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Se mancano i buoni insegnanti

Se non ci sono profonde motivazioni personali, non si capisce perché nelle attuali condizioni un giovane brillante laureato dovrebbe intraprendere la carriera di insegnante. Per attrarre buoni docenti serve un cambiamento di prospettiva nel reclutamento.

Qualità della scuola e qualità degli insegnanti

I deludenti risultati delle indagini internazionali sulle competenze di base possedute dagli studenti italiani hanno alimentato un ampio dibattito sulla necessità di riformare la scuola italiana e, in particolare, di rivedere i meccanismi di reclutamento, retributivi e di carriera degli insegnanti.

In effetti, l’evidenza empirica conferma che la qualità degli insegnanti, variamente misurata, costituisce un fattore importante nel determinare i risultati dei processi formativi, anche se con un peso inferiore rispetto al ruolo giocato dalle caratteristiche individuali degli alunni e dal background familiare e ambientale. Un aspetto quest’ultimo spesso sottovalutato in un paese che registra tuttora un forte ritardo educativo e importanti fenomeni di analfabetismo di ritorno segnalati dalle indagini Piaac – Programme for the International Assessment of Adult Competencies sulle competenze degli adulti.

La questione del reclutamento e dei meccanismi retributivi e di carriera degli insegnanti è centrale nel confronto sulla riforma dei sistemi d’istruzione non solo in Italia, ma anche in gran parte dei paesi Ocse. A ciò si somma il fatto che l’età media del corpo insegnante, particolarmente in Italia, è elevata e che, quindi, in vista del consistente ricambio che si dovrebbe realizzare a breve, appare urgente la necessità di migliorare i meccanismi di selezione e autoselezione delle risorse umane nella scuola.

Altre carriere anche per le donne

In Italia il dibattito sulla qualità degli insegnanti ha assunto toni parossistici, disconoscendo con ciò sia il ruolo centrale delle famiglie e del contesto nei processi di apprendimento sia, soprattutto, i vincoli di offerta esistenti. L’idea di fondo è che vi sia un’offerta perfettamente corrispondente ai bisogni di bravi insegnanti o di individui pronti a scegliere percorsi professionali che conducono all’insegnamento, che attendono solo di essere assunti. Nei fatti, non vi è motivo per pensare che sia così. Le scelte occupazionali sono determinate, oltre che da motivazioni intrinseche che tra gli insegnanti giocano un peso importante, anche da motivazioni estrinseche: retribuzioni, tempi di inserimento lavorativo, prospettive di carriera, status sociale, carichi effettivi di lavoro. Il punto fondamentale è che il reclutamento è condizionato a monte dai processi di auto-selezione dei candidati.

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È ragionevole prevedere che le attuali prospettive retributive e di carriera degli insegnanti possano indurre solo una quota ridotta di giovani molto motivati e con buoni risultati accademici a intraprendere i percorsi educativi e professionali che conducono all’insegnamento. Anche perché l’immagine sociale dell’insegnante è peggiorata decisamente in questi anni. Si tratta di una quota di giovani insufficiente a soddisfare i fabbisogni del paese, tenuto conto anche dell’elevata età media dei docenti attualmente in servizio e che dovranno essere sostituiti.

Il problema riguarda in particolare alcuni ambiti disciplinari che offrono buone opportunità occupazionali alternative all’insegnamento. Non a caso, tra i laureati che a cinque anni dalla laurea hanno optato per l’insegnamento, quelli provenienti da indirizzi in concorrenza con le libere professioni risultano selezionati in maniera meno virtuosa, in termini di credenziali accademiche (voto di laurea e di diploma, regolarità degli studi), rispetto gli altri laureati che hanno scelto l’insegnamento.

A ciò potrebbe contribuire anche un processo in sé positivo: il maggiore accesso a professioni che prima erano ad appannaggio soprattutto degli uomini da parte di quelle donne che, in passato, privilegiavano l’insegnamento e che ora, in virtù dei loro buoni risultati formativi, sono attirate da nuove opportunità di realizzazione professionale. Prescindendo dalle motivazioni intrinseche, per quali motivi un promettente diplomato dovrebbe scegliere un percorso universitario finalizzato all’insegnamento o un brillante laureato in matematica o fisica optare per l’insegnamento invece che per una carriera da esperto in finanza?

Come ha illustrato in maniera rigorosa Jesse Rothstein per il caso americano, l’adozione di criteri meritocratici per attrarre buoni insegnanti risulterebbe molto costosa in termini di risorse pubbliche assorbite, per essere efficace. Fatto di cui non si trova menzione nel dibattito.

Il mancato riconoscimento di questo aspetto essenziale rischia di peggiorare la qualità del reclutamento. Vi è da temere che le riforme introdotte in questi anni non abbiano aumentato, tra le nuove generazioni, il valore dell’opzione di divenire insegnanti; possono anzi aver contribuito a ridurlo – perché hanno imposto maggiori oneri a carico della docenza, legati ai meccanismi della responsabilità, senza che a ciò siano corrisposti adeguati benefici retributivi e di prospettive di carriera. È dunque improbabile che, continuando a seguire questa filosofia, l’offerta di insegnanti di qualità possa migliorare in futuro.

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  1. tiberio

    L,articolo non è un gran che, ribadisce coae scontate e conosciute da almeno 30 anni

  2. Mario Brambilla

    L’articolo mette ben in luce importanti fattori che concorrono a formare la qualità di un corpo insegnante (dalle motivazioni intrinseche a quelle estrinseche, processi di autoselezione, ecc.). Tuttavia temo che venga del tutto ignorato un aspetto fondamentale: la formazione degli insegnanti in quanto tali. Non basta avere un buon curriculum accademico in una determinata disciplina per essere anche un buon insegnante, occorre ina formazione specifica anche come formatore ed educatore. Le storie scolastiche di molti studenti (di disagio nelle relazioni, di crescita personale e anche di scarso apprendimento) riflettono putroppo molto la mancanza di formazione degli insegnanti in quanto formatori delle nuove generazioni.

    • FRANCESCO FERRANTE

      Scopo della nota era evidenziare una questione centrale che condiziona tutte le altre: i processi di auto-selezione incidono anche sulla qualità degli insegnanti da formare….

  3. Maria Laura Bufano

    È importante anche rompere il corporativismo della categoria e per questo bisogna agire anche sulla progressione in carriera.
    Si dovrebbe riprendere la proposta di “concorsone” di Luigi Berlinguer rendendola meno schematica e al tempo stesso compatibile con le finanze dello stato (un insegnante si presenta al concorso se e quando vuole; se non lo passa, non può ripeterlo per otto-dieci anni).
    Il concorso potrebbe vertere su: 1) Verifica della conoscenza di quel che si insegna; 2) Documentazione del lavoro dell’insegnante; 3) Una tesi, come di dottorato (ciò farebbe emergere proposte innovatrici utili). 4) Valutazione dell’insegnante espressa dagli studenti o, per la scuola di base, dai genitori; 5) Prove specifiche di uscita degli studenti correlate con quelle di ingresso.
    Le commissioni dovrebbero essere esterne alle scuole e, possibilmente, di professori universitari.
    La valutazione imposta dalla “buona scuola” non risolverà niente: rafforzerà solo il conformismo della corporazione.
    Intanto, nessuno dice nulla sui BES, Bisogni Educativi Speciali: il Consiglio di Classe decide quali alunni presentano deficit di attenzione, iperattività e li butta nel BES (solo per dislessia e disturbi simili occorre una diagnosi esterna). Il Miur afferma che questa “innovazione” è in funzione del recupero; credo invece che si immettono nelle classi “normali” schegge delle antiche “classi speciali”, PRESCINDENDO DALLA QUALITÀ DELL’INSEGNAMENTO CHE RICEVONO QUESTI RAGAZZI.

    • FRANCESCO FERRANTE

      Tutto bene tranne che rimane il problema evidenziato nella nota: i processi di auto-selezione determinano la qualità degli insegnanti sui quali si esercita la successiva attività di monitoraggio/selezione…

  4. Marco

    L’unico metodo per premiare gli insegnanti migliori è quello di valutare gli studenti su test omogenei in tutta Italia, anonimi (solo un codice matricola) e corretti tutti assieme da una stessa commissione centrale. Orali (registrati) compresi. Per poi legare almeno la metà dello stipendio alla media voto dei propri studenti nella propria materia.

    • bob

      ..tu chiedi di ripristinare un sistema-Paese ..cosa vista come fumo negli occhi dai deleteri interessi locali

  5. Sul cambiamento di prospettiva sono d’accordo ma a che prezzo?

  6. Mauro Sanseverino

    Si parla di buoni e cattivi insegnanti ma non di buoni e cattivi alunni. Attualmente i nostri ragazzi frequentano la scuola fino a 16 anni perchè costretti, quindi in quasi tutte le classi ( sia Medie che Superiori ) vi sono alunni che vorrebbero lavorare e che si sentono obbligati a frequentare le lezioni. Ora in queste classi gli insegnanti hanno difficoltà a tenere le lezioni ed a mantenere l’attenzione alta. In ogni caso i risultati alla fine dell’anno risultano scadenti nonostante i mesi di sforzi. Penso quindi che attualmente il lavoro di insegnante per questo motivo e per tanti altri ( si pensi ai genitori e alla difficoltà di bocciare ) è diventato molto più difficile rispetto a 30 anni fa, periodo in cui un insegnante veniva rispettato e pagato in maniera adeguata se paragonato con altri tipi di lavoro. Un laureato in materie scientifiche e tecniche alla fine trova più facile e meno faticoso andare a lavorare nelle Industrie o nel Terziario. Per convincere i migliori a intraprendere la carriera di insegnanti si dovrebbero aumentare gli stipendi ed avere nelle classi alunni motivati con una prospettiva di lavoro futuro che attualmente non esiste.

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