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Continua il lento miglioramento nel mercato del lavoro

I dati confermano che negli ultimi mesi non si è arrestato il lento ma progressivo miglioramento del mercato del lavoro. La decontribuzione ha avuto un ruolo importante, ma è stata un investimento ragionevole in tempo di crisi. Più difficile indicare il contributo del Jobs act.

I numeri del mercato del lavoro

Con la pubblicazione dei dati Istat sulle forze di lavoro per il mese di gennaio 2017 si completa il quadro delle statistiche disponibili per comprendere le più recenti dinamiche del nostro mercato del lavoro. Qualche giorno prima l’Inps aveva già diffuso le statistiche per il mese di dicembre 2016 del suo Osservatorio del precariato e diversi commentatori avevano tentato di leggerne vuoi uno straordinario successo vuoi uno scottante fallimento delle politiche per il lavoro del governo Renzi, Jobs act e decontribuzioni in primo luogo.
Proviamo per un momento ad astenerci dal fornire un’interpretazione dei numeri in funzione di una valutazione degli interventi di Renzi e limitiamoci a leggere i dati nella loro semplice freddezza. Le notizie in fondo non sono cattive, anzi, piuttosto buone, soprattutto alla luce dei bollettini di guerra ai quali ci eravamo abituati durante la crisi, almeno dalla metà del 2008 e fino al 2014.
Gli occupati aumentano di circa 30mila unità rispetto a dicembre e confermano un trend crescente. Tra l’altro, l’aumento si registra nonostante una diminuzione non indifferente degli occupati a tempo determinato, 28mila unità pari all’1,1 per cento. Il tasso di disoccupazione rimane stabile, apparentemente a causa di una crescita sia del numero di persone in cerca di occupazione sia di una diminuzione degli inattivi, anche quest’ultima una buona notizia. Infine, e questa è davvero un’ottima notizia, la disoccupazione scende finalmente tra i giovani (15-24 anni). Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni rimane inaccettabile, al 37,9 per cento, ma è diminuito di 1,3 punti percentuali.
In definitiva, i dati confermano che negli ultimi mesi non si è arrestato il lento ma progressivo miglioramento del nostro mercato del lavoro che, con alti e bassi, è in corso da almeno un paio di anni. Naturalmente, rimangono ancora moltissimi elementi di profonda insoddisfazione: nel confronto con i partner europei, i nostri principali indicatori di occupazione e disoccupazione restano tra i peggiori e altri paesi stanno recuperando più rapidamente il terreno perso durante la grande crisi. È innegabile, però, che un certo miglioramento ci sia stato.

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Ruolo di Jobs act e decontribuzioni

Veniamo ora all’interpretazione dei dati. Le questioni mi sembrano principalmente due. Primo, in che misura il miglioramento può essere attribuito alle politiche del governo Renzi? Secondo, quale è l’importanza relativa delle decontribuzioni fiscali e degli aspetti strutturali del Jobs act, primo fra tutti il contratto a tutele crescenti? Naturalmente, rispondere a queste domande con rigore scientifico richiederebbe analisi più approfondite (che sono in corso, ma delle quali ancora non abbiamo notizie certe). Ciononostante, credo che si possa azzardare qualche interpretazione basata sul buon senso e sulla conoscenza del funzionamento del mercato del lavoro in generale.
L’aspetto sul quale si può già rispondere con una certa consapevolezza è il ruolo delle decontribuzioni fiscali. Il forte aumento degli occupati nel 2015 e la crescita comunque positiva ma più lenta nel 2016 sembra corrispondere molto chiaramente all’introduzione degli sconti fiscali e poi al loro ridimensionamento. Molti commentatori si sono accaniti contro tale provvedimento sostenendo che abbia avuto semplicemente l’effetto di far anticipare assunzioni o trasformazioni di contratti temporanei che si sarebbero fatte comunque. Vero, verissimo. Ma l’anticipo è proprio ciò che ci si aspetta da una misura anti-ciclica e non strutturale, ideata quindi per ridurre l’impatto negativo di una congiuntura economica negativa anche a costo di limitare il rimbalzo positivo quando la congiuntura migliora. Mi sembra quindi una critica poco appropriata.
Una questione più interessante riguarda il costo delle decontribuzioni, circa il 30 per cento del costo del lavoro nella sua versione più generosa del 2015. Data la gravità della crisi che abbiamo attraversato e la lentezza della ripresa, credo che si tratti di un investimento ragionevole.
Molto più difficile capire quale sia il ruolo del Jobs act e del suo contratto a tutele crescenti. In questo caso, il problema principale è separare il suo potenziale effetto da quello della generale ripresa economica, di una congiuntura economica mondiale che è comunque migliorata notevolmente negli ultimi due-tre anni. Anche in questo caso, tuttavia, il buon senso suggerisce che in generale l’effetto dovrebbe essere positivo, almeno sul fronte dell’occupazione totale. Difficile pensare che l’introduzione del contratto a tutele crescenti disincentivi le assunzioni. Naturalmente, per chi pensa che l’unica forma di lavoro degna di essere considerata positivamente sia il lavoro a tempo indeterminato come definito dalla normativa pre-Jobs act, l’arrivo del contratto a tutele crescenti è una cattiva notizia per definizione, anche se avesse generato un aumento degli occupati di dimensioni considerevoli.
In conclusione, sulla base dei dati oggi disponibili e in attesa di analisi più dettagliate, mi sembra si possa ragionevolmente affermare che decontribuzioni e Jobs act hanno con tutta probabilità contribuito al recente miglioramento del nostro mercato, sia nella sua componente ciclica che strutturale. La definizione esatta della dimensione di tale contributo resta certamente da capire.

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  1. PB

    Non parlerei di “accanimento” perché tale accusa ai critici fa un po’ troppo difesa “a prescindere” dei provvedimenti del governo Renzi. Osserverei invece che se l’effetto di un provvedimento pubblico è solo quello di sovvenzionare (generosamente, nel caso in questione) scelte che le imprese avrebbero fatto comunque (cioè: anche in assenza di sovvenzioni!) forse tale politica non è esattamente il massimo dell’efficienza… In quanto al Jobs Act come politica di riduzione del grado di protezione del lavoro dipendente, forse un paio di decenni di letteratura sugli effetti della riduzione di EPL sulla crescita occupazionale (uniti a una certa dose di “buon senso”) consiglierebbero un po’ più di prudenza nell’ipotizzare effetti positivi. Di “honeymoon effect” ne sappiamo qualcosa… Attendiamo quindi con interesse le analisi più approfondite annunciate.

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