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La migrazione è sostenibile se crea ponti con i paesi di origine

La migrazione lega i paesi di origine e quelli di destinazione. Perciò le politiche di gestione del fenomeno dovrebbero essere disegnate in stretta collaborazione. Servono interventi su educazione, formazione e mercato del lavoro nei paesi meno sviluppati e incentivi ai ritorni.

I fenomeni migratori

I flussi migratori dalle economie meno sviluppate a quelle più avanzate sono raddoppiati nel corso dell’ultimo quarto di secolo. L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sottoscritta nel 2015 dai governi dei 193 paesi membri dell’Onu, conferma lo stretto legame fra migrazioni internazionali e progresso economico globale.
Sulla base dell’evidenza empirica, l’afflusso di migranti non appare ridurre sistematicamente i salari o i posti di lavoro in Europa o in America. Al contrario, gli immigrati sembrano contribuire alla crescita economica e demografica dei paesi di destinazione. Tuttavia, il presupposto impatto negativo della immigrazione sul benessere dei cittadini è sempre più spesso utilizzato come strumento di propaganda e di polarizzazione dell’opinione pubblica.
La migrazione dai paesi in via di sviluppo (in particolare a medio reddito) verso quelli avanzati rappresenta circa il 50 per cento degli spostamenti mondiali. I persistenti divari salariali e di reddito fra i paesi, insieme allo sviluppo tecnologico e delle comunicazioni, costituiscono il principale fattore alla base della scelta. Per la loro natura transnazionale, i flussi migratori sono un “ponte” fra realtà diverse e creano legami oggettivi tra le società di provenienza e quelle di arrivo. Sia nel breve che nel lungo periodo, ciò facilita scambi di beni, servizi, capitali, rimesse e idee.
La migrazione, quindi, coinvolge direttamente i paesi di origine e quelli di destinazione in unico processo e le politiche destinate alla gestione del fenomeno dovrebbero essere disegnate in stretta collaborazione. L’accordo de La Valletta nel 2015 e il Migration Compact, di recente proposto dal governo italiano, si muovono in questa direzione, richiamando a sforzi sistematici per una vera cooperazione dei paesi avanzati con quelli in via di sviluppo. Tuttavia, a parte gli ultimi accordi stipulati dall’UE con i paesi del Nord Africa per controllare le partenze dei migranti, non c’è un reale impegno dei governi europei per interventi di vera cooperazione da realizzare nei paesi di provenienza.

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Le aree di intervento

In un recente rapporto preparato per la nuova Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo presentiamo una strategia di intervento basata su un insieme di misure che possono essere realizzate nei paesi di origine. L’obiettivo è agire sulle cause profonde dell’emigrazione e massimizzarne i benefici sia nelle economie di provenienza che in quelle di arrivo. Le possibili aree di intervento sono state individuate dall’analisi dell’evidenza per alcuni paesi in via di sviluppo, fra i quali Ghana, Senegal, Marocco, Capo Verde, paesi dei Balcani, Afghanistan, Bangladesh, Nepal, Filippine, Indonesia, Armenia, Georgia. Ecco le principali.

–           Politiche attive come riqualificazione della manodopera o supporto all’imprenditorialità possono contribuire a migliorare la situazione del mercato del lavoro, soprattutto per i giovani. Si ridurrebbe così la pressione a emigrare e aumenterebbe l’incentivo per la migrazione di ritorno.

–           Investimenti in istruzione e formazione possono aiutare ad assicurare che i potenziali migranti abbiano le competenze tecniche e professionali necessarie nei paesi di destinazione; migliori certificazioni di competenze possono garantire il loro riconoscimento dai datori di lavoro nei paesi d’arrivo.

–           Dotare i futuri migranti di conoscenze e competenze sulla migrazione (per esempio informazioni su lavoro, condizioni di vita e culturali e regole vigenti nei paesi di destinazione) può contribuire a garantire che i migranti abbiano aspettative realistiche e minori difficoltà di adattamento.

–           Incentivare la migrazione circolare (soprattutto per i lavori a bassa qualifica) e di ritorno (per i lavoratori più qualificati) può rendere la scelta reversibile, aiutando così a mitigare la perdita di capitale umano e a promuoverne la valorizzazione grazie a conoscenze, competenze e idee di cui sono portatori i lavoratori che tornano nel paese d’origine.

–           L’impegno della diaspora può veicolare le sostanziali risorse finanziarie e cognitive delle comunità di esodo verso la promozione dello sviluppo nei paesi di origine.

–           Il potenziale impatto intergenerazionale negativo può essere minimizzato attraverso la protezione dei minori lasciati indietro dai genitori migranti.

Nonostante la tanta attenzione dedicata ai fenomeni migratori, gli interventi di questo tipo sono ben pochi, alcune tipologie sono ancora ampiamente sotto-finanziate e l’evidenza sulla loro efficacia appare estremamente limitata. Fatta eccezione per un piccolo numero di paesi d’origine, le strategie di intervento di natura integrata risultano essere completamente assenti. Tuttavia, una gestione sostenibile dei flussi migratori richiede che le politiche dei paesi di destinazione siano coerenti con gli obiettivi di sviluppo dei paesi di origine e formino una strategia condivisa.
L’Italia non è solo un paese di destinazione, ma anche di transito, e per questo dovrebbe assumere un ruolo maggiore nell’attuazione di tali strategie e nel fornire la necessaria guida intellettuale all’interno dell’UE e nelle istituzioni e banche multilaterali.

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Rimpatri impossibili senza accordi bilaterali

  1. bellavita

    Mah..in tanti anni di emigrazione di italiani negli USA credo che i rientri siano stati pochissimi…

  2. Ma quanti emigrati torneranno in paesi la cui popolazione raddoppia in 20 anni ? (vedi Nigeria..) Paesi senza speranze di sviluppo reale a causa del tasso di natalità,, delle guerre interne, dell’AIDS, ecc.? Temo che ormai niente ci salverà da ondate migratorie sempre meno resistibili…

  3. Dario

    Credo che in questo articolo e in tutti quelli similari ci sia un errore di fondo: l’immigrazione di milioni di persone in paesi come l’Italia già sovrapopolati e con una pesante situazione di disoccupazione giovanile, non è mai sopportabile o accettabile. Dovrebbe essere evidente che accettare immigrati (qualsiasi sia la ragione) significa condannare milioni di nostri cittadini alla disoccupazione e accettare che una gran parte dei nuovi arrivati saranno eterni disoccupati e in carico per tutta la vita all’assistenza pubblica. Inoltre l’arrivo di persone di etnia e fedi molto diverse dalla nostra significa ulteriori spese per tantativi di integrazione (a volte impossibili), spese che sottraggono ingenti risorse all’assistenza dei nostri cittadini in gravi situazioni economiche.

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