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Ritorno al protezionismo: ecco dov’è il paradosso

Nel mondo tira un’aria preoccupante di rifiuto del libero scambio. Brexit e Trump sono i sintomi di una nuova forma di nazionalismo. Che respinge gli accordi di libero scambio e promuove l’innalzamento di barriere. Un paradosso, dato che la globalizzazione ha abbattuto la povertà estrema.

Brexit, l’elezione di Trump e le inquietudini in numerosi stati della Ue sono i sintomi di un nuovo nazionalismo, che fonda le sue radici nell’avversione verso la globalizzazione e i suoi effetti quanto a flussi migratori, riorganizzazione delle catene produttive e delocalizzazione. E verso i trattati di libero scambio più recentemente negoziati, come Tpp (Trans Pacific Partnership) e Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement). Ma un ritorno a politiche protezionistiche è concretamente realizzabile?
Chiaramente no. L’incremento di dazi e barriere al commercio è generalmente vietato (salvo specifiche eccezioni) dall’Organizzazione mondiale del commercio (Omc). Interventi protezionistici comporterebbero, quindi, un’inevitabile lunga serie di ricorsi all’Organo di soluzione delle controversie dell’Omc, che ha il riconosciuto potere di imporre agli stati membri di riportare la propria legislazione in conformità agli impegni sottoscritti. Ove lo stato soccombente persista nella sua violazione, il ricorrente potrà imporre sanzioni commerciali a titolo di contromisura (ossia applicare dazi o altre misure restrittive nei confronti dello Stato inadempiente). La conseguenza sarebbe una vera e propria escalation di barriere, con effetti disastrosi sugli scambi commerciali e le economie nazionali.

Perché il libero scambio non piace

Non ci si può non chiedere quale sia la causa dietro questa crescente opposizione contro la liberalizzazione del commercio internazionale che – aprendo a flussi di persone, capitali, beni e servizi – sarebbe vista quale (con)causa delle incertezze economico finanziarie di questo periodo e delle criticità a livello socio culturale talora sofferte. L’accusa principale è che, finora, la globalizzazione e i correlati accordi di libero scambio si sono concentrati sui macro effetti delle relazioni commerciali, in un certo senso facilitando l’ingresso nei mercati globali di multinazionali e imprese di grandi dimensioni e tagliando fuori altri operatori di dimensioni minori.
Pur non condividendo tali critiche, bisogna riconoscere come alcune osservazioni non manchino di fondatezza. Basti ricordare come il sistema dell’Omc per la risoluzione di controversie consenta sì agli stati di ricorrere contro misure di altri stati ritenute illegittime, ma sia solitamente attivato solo ove siano coinvolte questioni economiche di significativa rilevanza (nazionale). Ciò vale anche con riguardo alle note procedure per dirimere i conflitti fra stati e investitori.
Inoltre, nonostante tentativi anche successivi alla creazione dell’Omc, a livello multilaterale troppo poco è stato fatto per ravvicinare gli standard ambientali, sociali e regolamentari dei vari paesi. Passaggio necessario a limitare che gli investimenti affluiscano nei paesi dove le costose normative ambientali e sociali sono meno severe. Parziale è stato anche il successo dell’Omc nel promuovere la rule of law, come comprensiva anche degli strumenti funzionali a prevenire favoritismi alle imprese nazionali vicine ai governi locali (quali le norme a tutela della concorrenza o i limiti ai privilegi delle imprese di stato, tuttora molto presenti nei paesi in via di sviluppo).

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Il paradosso del rifiuto

Le politiche di rifiuto dei nuovi accordi di libero scambio nascondono però un paradosso. Tali accordi, tanto criticati, mirerebbero invece a includere disposizioni volte a riequilibrare proprio quelle divergenze normative percepite quali cause degli svantaggi competitivi sofferti dalle imprese più piccole.
Ecco alcuni esempi che smentiscono le accese campagne anti-liberalizzazione. Il Tpp prevede interi capitoli su standard ambientali e sociali, promozione e tutela della concorrenza, controllo della corruzione, limiti severi nei confronti dei privilegi delle imprese pubbliche. Allo stesso modo, il nuovo sistema per la soluzione delle controversie sugli investimenti proposto dalla Ue (e accettato da Canada e Vietnam) introduce un sistema assai più favorevole agli interessi dello stato ospite degli investimenti rispetto ai meccanismi ad oggi in essere.
E c’è di più: il tanto temuto effetto di questi nuovi accordi sui dazi all’importazione non solo riguarda esclusivamente specifici settori (tessile, calzaturiero e ittico in particolare) ma non può che avere una portata molto limitata se rapportato al flusso totale del commercio. Il valore dei dazi medi applicati attualmente all’importazione di prodotti nella EU e negli Stati Uniti, infatti, è decisamente limitato.
Inoltre, secondo un recente studio della Banca Mondiale, in poco più di 20 anni la povertà estrema nel mondo si è più che dimezzata. I principali autori di questo fenomenale risultato sarebbero la sostenuta crescita economica e la collegata fase di globalizzazione. Tuttavia, nei paesi industrializzati si è assistito a una polarizzazione della ricchezza che ha, probabilmente, contribuito alla demonizzazione dei mercati mondiali integrati. Paradossalmente, proprio i nuovi accordi che cercano, almeno in parte, di far fronte a tali squilibri sono rigettati dai nuovi leader. Ci si chiede quindi, in presenza di norme internazionali che impediscono misure protezionistiche, quali siano effettivamente le loro strategie in materia di politica commerciale.

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10 commenti

  1. fabio

    Buongiorno. Si è vero la povertà in generale sarà diminuita, ma le statistiche dicono che la ricchezza si è concentrata in poche mani. O non è così?

    • OldFashioned97

      Su Truenumbers c’è un’interessante analisi sul tema. In breve, tra le altre osservazioni, viene mostrato come la disuguaglianza sia diminuita su tutto il pianeta, mentre è generalmente aumentata nei paesi occidentali.

    • claudio dordi

      Le riporto un passo dell’articolo: “”Tuttavia, nei paesi industrializzati si è assistito a una polarizzazione della ricchezza che ha, probabilmente, contribuito alla demonizzazione dei mercati mondiali integrati”.

  2. negli ultimi anni di fattori ne sono accaduti diversi. Potrei dire che è dovuto al cambiamento climatico o al crollo del muro di Berlino. Il nesso causa ed effetto è assolutamente non provato. Piuttosto se questo studio si ripetesse solo per i poveri nei paesi avanzati ho paura che invece i poveri aumentino.

    • claudio dordi

      Che relazione sussitste tra cambiamento climatico e riduzione della povertá? E’cosi’ sicuro che lo sviluppo della Cina non sia dovuto in primo luogo alla globalizzazione dei mercati?

  3. Anzi secondo Ha-Joon Chang in “Cattivi samaritani” le cose sarebbero da porsi in maniera opposta….. Non sarà che la diminuzione della povertà sia dovuta principalmente ai nuovi mezzi tecnici e tecnologici (che i posti dove + è diminuita non sono i campioni del libero scambio)?

  4. Ruggero

    Il TPP scritto dai corrotti politici per conto dalle Multinazionali avrebbe dato il potere alle Multinazionali di portare a giudizio presso una corte da loro costituita uno Stato Sovrano.
    Allo stesso tempo avrebbe abbassato lo standard dei prodotti alimentari (vedi carni allevate con ormoni della cresita ) inondando i mercati di cibo spazzatura.
    Ma per fortuna nostra gli agricoltori Francesi hanno protestato con successo e la Francia e quindi l’ Europa non hanno retificato il Trattato.

    • claudio dordi

      Forse sarebbe meglio studiare prima di scrivere i commenti. Lei confonde il TPP con il TTIP. Gli accordi internazionali non sono scritti da politici ma dai negoziatori della Commissione che seguono un preciso mandato degli organi dell’UE. Di che corte parla? Perché non legge qual’é la proposta EU in materia di soluzione delle controversie sugli investimenti nel TTIP??? Le carni agli ormoni sono giá bloccate dallÚE e cé’una controversia pluriennale con gli USA.

  5. Ilaria Lucaroni

    Ammetto di non conoscere nel dettaglio il TPP, d’altronde bisognerebbe avere delle conoscenze in termini di linguaggio tecnico e procedure non indifferenti, quindi non posso che “intermediare” la mia conoscenza attraverso letture e interpretazioni proposte da altri, cosa che d’altronde questo articolo rappresenta. Probabilmente le asimmetrie informative sono anche in questo caso fondamentali nel creare confusione sia nelle interpretazioni a favore che contro. Quello che però mi hanno insegnato alla facoltà di economia è che la produzione di ricchezza polarizzata corrisponde ad una non produzione. Sicuramente la globalizzazione e il libero scambio sono processi irreversibile che bisogna imparare a “governare”, il ritorno al protezionismo non è la soluzione, e non è un caso che certe istanze vengano avanzate da discutibili soggetti che certo non sono famosi per la loro devozione al bene comunitario. Ma anche accordi sovranazionali dove si legano gli stati a lunghe e dispendiose controversie per affermare diritti fondamentali non rappresentano, a mio avviso, uno strumento di tutela.

  6. Ilaria Lucaroni

    Trattati come il TPP creano delle asimmetrie informative dettate dalla difficoltà di saper leggere e interpretare un insieme di linguaggi procedurali estremamente complessi, non resta che affidarsi alle interpretazioni di “esperti”, come d’altronde questo articolo si pone. Credo che il ritorno al protezionismo sia uno slogan spot gettato sul tavolo da inesperti per attirare fette di elettorato altrettanto inesperto, la globalizzazione è un processo irreversibile che bisogna imparare a “governare” ai fini del bene comune. Alla facoltà di economia mi hanno però insegnato che la produzione di ricchezza polarizzata corrisponde ad una non produzione, così come obbligare gli stati sovrani a lunghe controversie per garantire diritti fondamentali è certo una stortura del sistema. Probabilmente sarebbe utile, per chi è esperto di trattati internazionali, come in questo caso, aiutarci passo passo (citando nel dettaglio i passaggi e dove possiamo trovarli, insomma una analisi adeguata delle fonti) a comprendere quelle “clausole sociali” cui si fa riferimento che gli organi deputati al commercio internazionale hanno inserito con riguardo del cittadino e consumatore. Sicuramente aiuterebbe nella strada della comprensione.

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