Il decreto Madia affida all’Inps le visite fiscali sia per i dipendenti privati sia per quelli pubblici. Sono però diverse le fasce di reperibilità dei lavoratori e un’armonizzazione si rende forse necessaria. Tanto più che l’esperienza insegna che cambiare gli orari incide davvero sull’assenteismo.
Visite fiscali all’Inps
Per ridurre le spese, “gestire al meglio i medici e svolgere i controlli in modo efficiente”, la riforma Madia del pubblico impiego affida all’Inps la gestione di tutte le visite fiscali ai dipendenti, pubblici e privati, assenti dal lavoro per malattia. In vista dei nuovi compiti assegnati all’Istituto, il suo presidente, Tito Boeri, ha proposto di armonizzare le fasce di reperibilità nei giorni di malattia, portandole a sette sia per i lavori pubblici che per quelli privati.
Oggi i medici delle Asl possono effettuare le visite fiscali a domicilio per quattro ore (10-12 e 17-19) per i dipendenti del privato e per sette ore (9-13 e 15-18) per quelli pubblici.
L’armonizzazione rafforzerebbe dunque i controlli sul privato, che pure è il settore più virtuoso, nonostante la ridotta reperibilità: qui l’assenteismo rappresenta circa il 5 per cento del monte ore, mentre nel pubblico sale a oltre il 12 per cento.
Non solo. Il settore privato italiano sembra avere la percentuale più bassa di assenteismo a livello europeo: 5,5 per cento, contro il 6 della Spagna e il 7 della Francia, secondo un’indagine accurata (il Barometro dell’assenteismo) che ha intervistato 500 direttori delle risorse umane e 3mila dipendenti di aziende private.
Se l’Italia è così virtuosa perché allora è stata introdotta la legge 133/2008 (la cosiddetta “legge Brunetta”)? In realtà, le poche assenze rispetto agli altri paesi riflettono lo “stadio di sviluppo del nostro mercato del lavoro”, le poche ore lavorate, la bassa partecipazione femminile, la quota di contratti di lavoro non standard, il costo e il rischio delle assenze per il settore privato. Confrontare l’assenteismo tra diversi paesi è non solo difficile, ma forse impossibile, perché i diversi orientamenti culturali ne rendono non uniforme la definizione stessa. E in Italia è relativamente bassa l’assenza media, mentre è massimo il differenziale tra pubblico e privato.
Cosa dicono i dati sull’assenteismo
Sono i dati Inps a mostrare che il problema dell’assenteismo nel nostro paese è tutt’altro che risolto e che il differenziale pubblico-privato resta alto nonostante la legge 133/2008. I certificati di malattia trasmessi all’Inps nel 2015 sono aumentati, rispetto al 2014, del 4,3 per cento per la pubblica amministrazione e di quasi il 5 per cento per il settore privato. Nel 2015, i circa 14,3 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato, assicurati con l’Inps, hanno inviato all’Istituto 12,1 milioni di certificati medici, cioè 0,8 certificati per ogni lavoratore privato, e l’Inps ha pagato 1,9 miliardi di euro per i trattamenti di malattia. Nello stesso anno, i 3,3 milioni di dipendenti pubblici hanno trasmesso 6,3 milioni di certificati medici, cioè 1,9 certificati all’anno per lavoratore.
Come è possibile che nel 2015 gli episodi di malattia del dipendente pubblico siano stati più del doppio di quelli del dipendente privato? Dipenderà, oltre che dal diverso tipo di contratto e rischio del posto di lavoro, dal sistema delle visite fiscali? Quelle dei dipendenti privati sono fatte dall’Inps, quelle dei pubblici dalle Asl. Ora, la riforma Madia vorrebbe creare presso l’Inps un polo unico della medicina fiscale per pubblico e privato con visite mirate, ripetute nella stessa giornata e monitorate da un sistema informatico avanzato, che dovrebbe anche permettere di evitare conflitti d’interesse tra chi esegue i controlli e chi viene controllato.
Servirà? Alcune indicazioni si possono trarre proprio dall’esperienza della legge Brunetta.
Per valutare gli effetti prodotti dalla variazione della fascia oraria di reperibilità, che la legge 133/2008 aveva esteso a nove ore, fu istituita una commissione che ne valutò i risultati con la collaborazione di Inps, Istat, Agenzia delle entrate.
In particolare, uno studio dell’Inps per la commissione aveva analizzato l’impatto della riforma, nel periodo 2007-2009, sugli oltre 14 milioni di dipendenti del settore privato e sui circa 30mila dipendenti pubblici dell’Inps. Le comparazioni semestrali sono state fatte prima e dopo la riforma. Le nuove norme per i dipendenti pubblici non solo ampliavano, dal secondo semestre 2008, a nove ore la fascia oraria di reperibilità (8-13 e 14-20), ma decurtavano il salario delle indennità e dei compensi accessori, per malattie di durata inferiore a 10 giorni.
Le misure hanno avuto un effetto sul numero di episodi di malattia: per i dipendenti Inps si ridussero del 40 per cento nel secondo semestre 2008 rispetto al 2007. Un anno dopo, quando nel secondo semestre 2009 le fasce orarie di reperibilità tornarono a essere di quattro ore (10-12 e 17-19), gli episodi di malattia tornarono a crescere.
Sollevare il problema della reperibilità nei giorni di malattia è dunque importante perché l’esperienza insegna che variarla incide sull’assenteismo e renderla uguale nel pubblico e nel privato è lungimirante.
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