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Così il maggioritario elegge più donne

Liste bloccate o doppia preferenza di genere sono considerate gli strumenti migliori per il riequilibrio della rappresentanza. Ma il collegio uninominale non ostacola l’elezione di donne. Soprattutto se si adotta un sistema di candidature binominali.

Rappresentanza di genere e collegi uninominali

Le virtù dei collegi uninominali sono note: sono semplici; favoriscono un rapporto più stretto tra eletti ed elettori; rendono più difficile l’affermarsi di forze antisistema; non ostacolano l’affermazione di candidature radicate sul territorio ma “indipendenti” dai partiti. Ci sono, però, anche i difetti: il collegio può favorire spinte localistiche; produrre esiti eccessivamente disproporzionali e precludere un’equa rappresentanza delle minoranze. È sulla base di quest’ultimo dato che spesso le donne attive nelle politiche di parità sono avversarie dei collegi, preferendo le liste bloccate o la doppia preferenza di genere.

Riflettere sui percorsi di riequilibrio della rappresentanza è doveroso per chiunque abbia a cuore la qualità della vita democratica. L’opzione “liste bloccate” va tuttavia scartata per le sue note criticità nel contesto italiano. La doppia preferenza – prevista nelle leggi elettorali della Camera, dei comuni e in alcune normative regionali – è assai semplice: l’elettore può attribuire fino a due voti di preferenza, ma il secondo deve essere in favore di un/a candidato/a di genere diverso dal primo. È un sistema intuitivo, che ha prodotto una più ampia presenza delle donne nelle istituzioni, ma vi sono alcune controindicazioni.

Innanzitutto, induce alla costruzione di cordate elettorali: la candidatura più debole deve appoggiarsi a una più forte e questo rende probabile che l’accoppiata di nomi sia tra persone già inserite nell’ingranaggio (ad esempio, appartenenti alla stessa corrente di partito). Sembra un sistema più adatto a tutelare percorsi politici consolidati che a favorire l’affermazione di candidature autonome, svincolate da logiche partitiche.

Potenzialmente, poi, la doppia preferenza può portare a un livello di controllo tale da mettere in discussione la stessa segretezza del voto. Se consideriamo la giurisprudenza, il principio base del diritto elettorale è la salvaguardia del cosiddetto favor voti e l’annullamento del voto un atto estremo: nell’indicare la preferenza, le opzioni che l’elettore può validamente scegliere sono molteplici. La tabella mostra le possibili combinazioni con il nominativo maschile che precede il femminile: sono 25, che diventano 50 con il femminile come primo nome.

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Tabella 1

Le cordate che ostacolano l’affermazione di candidature autonome e il potenziale controllo sul voto sono due possibili effetti negativi della doppia preferenza di genere sui quali le analisi non si sono mai soffermate adeguatamente.

I collegi binominali

Il collegio uninominale, di per sé, non ostacola la rappresentanza femminile. Nel 2013 l’Italia ha eletto alla Camera dei deputati 195 donne con le liste bloccate, il 31 per cento del totale. Il nostro dato – pur in presenza di norme che favoriscono il riequilibrio di genere – è inferiore a quello della Francia e del Regno Unito (entrambi paesi a competizione maggioritaria), dove nelle recentissime elezioni la percentuale di vincitrici di collegio è stata rispettivamente del 39 per cento e del 32 per cento.

In un precedente intervento ho fatto riferimento al “collegio binominale di genere”, sistema in grado di evitare entrambi i problemi della doppia preferenza. In sintesi, in ciascun collegio ogni partito dovrebbe presentare non un solo candidato, ma due, di genere diverso; l’elettore ne potrebbe scegliere solo uno e il collegio verrebbe attribuito al partito con la somma di voti maggiore, mentre l’eletto sarebbe chi tra i due ha ottenuto più voti individuali.

Questo sistema obbliga alla proposizione di candidature che attraggano elettori oltre il recinto del partito di provenienza: le scelte deboli o autoreferenziali non pagano perché conta il valore aggregante della coppia di nomi. Per questa ragione, diventa sterile pure la competizione intrapartito – patologica nelle preferenze – dato che entrambi debbono contribuire al risultato complessivo e a nessuno dei due serve indebolire l’altro sottraendogli consensi.

Con il collegio binominale, inoltre, verrebbe meno la tendenza a relegare le donne in collegi perdenti e si renderebbe meno pagante la prassi dei candidati “paracadutati” da territori diversi in collegi ritenuti sicuri, perché appare improbabile che entrambi i componenti della coppia siano esterni al collegio e se almeno uno dei due ne è espressione godrà di un vantaggio competitivo sul “paracadutato”, rendendo dunque incerto il successo di quest’ultimo.

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Ma il vantaggio maggiore è che il cittadino avrebbe una scelta più ampia pur dentro la logica del collegio uninominale: sarebbe un vantaggio per tutti, non solo per le donne.

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  1. Henri Schmit

    Se ho capito bene, non si tratta di un collegio BINOMINALE (che pure esiste, in Cile, ma consiste a eleggere due rappresentanti nello stesso collegio), ma di UNINOMIALE con VOTO DI LISTA o di apparentamento. In altre parole si permette ai candidati di presentarsi in tandem e si contano i voti prima per lista, poi per candidato. A prescindere dalla definizione, la soluzione è interesante e assomglia all’alternative vote, proposto nel 2011 per referendum in UK dall’allora governo tory-libdem, ma bocciato dall’elettorato. Lo scopo però non mi convince, con tutto il rispetto per le donne, troppo importanti nella società e nella politica per dover dipendere da quote. Il vero vantaggio della soluzione sarebbe di allargare la scelta dei cittadini togliendo ai partiti una parte del loro potere (naturale, incontestabile) di nomina dei (loro) candidati. Al contrario un collegio veramente BINOMINALE o TRINOMINALE (con 2 o 3 seggi da eleggere), non incompatibile con candidature abbinate o mini-liste (!), sarebbe una soluzione davvero interessante per la tanto attesa riforma elettorale, una soluzione che potrebbe soddisfare i tre grandi partiti e la Lega, e che conserverebbe comunque un discreto potenziale di favorire la formazine di una maggioranza stabile. Ne ho parlato pochi mesi fa: http://www.lavoce.info/archives/44383/proporzionale-o-maggioritario-la-soluzione-e-un-compromesso/ Il paese purtroppo non è pronto per un discorso che va oltre trucchi di convenienza di breve respiro.

  2. Piero Borla

    Il collegio binominale di genere, nell’impostazione esposta nell’articolo (presentazione dei candidati a coppie, è eletto colui che fra i due ottiene il maggio numero di voti) non è esente da distorsioni nei collegi ‘sicuri’, dove il partito può presentare un candidato/a elettoralmente forte (anche paracadutato) in associazione con un secondo debole; nella competizione interpartitica -che rimane attiva- è favorito il primo, mentre sussiste il rischio che il secondo escluso sia la donna. Sembra assai meglio il sistema già in atto in Francia per l’elezione del conseil géneral (ossia consiglio dipartimentale, corrispondente al consiglio provinciale) : il territorio è diviso in collegi ‘binominali’ in numero pari a metà dei seggi da provvedere; in ciascun collegio i candidati si presentano a coppie uomo+donna inscindibili; l’elettore vota per la coppia di sua preferenza; per la coppia vincitrice sono eletti entrambi i candidati.

  3. Savino

    Mi pare vano il tentativo di proporre il collegio binominale, a fronte di una Corte Costituzionale restia ad accettare il ballottaggio, cioè il massimo della competitività tra partiti. Sta vincendo, oltre la questione di genere, l’adulazione al capo per avere un seggio o vederlo confermato. Macron in Francia ha lanciato l’idea di una profonda riforma degli organi costituzionali (Parlamento e “organidi garanzia”). Speriamo che qualcuno lo riesca a fare anche in Italia, dove urge ancor di più.

    • Piero Borla

      Effettivamente la sentenza della Corte non è molto convincente, tuttavia sembra chiara nel precisare che non intende escludere né i ballottaggi per il sindaco né quelli collegio per collegio. Non sono favorevole a toccare la Corte costituzionale.Quanto ai collegi, resta sempre da sperimentare il turno unico con voto trasferibile.

    • Henri Schmit

      La corte ha soli detto che il ballottaggio fra le due liste più votate risponde ad un logica diversa di un ballottaggio uninominale e che tale soluzione è inammissibile se non permette ricomposizioni fra i due turni. Esistono anche lati scuri del programma di Macron fra cui l’introduzione di una quota proporzionale per l’elezione dei deputati dell’AN. Sono d’accordo sul fondo: non servono altre bizzarrerie, ma soluzioni semplici.

  4. Sostanzialmente condivido quasi tutto quello che ho letto. Nell’ordine:
    a) Henri, capisco la perplessità sul tema delle “quote”, ma – poiché uno degli argomenti con cui spesso si criticano i collegi uninominali è proprio quello della democrazia di genere – mi premeva sottolineare come sia argomento debole;
    b) Piero, nessun sistema è esente da controindicazioni. Però l’idea del “voto di coppia” (che pure è circolata) non mi convince, perché in politica il “voti uno prendi due” presenta più incognite che vantaggi;
    c) Savino, nulla nel sistema che descrivo è contrario alla lettera o allo spirito della sentenza della corte sia del 2014, sia del 2017. Il tema che preme alla corte è il giusto equilibrio tra governabilità e rappresentanza, sul quale questo modello non incide.
    Grazie per la cortesia e l’attenzione.
    MC

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