato che in Italia ci sono milioni di disoccupati; a meno di ritenere che i disoccupati italiani non farebbero quei lavori e quindi che siano disoccupati “volontari”, come li chiamano gli economisti neoclassici. In questo ultimo caso, però, una riduzione del numero di lavoratori disponibili in Italia farebbe alzare il salario, con effetto redistributivo di risorse dai benestanti ai meno abbienti. Se invece i disoccupati in Italia non fossero volontari, dovremmo ammettere che qualche milione di occupati stranieri in Italia avrà qualcosa a che fare con qualche milione di disoccupati italiani.
    La saluto con stima.

    • Nicola

      Mi voglio concentrare, purtroppo per esperienze familiari condivise con numerosi amici e parenti con lo stesso problema: badanti italiani non si trovano, e quando sono disposti a farlo il tipo di lavoro e la gravità (de tutto sottovalutata da chi non condivide il problema) inevitabilmente li porta a rinunciare, quasi sempre lascindo le famiglie in gravissimi problemi (trovare un sostituto è difficile, si tratta di portare nelle proprie case perfetti sconosciuti). E sempre parlando di lavori “pesanti”, lavorando con imprese edili, nei cantieri ci vanno quasi esclusivamente emigranti, per la solita ragione. Conosco imprenditori veramente razzisti che farebbero a meno di dare lavoro ad albanesi o marocchini, ma gli italiani non gli reggono i carichi di lavoro e sono costretti ad assumere quelli che poi vorrebbero cacciare dall’Italia. Queste è la realtà. Però potremmo sperare che la crisi peggiori ancora, così da indurre i giovani neet ad andare in cantiere oppure accudire i nonni.

  3. andrea goldstein

    analisi chiara e perfettamente condivisibile, aggiungerei solo che se veramente vogliamo “aiutarli a casa loro” dovremmo prendere sul serio la policy coherence, che in EU significa innanzitutto Common Agricultural Policy, restano da vedere le proposte delle nostre lobby al momento della revisione della CAP

  4. Henri Schmit

    Non capisco la conclusione dell’articolo: libera immigrazione (LI)? La doppia affermazione di Renzi, difesa dello ‘ius soli’ e lo slogan ‘aiutiamoli a casa loro’ mi trova per una volta perfettamente d’accordo. Non giudico le intenzioni, ma le parole. Non si tratta di respingere chi si trova in mezzo al canale di Sicilia, ma di riconoscere che né l’Italia né l’Europa si possono permettere la LI invitando in quel modo sempre più persone che hanno poco da perdere a tentare la fortuna provando a venire da noi, assumendo spesso enormi rischi. Visto l’alto numero di uomini giovani, di donne incinte e di adolescenti non accompagnati, il disegno è chiaro e comprensibile. Gli altri paesi non accettano la LI, chiudono le frontiere o escono dall’UE, e l’Italia sarà invasa da milioni di immigrati, identificati in attesa di una soluzione o clandestini. Non è sostenibile. Nessuno (?) intende vietare l’immigrazione, ma serve una politica. Aiutiamoli a casa loro presuppone una politica seria; significa aiutare a creare stabilità e equità (cioè a governare), garantire l’educazione e sostenere lo sviluppo attraverso l’investimento (serve ancora la stabilità), appoggiare i governi che lo meritano anche militarmente per assicurare sicurezza e pace. L’Europa si deve muovere insieme, non l’uno contro l’altro cercando ciascuno di essere il miglior alleato degli USA, facendo spesso solo l’opportunista (F in Libia), il partner subalterno, il vassallo (UK in Irak), il servo di interessi altrui.

  5. MP

    Egregio Professore,
    mi trovo d’accordo con l’analisi di Serafini pubblicata tra i commenti al suo articolo.
    Secondo la ricostruzione da lei proposta, poiché ci vuole troppo tempo per aiutare un Paese a crescere, sarebbe meglio rinunciare e accoglierne gli emigranti che, a suo dire, porterebbero enormi benefici.
    L’esempio da lei citato è l’impiego di queste persone a svolgere lavori come badanti, considerando l’invecchiamento della nostra popolazione e la scarsa disponibilità (forse) di cittadini italiani a svolgere le medesime mansioni. Mi permetto di osservare che tali affermazioni appaiono un po’ semplicistiche e trascurano, ad esempio, le enormi difficoltà di tanti cittadini ad avere figli, a sposarsi e a intraprendere un percorso di vita come hanno potuto fare le precedenti generazioni. Tutto ciò avviene, a mio modesto avviso, per la difficoltà di avere un’occupazione stabile e adeguatamente retribuita, anche a causa dell’elevata incidenza fiscale sul reddito: sia esso da lavoro dipendente meno.
    Tante aziende agricole, che da sempre si sono occupate di produrre parte dei beni conosciuti come l’eccellenza italiana nel mondo, sono scoraggiati dal proseguire o iniziare l’avventura imprenditoriale e questo vale anche per altri settori produttivi. Il nostro Paese, così facendo, è destinato a perdere, a dimenticare le proprie radici. Di fronte a questa evidenza non si può criticare avversione e diffidenza verso chi promuove, in modo superficiale, l’accoglienza a tutti i costi.

  6. Gustavo Rinaldi

    Anche una seria politica di aiuti allo sviluppo combinata con una cooperazione di polizia con i paesi di transito ha dei difetti. Ciò però non è così inatteso. Qualunque politica ha difetti. Il vero problema è suggerire una politica con minori difetti.

  7. bob

    volevo chiedere al professore se fatte le debite proporzioni e valutando periodi storici diversi se questa ondata migratoria non sia in qualche modo “l’onda lunga” di un vuoto “post – colonialismo” . I vuoti nella storia c’è sempre chi li riempie a modo suo. Oppure una conseguenza della politica coloniale che non dimentichiamo è durata fino agli anni ‘ 60 nel secolo scorso

  8. Marcomassimo

    Dove ci sono servizi sociali efficienti alla maternità ed infanzia la natalità è maggiore; in Italia per tradizione i giovani devono contare solo sul supporto dei genitori. Poi e’ un pò difficile spiegare in luoghi dove un posto da netturbino è qualcosa di desiderato invano e dove per un concorso di dieci posti si presentano in 50.000 che i migranti ci vengono a salvare; non si vedono tutti questi imprenditori carenti di mano d’opera fare la fila per assumerli appena sbarcano; piuttosto è logico pensare che i migranti vengano a condividere la povertà e magari ad incrementarne il livello medio; non è che i migranti siano tutti ingegneri e tecnici specializzati; per di più sono pure braccia; sicuramente si accontentano di meno dell’Italiano; anche poche centina di euro sono per un migrante un successo, mentre ovviamente non lo possono essere per un italiano; ma tanto col tempo le cose saranno destinate a liverllarsi; si verso il basso.

  9. Giuseppe Pistilli

    Egregio Professor Ambrosini, la sua conoscenza in materia di migrazioni è sicuramente vastissima, perciò le chiederei di fare qualche esempio di Paesi che in passato abbiano adottato politiche lasche sull’immigrazione in concomitanza di una forte disoccupazione . E’ vero, tanti italiani emigrarono negli USA, ma giova ricordare che era innanzitutto interesse dei cittadini americani accoglierli in una situazione straordinaria di piena occupazione appena dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
    Altri esempi possono essere il Canada o l’Australia in tempi recenti, ma comunque vi è un comune denominatore, ovvero economie floride ed avide di forza lavoro.
    Riguardo gli immigrati in Italia provenienti dall’Est Europa, va puntualizzato che essi hanno tutto il diritto di stabilirsi in Italia sulla base dei vari Trattati dell’UE già ratificati dall’Italia, quindi semmai bisognerebbe tener conto di tale fattore e decidere di rendere più difficile, e non più semplice, l’accoglienza di ulteriori immigrati extra-comunitari.
    Sempre che l’interesse degli italiani sia una priorità…
    Invece è purtroppo evidente che proprio la presenza nel Parlamento di un numero abnorme di “nominati”, che non devono rendere conto direttamente agli elettori del proprio collegio, che rende possibile un dibattito politico così surreale, in cui pochissimi rappresentanti del Popolo Italiano si spendono per il suo interesse, che non è quello dell’accoglienza indiscriminata.

  10. Alberto

    A monte di qualsiasi scelta decisionale esistono dei criteri di priorità, descrivere un fenomeno come quello dell’immigrazione elencando solo i benefici secondo una scala di priorità, tralasciando di elencare le criticità è un’analisi parziale. Ipotizzare i confini tra nazioni delle inutili formalità burocratiche e consentire a chiunque lo ritenga, con qualsiasi intenzione, anche le peggiori evidenti, meritevole di entrare e uscire a proprio piacere è un modello di società come un’altro. Accumunare tutti gli stranieri più o meno desiderosi di intraprendere un’attività legale nel nostro Paese, senza porre un limite al loro numero senza una distinzione alla loro più o meno adeguata formazione lavorativa agli standard Europei, della conoscenza linguistica o anche della conoscenza delle regole di convivenza è sempre analisi parziale. Qualora dovessero mancare le “badanti” ai nostri anziani in grado di potersele permettere o i raccoglitori di pomodori, sarebbe più sensato chiedere prima la disponibilità degli autoctoni e solo poi un’adeguata selezione nei Paesi che possono offrire le forze lavoro. Se poi l’intenzione è quella di pagare un paio di euro all’ora la raccolta sotto il Sole cocente senza regole contrattuali, allora forse non è vero che gli Italiani non vogliono più fare certi lavori; non li vogliono più fare a certe condizioni.

  11. Rodolfo

    il prof Ambrosini si astiene dall’evidenziare qualche altra cosa di poco peso:
    gli altri stati dove si è diretta finora l’emigrazione anche nostra hanno una densità di popolazione che è una frazione della nostra, es: Italia206, USA 31, Australia 2,6 ; senza parlare degli stati di provenienza dei migranti, di densità irrisoria
    messi insieme comunque i potenziali migranti considerati dal prof. sono milioni.
    L’europa e l’Italia in particolare hanno una cultura ed economia le più complesse del mondo: sarà uno scherzo assimilare questi nuovi venuti con radici completamente diverse
    nuovi venuti che se poi sono islamici tendenzialmente rifiutano la modernità nel complesso, hanno riserve profonde sul nostro sistema stauale/religioso e addirittura non riconoscono il nostro sistema giuridico, non conciliabile con la sharia ; e per me stare ospiti in un paese senza riconoscere ciò è già una bomba ideologica
    infatti tutti gli immigrati che danno contributi positivi e non problemi sono gli altri (dall’est, dall’oriente, dal sudamerica , tutti)
    I soldi, ahimé i soldi: i nostri giovani cervelli, studi infiniti e cultura di eccellenza vanno all’estero invece di preparare il nostro futuro; quelli che restano qui sono pagati in modo miserevole; gli immigrati ci costano uguale; nessuno dice: un immigrato in pù, un ricercatore in meno?
    quando quindi l’Italia sarà diventata tutta una ONG lasceremo gli immigrati ad accudire S Maria Del Fiore ?
    I paesi sottosviluppati saranno più poveri di prima!

  12. marcello solari

    Ho seguito dibattiti, letto articoli etc. Ancora non ho capito se l’immigrazione è un problema oppure no!

  13. Nicola

    Concordo sul fatto che aiutandoli a casa loro rischi che ne arrivino pure di più e sul discorso delle rimesse … non sono d’accordo sul fatto che abbiamo chissà quale bisogno di manodopera , sia perché i lavori manuali saranno in parte soppiantati dalla tecnologia ma anche perché ci sono 7,7 milioni di persone che vorrebbero lavorare a tempo pieno ma sono disoccupate o lavorano part-time

  14. Umberto Fioravanti

    Il vero problema è
    Cos’è più umano?
    Farli morire nelle carceri libiche o farli morire in mare?
    Probabilmente si pensa sia meglio la prima ipotesi perché funziona da deterrente per quanti vogliono mettersi in mano degli schiavisti producendo reddito per mafie e tribù nonché morti in fondo al mare.

    • Stefano

      Suppongo che se non fosse combattuto il crimine in alcun modo anche nel nostro Paese le persone che si dedicherebbero alle attività delittuose sarebbero un multiplo intero a due cifre di quelli attuali. Finché persiste il messaggio del salviamoli a pochi Km dalle coste Libiche ci saranno persone che sfruttano altre che solo giunte in Libia si renderanno conto dell’inganno loro architettato. Esiste solo una soluzione e purtroppo mi spiace che per anni migliaia di persone, nonostante la propaganda, sono morte sopratutto in mare: si applica la legge marittima in quando naufraghi, si riportano in Libia o si sbarcano in Tunisia, Marocco o Egitto. Il persistere altrimenti, come i fatti attuali evidenziano, porta al disastro.

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