La legge di bilancio 2017 prevede un’imposta sostitutiva forfetaria sui redditi esteri percepiti da soggetti che trasferiscono la residenza in Italia. Forse si vogliono intercettare i contribuenti in fuga da Londra dopo la Brexit. Ma la norma è in contrasto con almeno tre principi costituzionali.
L’imposta per attirare i ricchi stranieri
Non sapremo mai se Enrico di Navarra abbia davvero pronunciato la frase “Parigi val bene una messa” all’atto di essere incoronato re di Francia sul finire del XVI secolo: per conquistare il trono e diventare Enrico IV aveva infatti dovuto abbandonare la sua religione e convertirsi al cattolicesimo.
Sappiamo invece con certezza è che la legge di bilancio 2017, ai commi 152-159, ha travolto uno dei pochi capisaldi che restavano alla fiscalità internazionale italiana: quello secondo il quale una persona che risiede in Italia paga qui le imposte sui redditi ovunque siano stati prodotti. Il principio pone sul medesimo piano chi vive e guadagna in Italia rispetto a chi vive in Italia ma guadagna all’estero.
Il legislatore ora ha coniato un’imposta sostitutiva sui redditi esteri percepiti da soggetti che trasferiscono la residenza nel nostro paese che è tutta nuova (e forfetaria), forse nel tentativo di intercettare il flusso di contribuenti ad alto reddito in fuga da Londra dopo la Brexit.
In sintesi, al ricco contribuente estero che viene in Italia per vivere sarà possibile versare una somma pari a 100mila euro per estinguere ogni pretesa del fisco italiano sui suoi proventi esteri. Non male, considerando che nell’analoga situazione, l’italiano residente (parimenti ricco) sui suoi redditi esteri sconta un’aliquota marginale Irpef che lambisce il 43 per cento, trascurando le altre forme di prelievo accessorio.
La scelta ha ricevuto subito il plauso del mondo dell’impresa e delle professioni, per gli indubbi vantaggi che offre, ed è fuori discussione che potrà incrementare l’attrazione del sistema-paese dopo (l’asserita) diaspora londinese e in particolare di quelle aree che sono vocate ai rapporti con l’estero. L’utilizzo poi dello strumento dell’interpello (cosiddetto probatorio, in questo caso) dovrebbe garantire di più e meglio chi pensa di venire in Italia, permettendogli di ottenere dall’Agenzia delle entrate conferma della possibilità di accedere al regime speciale verificando a priori la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge (in particolare, l’effettiva residenza all’estero prima del trasferimento in Italia).
In questa prospettiva la nuova imposta sostitutiva per le persone ad alto reddito (estero) che si trasferiscono in Italia è indubbiamente ben pensata e soprattutto tempestivamente introdotta. Interessante è anche la sua durata, che può arrivare fino a quindici periodi d’imposta a meno che il contribuente non decida di rinunciare al regime speciale o trasferisca altrove la sua residenza: nel primo caso torneranno a essere applicate le regole ordinare, mentre nel secondo saranno assoggettati a tassazione in Italia solo i redditi qui prodotti.
Tre principi costituzionali in bilico
In una valutazione complessiva, però, bisogna anche tenere in considerazione quello che si sacrifica sul piatto della concorrenza fiscale.
Mai, almeno nella storia recente della fiscalità internazionale italiana, si era vista applicata una norma che, almeno sulla carta, si pone in linea di diretta collisione con almeno tre principi di rango costituzionale che da sempre hanno presidiato l’imposizione diretta: l’uguaglianza, la capacità contributiva e il principio di progressività dell’imposizione.
La disciplina fiscale per soggetti che trasferiscono la propria residenza dall’estero, poi, davvero somiglia a un dumping fiscale. Ciò innescherà analoghe reazioni da parte degli altri stati dell’Unione che non abbiano già percorso questa strada (la Spagna e il Portogallo, oltre naturalmente al Regno Unito).
C’è poi un terzo aspetto che rimane forse sullo sfondo della novella legislativa, ma che aiuta a comprendere il perché di una scelta per la tassazione forfetaria e non, ad esempio, per un’aliquota ridotta.
In un recente rapporto, la “commissione Giovannini” ha sottolineato l’incremento dei controlli nei confronti dei soggetti con attività “internazionale”, fornendo dati in base ai quali si evince l’aumento dell’imposta accertata nel quadro di una sempre più serrata lotta all’elusione fiscale internazionale.
Nessun rapporto però è in grado di misurare i falsi positivi di quei controlli: i casi nei quali il contribuente ritiene in scienza e coscienza di essere nel giusto, ma ugualmente preferisce aderire alla contestazione, beneficiando così di sostanziosi sconti sull’importo da versare. La riluttanza nel trasferire la propria attività nel nostro paese deriva anche da questo: in taluni casi questa scelta diverrebbe purtroppo simile a quella che in matematica viene chiamata una passeggiata aleatoria.
Di qui forse la scelta di tagliare, per davvero, il nodo gordiano con la legge di bilancio 2017.
Quei 100mila euro, forfetari, diventano un pagamento all inclusive con cui si lanciano due messaggi: venire in Italia conviene; e il neo residente può dormire sonni tranquilli, nessun accertamento porterà mai a un incremento del suo debito di imposta per le sue attività estere.
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