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Irpef ridotta per i giovani? A rischio di incostituzionalità

La modulazione delle aliquote Irpef in funzione dell’età anagrafica andrebbe probabilmente incontro a un giudizio di incostituzionalità. Se il reddito è lo stesso non c’è ragione perché un contribuente giovane debba pagare meno imposte di uno maturo. Gli argomenti a sostegno non convincono.

Violato il principio di uguaglianza tributaria

In sede politica si discute di una modulazione delle aliquote Irpef non solo in funzione del reddito ma anche dell’età anagrafica, agevolando i giovani in quanto soggetti socialmente “deboli”, sia nell’accesso al mondo del lavoro che nel trattamento retributivo.
Nell’assegnare alla leva fiscale compiti di politica economica e un fine redistributivo, simili proponimenti paiono tuttavia di problematica attuazione: una progressività corretta in base a uno status, come l’età, potrebbe non rispettare il principio di uguaglianza tributaria (articoli 3 e 53 Costituzione). Il giudizio di costituzionalità verrebbe senz’altro promosso da coloro che non hanno accesso al regime di maggior favore (i contribuenti in età matura), per ottenere di essere ammessi alle regole più benevole adducendo la pari capacità contributiva dei loro redditi rispetto a quella dei contribuenti agevolati.
Certo, come affermato dalla Corte costituzionale, l’uguaglianza tributaria “non impone una tassazione uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria”. Del resto, il sistema è costellato da plurimi regimi di tassazione dei redditi, distorsivi ma probabilmente al riparo da censure di costituzionalità, data la difficoltà di comparare ricchezze di diversa natura e fonte produttiva, anche in ragione delle variegate modalità di determinazione degli imponibili. Basta pensare ai redditi finanziari, tassati con aliquota proporzionale, ma calcolati al lordo dei costi e dell’inflazione.
Sarebbe tuttavia azzardato differenziare le aliquote Irpef in funzione dell’età del contribuente perché in tal caso dovrebbe essere dimostrata la ragionevolezza di un trattamento di vantaggio, in termini di minore capacità contributiva per redditi di identica natura e ammontare.
La stessa giurisprudenza costituzionale, pur non univoca, non autorizza letture tranquillizzanti. Si pensi alle pronunce di incostituzionalità di prelievi a carico di pubblici dipendenti o pensionati per l’irragionevole discriminazione rispetto alla restante platea di contribuenti (sentenze Corte costituzionale 223/2012 e 116/2003), o alla maggiorazione Ires per le imprese operanti in certi settori (Corte costituzionale 10/2015). Nei rari casi in cui la Corte ha giustificato aliquote addizionali selettive, mirate a particolari soggetti, si trattava di regimi transitori e a carattere temporaneo, come per la maggiore aliquota Irap del settore bancario (Corte costituzionale 21/2005), oppure di peculiari elementi della retribuzione percepiti da dirigenti in grado di mettere a repentaglio la stabilità dei mercati finanziari (Corte costituzionale 201/2014).
È significativo, poi, che una differenziazione del trattamento tributario sulla base di uno status – la ridotta aliquota Irpef sugli incentivi all’esodo, cui le donne avevano più largo accesso – sia caduta in quanto inammissibile discriminazione basata sul sesso (Corte di giustizia, C-207/04).

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Il rischio dell’arbitrio

Per giustificare una progressività “di vantaggio” per i giovani, occorrerebbe dunque dimostrare una diversa capacità contributiva dei redditi percepiti da contribuenti con differente età anagrafica. Ma su questo terreno gli argomenti addotti in sede teorica (ad esempio da Fabio Marchetti e Luciano Monti), che richiamano il principio di discriminazione qualitativa (il quale a rigore attiene a un profilo di “oggettiva” diversità dei redditi, estraneo al tema in discussione), non appaiono solidissimi.
Si afferma infatti che la giovane età sarebbe un fattore di debolezza sociale, per il problematico accesso al lavoro, la diminuita capacità di produrre reddito, le spese necessarie alla formazione di una famiglia. Sennonché, il problema dell’occupazione riguarda in primo luogo i giovani senza lavoro e quindi privi di redditi, mentre per incentivarne l’assunzione andrebbe semmai ridotto il costo del lavoro dal “lato dell’impresa”.
Quanto alla minore capacità retributiva dei giovani, l’Irpef ne tiene già conto con minori aliquote sugli scaglioni meno elevati, mentre non si comprende perché a parità di retribuzione un soggetto “maturo” dovrebbe essere tassato di più.
Anche l’argomento della “formazione di una famiglia” è fallace: i carichi familiari gravano pure sulle persone in età adulta e comunque se ne dovrebbe tener conto con misure specifiche e non attraverso la modulazione della progressività in funzione di status sociali (come l’età) che non esprimono una differenziata capacità economica. Anche perché, altrimenti, si sconfinerebbe presto nell’arbitrio, segmentando ulteriormente l’Irpef e avallando le più fantasiose imposizioni. Per esempio, che cosa impedirebbe a quel punto di ipertassare le persone più alte, dato che a quanto pare la statura influenza positivamente la retribuzione?
Insomma, l’obiettivo di facilitare l’occupazione giovanile è condivisibile, ma non è detto che il modo migliore per perseguirlo passi per una ulteriore “frammentazione” dell’Irpef.

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  1. Fernando Di Nicola

    Pur apprezzando il principio di non discriminazione tra segmenti di contribuenti soggetti all’Irpef, la “comprehensive income tax” che trovo un fondamento della coesione sociale, rilevo che attraverso i mille bonus (ad es. per rimanere in tema quello per i diciottenni) si possono ottenere e si ottengono risultati analoghi a quelli che lei segnala come di dubbia costituzionalità. Mentre proprio in altro articolo pubblicato oggi su lavoce.info si prospetta una tassazione Irpef aggiuntiva, pur per ragionevolissimi motivi, non solo sulle sole pensioni, ma addirittura su una sola quota di ciascuna di esse.

  2. Massimo Matteoli

    L’errore è di merito prima ancora che di legittimità costituzionale.
    Il problema dei giovani è il lavoro, non certo le tasse che pagano.
    Se si devono spendere risorse pubbliche utilizziamole per favorire formazione ed assunzioni, non certo per diminuire le imposte a favore di chi un reddito ce l’ha già. E’ il solito errore dei contributi a pioggia, dati anche a chi non ne ha nessun bisogno.

  3. MMoreno

    Trovo desolante l’assunto che i giovani siano ormai soggetti economicamente svantaggiati “strutturalmente”, al punto da necessitare di un adeguamento dell’impianto impositivo. L’IRPEF ha già vari elementi di personalizzazione (a volte al limite dell’ingiustificata discriminazione) e una modulazione del prelievo in base all’età ne richiederebbe forse ulteriori, ancor meno giustificabili. Si pensi ai lavoratori giovani ad alto reddito, per fare un esempio di scuola, agli sportivi professionisti (che tipicamente avviano ed esauriscono la loro carriera in giovane età) avrebbero un regime differenziato nella differenza? verrebbero assoggettati a contributi di solidarietà o omologati alla tassazione standard “dei maturi” ? l’universalità dell’imposta è un serio fattore di coesione sociale, e la nostra costituzione ne è opportunamente intrisa. Interventi cosi draconiani paiono centrare il problema ma non la soluzione, l’IRPEF dovrebbe essere revisionata, ma per riavvicinarla ad impianti teorici solidi dai quali è andata allontanandosi dai tempi della Commissione Cosciani.

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