Lavoce.info

Ma sulla Germania The Donald forse ha ragione

La Germania non è il Messico. Ha un surplus commerciale non solo bilaterale con gli Stati Uniti, ma in aggregato con il resto del mondo. Anche perché si avvantaggia degli effetti dell’area euro. Proprio per questo dovrebbe in parte modificare la sua politica economica. A partire dagli investimenti.

La differenza tra Messico e Germania

Ha ragione Donald Trump a criticare, oltre a quello messicano, anche il surplus commerciale tedesco nei confronti degli Stati Uniti?
A differenza del Messico, che è in deficit nei confronti del mondo, la Germania presenta un surplus aggregato delle partite correnti pari a circa il 9 per cento in rapporto al Pil, ben al di sopra del parametro UE del 6 per cento.
La situazione è frutto di una impostazione di politica economica basata, tra l’altro, sul contenimento dei salari e sull’equilibrio dei conti pubblici. Dal punto di vista tedesco, il surplus commerciale viene visto come un sintomo di forza dell’economia. Per il resto del mondo, Unione europea in primo luogo, è invece il segno di uno squilibrio macroeconomico di fondo, in un modello caratterizzato da alto risparmio (pubblico e privato) e bassi investimenti domestici.
Cosa possiamo dire sulla posizione tedesca alla luce della scomposizione dei flussi commerciali in termini di valore aggiunto?
Le esportazioni tedesche in aggregato contengono sempre più valore aggiunto prodotto all’estero, e in particolare nel resto dell’Unione europea. Dal 1995 al 2011, la quota di valore estero sul totale delle esportazioni tedesche è cresciuta dal 17 per cento fino al 28 per cento. Più nel dettaglio, nel 2011 circa il 21 per cento del valore aggiunto domestico esportato dai paesi europei verso la Germania viene poi ri-esportato dalla Germania stessa.
Per le esportazioni italiane l’effetto è particolarmente rilevante. Come si può notare nel grafico sotto, nel 1995 sia Germania che Francia “veicolavano” verso paesi terzi circa il 14 per cento delle nostre esportazioni. Mentre la quota è rimasta quasi invariata per la Francia, oggi circa il 25 per cento del valore aggiunto italiano esportato verso la Germania viene poi veicolato verso paesi terzi.

Leggi anche:  Nel Mar Rosso non tutte le imprese sono sulla stessa barca

Grafico 1

Fonte: elaborazione degli autori su dati Wiod - World Input-Output Database.

Fonte: elaborazione degli autori su dati Wiod – World Input-Output Database.

Tenendo allora conto del ruolo delle catene globali del valore, è sbagliato criticare la Germania per via del suo eccesso di export? In fin dei conti, dal punto di vista italiano, parte di quell’export elevato rappresenta produzioni “made in Italy”. Dov’è allora il problema? La risposta qui è più complessa rispetto al caso Usa-Messico.

Da dove nasce il surplus tedesco

Da un punto di vista commerciale, i legami tra Germania e altri paesi europei riflettono il posizionamento tedesco “a valle” di un sistema di produzione integrato che si è sviluppato in Europa nel corso degli anni. È il frutto virtuoso del modello di mercato e moneta unici che la Germania ha contribuito (non a caso) a creare e di cui il sistema industriale italiano indubbiamente beneficia.
Da un punto di vista degli squilibri macroeconomici, tuttavia, il punto chiave è che la Germania, diversamente dal Messico, ha un surplus commerciale non solo bilaterale con gli Stati Uniti, ma in aggregato con il resto del mondo. La frammentazione della produzione tra paesi fa sì che abbia poco senso focalizzarsi sui saldi commerciali bilaterali, come abbiamo già argomentato. Allo stesso tempo, però, i passaggi legati alle catene globali del valore sono contabilmente neutrali rispetto alla posizione complessiva di un singolo paese verso il resto del mondo; infatti, quello che rileva è il saldo dei movimenti lordi di esportazioni e importazioni, a prescindere da dove il sottostante valore aggiunto sia originato. Nel caso della Germania, se è vero che parte del suo export rappresenta valore aggiunto italiano, è altresì vero che quel valore italiano è stato prima importato in Germania per essere processato. Quindi, l’impatto contabile della frammentazione produttiva sul saldo commerciale tedesco è nullo e il surplus aggregato della Germania continua a rappresentare un suo squilibrio macroeconomico di fondo.
Lo squilibrio si alimenta della capacità delle imprese tedesche di integrare i processi produttivi nel mercato comune e del fatto che le stesse aziende beneficiano di un euro più debole rispetto a un ipotetico marco. Ma proprio perché la Germania gode degli effetti positivi dell’area euro, una parziale modifica della sua politica economica, con conseguente redistribuzione del welfare generato all’interno dell’Unione europea, avrebbe ancora più senso.
In quest’ottica, una crescita della domanda tedesca, legata ad esempio a salari più alti e a maggiori investimenti, creerebbe le condizioni per una riduzione del surplus e, soprattutto, darebbe un sostegno importante alla crescita nei paesi europei più in difficoltà, contribuendo di fatto alla sostenibilità nel lungo periodo dell’area euro e del successo tedesco. Quest’ultimo, peraltro, dipende anche dal mantenimento di un livello di investimenti adeguato nella stessa Germania, dove oggi mancano all’appello circa 100 miliardi di investimento l’anno.
Insomma, Trump ha torto sul Messico, ma sulla Germania potrebbe aver centrato il punto.

Leggi anche:  Taiwan: la libertà garantita dai semiconduttori

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Dopo i giorni dell'Ira, la riconciliazione del Net Zero Industry Act

Precedente

Condivisone del rischio, confronto tra Europa e Stati Uniti

Successivo

Perché Trump ha torto sul Messico

18 commenti

  1. Michele

    Qual è l’elasticità della domanda di beni tedeschi nel mondo rispetto al prezzo? Se le Porsche vendute negli USA costassero 5/10% in più a causa di un cambio euro\dollaro più forte o a causa di dazi, se ne venderebbero di meno? Gli investment bankers di Wall Street si comprerebbero un pick-up Chevrolet Silverado (con tutto rispetto) perché costa in proporzione un po’ meno? Quanto ci perderebbero le società italiane che vendono componenti alle aziende tedesche?

    • Fox

      Come se la Germania producesse esclusivamente prodotti la cui domanda è anaelastica. Una golf che passa da 20.000 a 25.000 come la mettiamo?

  2. Riccardo

    Non mi è chiaro come si possa affermare
    “impostazione di politica economica basata, tra l’altro, sul contenimento dei salari”.

    In base a cosa il governo tedesco determinerebbe un contenimento dei salari? Che genere di politiche implementa? Cosa dovrebbe fare per aumentarli?

    Mi pare che in un economia di mercato sviluppata come quella tedesca il salario sia determinato dagli agenti o dalle loro rappresentanze. Forse semplicemente sono i sindacati tedeschi a voler contenere i salari, perchè dovremo imporre loro di modificare le loro preferenze?

    • Raniero

      L’immigrazione di massa è una politica di contenimento di salari. Infinita offerta di manodopera a basso costo.

      • Con le riforme Hartz, l’avvento dei minijob, tra l’altro finanziati con lo sforamento delle regole europee del 3% deficit/PIL. Non c’entra nulla se i salari in Germania sono più alti che altrove, i salari devono aumentare proporzionalmente alla produttività. E in Germania non è successo.

      • Volevo rispondere al commento sopra…

  3. Michele

    I salari in Germania sono già tra i più alti in Europa. Nei dati Eurostat si legge che per l’industria manifatturiera il salario medio lordo mensile in Germania è 3,5k in Italia 2,5k

    • Ma che c’entra? I salari dovrebbero aumentare in proporzione alla produttività. In Germania non lo fanno, questo si chiama dumping salariale.

  4. Michele

    L’articolo citato dello Spiegel (a parte essere un po’ vecchiotto) lamenta che le imprese tedesche investono troppo all’estero e troppo poco in Germania (cosa che dipende anche dai salari già molto alti in Germania) Con le conseguenza di diminuire, non aumentare, il surplus commerciale tedesco

  5. Michele

    I salari tedeschi sono già i tra i più alti in europa. dati eurostat. retribuzione media lorda mensile nella industria manifatturiera: germania € 3,5 k, italia € 2,5 k

  6. Maurizio Cocucci

    Personalmente non condivido la tesi che aumentando gli investimenti, soprattutto quelli pubblici, questo possa ridurre il surplus commerciale. Intanto ho l’impressione che vi sfuggano i dati recenti secondo i quali nell’ultimo triennio sia i consumi, pubblici e privati, che gli investimenti hanno visto una crescita maggiore rispetto al passato e questo non ha condotto però ad una riduzione del surplus, anzi è stato esattamente il contrario. La crescita poi dei consumi deriva proprio da un aumento delle retribuzioni che ha conseguentemente incrementato il costo del lavoro più che in altri Paesi dell’eurozona, aumento che ha visto come punto di partenza l’introduzione del salario minimo orario a 8,50 euro, da quest’anno portato a 8,84 euro. Tornando alle componenti del PIL, l’Istituto Federale di Statistica riporta una crescita annuale dei consumi privati del 2,6% sia per il 2015 che per il 2016 mentre è stata del 1,8% nei due anni precedenti. Per la spesa federale l’aumento è stato del 4% e del 5,8% rispettivamente nel 2015 e 2016 e per gli investimenti lordi rispettivamente 3,2% e 4%. Nel 2016 le importazioni sono aumentate però solo dello 0,7% ed una ragione la si può trovare nella composizione della spesa per gli investimenti che hanno riguardato in particolare il settore dell’edilizia più che in macchinari dell’industria privata. Pertanto a che serve auspicare maggiore spesa statale in infrastrutture se la ricaduta sulle importazioni è limitata?

  7. Traison du Clers

    Merkel oggi: l’Euro è troppo basso per la Germania.

    Ma invece di dannarsi l’anima cercando di controllare i mercati, cosa tentata e fallita dai sovietici, lasciamo fare ai tassi di cambio (e quindi ai mercati il loro lavoro). Basta con ”la Germania deve fare questo”, ”gli Italiani devono ridurre i consumi” ” I Francesi devono essere Olandesi” ”I Greci devono morire di fame”.
    Ammettiamo che l’Euro non funziona e torniamo al libero mercato delle monete. Altrimenti salta tutto, e state tranquilli che salta.

    • gianmario nava

      gentile traison du clers,
      mi spiega perchè la lira?
      perchè non avere il tallero in veneto, il carlino in emilia o il fiorino a firenze
      e sopratutto non le monete regionali o addirittura sub-regionali al sud?
      e perchè non una moneta per puglia e piemonte e una diversa per liguria e sardegna?
      fino a che punto deve esserci omogeneità e quali gli indicatori di omogeneità?
      tanto per non essere, al solito, general-generici

      • Traison du clercs

        Il Sud per come è messo non si riprenderebbe nemmeno con la lira. In ogni caso, il tasso di cambio fisso imposto da Piemonte/Sardegna è spesso citato dagli storici come motivo di impoverimento del Meridione, dalla quale non si è mai ripreso, nonostante un secolo di interventi statali. A riprova che economie diverse non possono avere la stessa moneta. Votare Euro significa condannare tutto il Sud Europa, Francia inclusa a una enorme ”Questione Meridionale” europea. Alla provocazione si risponde con una lezione.

      • Francesco

        perchè siamo parte di un unico Stato Democratico, Parliamo un unica Lingua e possiamo contribuire tutti quanti alla discussione ed al dibattito politico.

  8. Amegighi

    Penso che il punto del problema sia quella che Lei definisce come posizione a valle del sistema integrato di produzione, e, nel contempo, la posizione a monte dell’Italia. Ciò riflette, a mio parere, il livello tecnologico della produzione stessa, e, in ultima analisi, il livello di R&D che viene investito. E’ vero che possiamo produrre alcune componenti avanzate, ma sempre componenti sono. Il prodotto finito viene fatto altrove. Per anni, la nostra economia è stata “drogata” dalle svalutazioni della lira. Abbiamo perso molti treni importanti (chimica, areonautica, computer ed elettronica, farmaceutica) incapaci di capire che la nostra economia si doveva trasformare, doveva investire in R&D. Ancora oggi investiamo poco più dell’1% in R&D, in gran parte nel pubblico (data la parcellizzazione delle imprese), a fronte del 3% della Germania e degli altri competitors. E’ nel frattempo partito il sistema integrato di ricerca europea (ERC) dove se ci difendiamo, lo possiamo fare solo per la capacità dei ricercatori, e non certamente per l’aiuto di un “sistema Stato” costruito per questo. Anzi il “sistema Stato” mi sembra abbia molte idee confuse su quali siano i reali settori strategici da sviluppare nella nostra economia e come svilupparli.

  9. roberto

    Finalmente due economisti bocconiani che riconoscono, sia pure cripticamente, che nell’Area Euro la Germania beneficia di un cambio sottovalutato. Questo è quanto abbiamo ottenuto togliendo al mercato un pezzo di mercato: quello dei cambi.
    Quanto alle aspirazioni di un cambio di politica da parte dei tedeschi, queste rimarranno tali: non cambieranno mai il loro credo che sia solo e soltanto l’export il motore “sano” della crescita.

  10. Giacomo

    Finalmente. Magari aggiungiamo che “surplus” significa esportare disoccupazione così capiscono tutti e forse ci svegliamo

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén