Con le sue analisi teoriche ed empiriche, Tony Atkinson ha offerto contributi fondamentali e pionieristici alle ricerche sulla distribuzione del reddito. Disuguaglianze considerate non solo come il risultato dell’operare del mercato, ma come il prodotto della mancanza di politiche atte a ridurle.

L’avversione alla diseguaglianza

Mancherà, e non solo agli economisti, il volto sorridente di Sir Anthony Barnes Atkinson, scomparso ai primi di gennaio. Tony Atkinson ha appassionato migliaia di studenti nelle università dove ha insegnato (University College, London School of Economics, università di Essex) e i lettori delle sue opere e dei suoi articoli. Ha formato un numero elevatissimo di ricercatori e docenti che proseguono la sua opera in tante università inglesi, francesi, americane e anche italiane. Atkinson ha fornito contributi fondamentali e pionieristici alle ricerche sulla distribuzione del reddito. Le analisi, di taglio teorico ed empirico, contenute nei suoi scritti sono molto articolate e complesse. Anche solo tentare una sintesi risulta, oggi, un compito difficile e necessariamente riduttivo.
La ripresa degli studi sulla distribuzione dei redditi da parte degli economisti, e non solo da parte degli statistici, è stata favorita da un pioneristico contributo di Atkinson apparso nel 1970 sul Journal of Economic Theory. Per la prima volta gli indici per misurare la concentrazione dei redditi venivano considerati non solo come indici statistici, ma veniva loro attribuita una valenza normativa. Alla diseguaglianza non veniva dato solo un significato descrittivo, ma veniva messa in relazione a una funzione del benessere collettivo. A partire da quel momento non è più possibile occuparsi di diseguaglianza senza avere come riferimento una teoria normativa della giustizia. In particolare “l’indice di Atkinson”, come è noto in letteratura, contiene un parametro che misura l’avversione alla diseguaglianza e che può variare in relazione ai diversi giudizi di valore del ricercatore. Nelle diverse società prevalgono livelli diversi di avversione alla diseguaglianza, ovvero del grado di diseguaglianza che si è disposti a tollerare. Nell’ultimo trentennio i redditi relativi dei percettori molto ricchi sono aumentati notevolmente in alcuni paesi come gli Stati Uniti o il Regno Unito, ma poco in altri, ad esempio in Francia o nelle democrazie del Nord Europa. È plausibile ipotizzare che solo nei primi la società sia disponibile a “premiare” chi già percepisce redditi elevati con ulteriori aumenti.
Un altro contributo fondamentale di Atkinson all’analisi della diseguaglianza è del 1997. Per la prima volta, si sottolineava come l’analisi tradizionale (“classica”) della distribuzione del reddito tra le diverse classi produttive (lavoratori e capitalisti) sia una parte importante, ma solo parziale, di un’analisi della diseguaglianza. Secondo Atkinson (Inequality. What Can Be Done? del 2015) l’analisi della distribuzione personale è un tema centrale dell’economia politica, non solo perché il livello di disuguaglianza “sta a cuore alle persone” e dunque per motivazioni etiche, ma soprattutto perché “la produzione totale è influenzata dalla distribuzione. Comprendere la distribuzione del reddito è necessario per comprendere il funzionamento dell’economia” (p. 20). I passaggi che dalla produzione conducono prima alla distribuzione funzionale e poi a quella personale del reddito sono complessi e devono essere analizzati congiuntamente.

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Le statistiche sui “top incomes”

Un aspetto molto importante che ha caratterizzato il percorso di ricerca di Atkinson è costituito dalla attenzione scrupolosa per la costruzione e il significato dei dati empirici.
Questa attenzione si è tradotta recentemente nella costruzione delle statistiche sui top incomes e cioè sui redditi percepiti dai decili più ricchi (il 10 per cento e addirittura l’1 per cento) della popolazione. Il lavoro è iniziato circa un decennio fa con alcuni colleghi (Thomas Piketty in Francia e Emmanuel Saez a Berkeley) per ricostruire le distribuzioni dei redditi negli Stati Uniti e nel Regno Unito. L’analisi è stata poi estesa ai dati sui redditi in quei paesi occidentali dove esiste da tempo un’imposta personale sui redditi, ma anche in Cina, in India e in molte nazioni dell’America Latina. Il risultato è stata una vera e propria “rivoluzione” nell’analisi della diseguaglianza, o meglio “delle” diseguaglianze nel lungo periodo. Mai si era stimato il contributo alla diseguaglianza complessiva, nella distribuzione della ricchezza e del reddito, dei percettori più ricchi.
Un aiuto per identificare i temi più rilevanti che sono stati trattati e ampiamente discussi nel suo ultimo volume del 2015, si può ricavare da un’intervista che Atkinson aveva rilasciato a Jonathan Derbyshire. Appare qui molto evidente la sua impostazione: un economista politico, interessato all’adozione di politiche pubbliche volte alla riduzione della diseguaglianza. Atkinson era convinto che un’analisi della diseguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza implichi inevitabilmente anche giudizi di valenza normativa sulla giustizia sociale. Le disuguaglianze, in un sistema economico non possono essere considerate solo come il risultato dell’operare del mercato, bensì come il prodotto delle politiche, o meglio ancora della mancanza di politiche atte a ridurle. Accanto a politiche redistributive di stampo tradizionale, basate sui trasferimenti monetari e sulle imposte progressive, l’autore ne suggerisce altre, insieme a “idee da perseguire” che incidano a priori sulla formazione dei redditi primari promuovendo un aumento dell’occupazione e dei livelli retributivi. Si tratta di progettare un vero e proprio percorso di riduzione delle disuguaglianze che non poggi solo “sulla solita ricetta di imporre nuove tasse ai ricchi”.

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