Le risposte ad alcuni commenti dei lettori sui risparmi dalla riforma costituzionale e i motivi per le differenze dalle altre stime circolanti. Conclusione: i risparmi sono inferiori a quanto avevo precedentemente calcolato: un massimo di 130 milioni contro 161.
In un mio articolo precedente calcolavo i risparmi a regime dalla riforma costituzionale tra i 130 e i 160 milioni, a seconda delle ipotesi. Questa cifra è stata commentata e criticata, qui e su altri media che hanno ripreso l’articolo. È dunque utile chiarire come sono arrivato a queste stime. Nel farlo, risponderò anche al commento di Carlo Stagnaro pubblicato su lavoce.info.
Sempre per contribuire alla chiarezza, credo per una volta sia importante esplicitare una situazione personale. Per parecchi commentatori il mio articolo sarebbe il mio piccolo contributo alla campagna per il no. Per trasparenza, mi si permetta di affermare apertamente che voterò sì. Nel paese delle teorie della cospirazione, molti non mi crederanno. E tra coloro che mi crederanno molti diranno che mi presto a strumentalizzazioni. Può darsi, ma se il timore di prestarsi a strumentalizzazioni deve impedire a priori di cercare di fare chiarezza su un argomento di dibattito pubblico, non si va molto lontani.
Di seguito i chiarimenti più importanti.
La definizione di risparmio
Due precisazioni sulla nozione di risparmio che ho utilizzato. Primo, gli effetti che ho calcolato si riferiscono esclusivamente ai soli risparmi diretti sui costi della politica. Le stime non includono gli innumerevoli possibili effetti indiretti sui costi della politica, né gli effetti diversi da quelli sui costi della politica.
Secondo, ho calcolato il risparmio per i contribuenti. Questo concetto di risparmio (che personalmente credo sia il più ovvio da applicare quando si tratta di valutare le politiche pubbliche) ha generato un po’ di confusione. È quindi fondamentale comprendere la metodologia sottostante.
Il trattamento delle tasse pagate da senatori e dipendenti pubblici
Il costo per i contribuenti di un organo della Pubblica Amministrazione (e quindi il risparmio se quell’organo viene abolito o ridotto) può essere diverso dalla spesa stanziata in bilancio. In particolare, le tasse pagate da un dipendente pubblico non sono un costo per i contribuenti: sono soldi che escono dalla PA come parte di uno stipendio pagato al dipendente pubblico, ma che poi ritornano alla PA; sono quindi una partita di giro. Del resto, quando la Ragioneria valuta gli effetti sul bilancio di un aumento o riduzione di spesa, indica anche i suoi effetti fiscali, cioè l’aumento o la riduzione conseguente delle tasse intascate
Nel suo articolo Carlo Stagnaro afferma: “È certamente vero che le tasse pagate da un dipendente pubblico rappresentano una partita di giro. Da un punto di vista contabile, però, non è così: tant’è che il bilancio dello Stato include la spesa per stipendi al lordo delle imposte.” Vero, il bilancio dello Stato include gli stipendi pubblici al lordo delle tasse tra le uscite, ma include anche le tasse pagate dai dipendenti pubblici tra le entrate. Ciò che conta per il contribuente è la differenza fra le due. Basta fare il seguente esperimento mentale. Lo Stato paga 100 Euro a un dipendente, che paga 30 Euro di tasse. Supponiamo ora che l’aliquota delle tasse salga al 40 percento: lo Stato incasserà ora 40 Euro in tasse dal dipendente. I 10 Euro extra possono essere utilizzati per ridurre altre tasse di 10 Euro. I contribuenti dovranno pagare 10 Euro in meno di tasse.
Per calcolare i risparmi per i contribuenti della riforma costituzionale dovuti alla riduzione del numero dei senatori o del numero dei dipendenti del Senato o del CNEL, dunque, è necessario calcolare la riduzione delle retribuzioni o indennità, al netto dell’IRPEF.
I risparmi dalla riduzione del numero dei senatori
Con questa premessa, partiamo dal Senato. Attualmente, l’indennità lorda di un senatore è di 10.385 euro mensili, o 124.620 euro annuali. Moltiplicando per 320 senatori, e sottraendo l’IRPEF, si ottiene un risparmio di 25 milioni. A questi vanno aggiunti i risparmi dalla eliminazione di diarie e rimborsi spese (una stima generosa, perché la riforma parla solo di eliminazione delle indennità), per un ulteriore risparmio di 38 milioni.
Il trattamento dei vitalizi e delle pensioni
Il Senato attualmente spende circa 80 milioni per i vitalizi dei senatori. La reazione naturale di molti lettori è: con la scomparsa dei senatori eletti, anche la spesa per i vitalizi dei senatori scomparirà; bisogna quindi includere anche la spesa per vitalizi tra i risparmi dovuti alla riforma. Questo ragionamento non è corretto. Il risparmio dalla riforma costituzionale è rappresentato dai contributi previdenziali non più dovuti ai senatori.
Con il passaggio al contributivo, i contributi previdenziali a un senatore sono come “messi da parte” per costruire la sua pensione. Una volta pagati, questi contributi vivono di vita propria, accumulandosi più o meno secondo il tasso di interesse. Il costo per i contribuenti è quindi rappresentato, all’incirca, dai contributi stessi.
I vitalizi attuali sono pagati con il retributivo e sono solo parzialmente coperti dai contributi passati. In ogni caso, essi si esauriranno gradualmente, indipendentemente dalla riforma costituzionale: l’esito del referendum non ha alcun effetto su di essi.
Dunque nel calcolo dei risparmi dovuti alla riforma costituzionale bisogna includere i contributi pagati a tutti i 320 senatori (anche i 100 senatori rimasti avranno la pensione da consigliere regionale o da sindaco). Non si devono contare le pensioni future risparmiate (sarebbe come conteggiare lo stesso risparmio due volte) né, tantomeno, quelle attuali (come abbiamo visto, il loro andamento è indipendente dalla riforma costituzionale).
La riduzione dei costi del Senato
La reazione istintiva di molti lettori è: il numero di senatori scende del 70 percento, il Senato attualmente costa circa 500 milioni, quindi il costo del Senato scenderà di circa 350 milioni, molto più dei 130 milioni che ho stimato. Il ragionamento è inesatto, perché ci sono molti costi fissi, cioè costi che non scendono in proporzione al numero dei senatori. In un condominio di 10 persone, se due condomini se ne vanno, le spese condominiali non si riducono del 20 percento, ma forse del 5 percento.
Il CNEL
Sui risparmi dalla eliminazione del CNEL si sono ingenerati molti fraintendimenti. Il CNEL è praticamente non più operativo: è stato “svuotato” con le ultime leggi di bilancio: per esempio, già la legge di stabilità del 2015 comportava un risparmio di 10 milioni. Rimangono gli immobili, alcune spese di funzionamento (per esempio per mantenere gli archivi), e il personale. È dunque dall’ultimo bilancio di previsione che bisogna partire per comprendere i risparmi dalla riforma costituzionale, perché mostra fin dove si può arrivare con una legge ordinaria, Non sono dunque d’accordo con Carlo Stagnaro che prende come riferimento per calcolare i risparmi dalla riforma costituzionale il bilancio degli anni 2012-2013.
L’ultimo bilancio di previsione stanzia circa 9 milioni (al netto di accantonamenti una tantum). La nota della Ragioneria di ottobre 2014 essenzialmente prende tutta la spesa residua del CNEL e assume che quello sia il risparmio possibile dalla riforma costituzionale, arrivando così a 8,7 milioni. In realtà, i risparmi dalla chiusura definitiva del CNEL sono inferiori, perché il personale verrà riassorbito dalla Corte dei Conti, e alcune spese rimarranno, come la manutenzione dello stabile (che passerà al CSM) e degli archivi. Escludendo queste voci, e calcolando tutto al netto dell’IRPEF, si arriva ad un risparmio di 3 milioni, come ho mostrato nel mio primo articolo con un’analisi del bilancio CNEL voce per voce.
Le province
Alcuni lettori hanno male interpretato il ragionamento sulle province. Per comprenderlo, è bene ricordare che le province sono, sì, un organo costituzionale, ma la Costituzione non dice quanto debbano costare: dipende dal legislatore ordinario stabilire quanto esse vengano finanziate. Le stesse regioni erano un organo costituzionale fin dal 1948, ma sono state istituite solo nel 1970. La legge Delrio, una legge ordinaria, ha già di fatto svuotato le province e quasi eliminato il costo dei suoi organi.
Del resto, già quando è passata la legge Delrio sono stati pubblicizzati risparmi per circa 350 milioni. Non sarebbe corretto contarli due volte, nel 2014 al tempo della approvazione della legge e nel 2016, se passa la riforma costituzionale.
Non solo. Ma c’è il rischio concreto che la combinazione delle riforme Delrio e costituzionale porti a un aumento, non a una riduzione dei costi. La riforma Delrio istituisce le città metropolitane, che sono essenzialmente le vecchie province delle maggiori città italiane; e parla di “aree vaste” come livello intermedio tra comuni e regioni, una nozione cui viene attribuita dignità costituzionale dal riforma costituzionale. Non è chiaro come verrà risolto il caos attuale, ma è facile immaginare una soluzione che comporterà un considerevole aumento di spesa.
Le obiezioni di Carlo Stagnaro
L’analisi precedente risponde implicitamente a tutte le obiezioni di Carlo Stagnaro. Ne rimane una: “Perotti ipotizza che le spese di segreteria aumenteranno di circa 5 milioni di euro […] Alla luce del minor carico di lavoro [….] non c’è ragione di ritenere insufficienti le attuali dotazioni: non vi sarà alcun aumento sotto questo profilo.” Ovviamente sono considerazioni soggettive, quindi diciamo che sono disposto a concedergli 5 milioni.
Le maggiori spese
Tuttavia, in due altre dimensioni sono stato troppo generoso. Ho assunto che tutti i rimborsi spese e diarie venissero aboliti. Ma la stessa Ragioneria, nella sua nota dell’ottobre 2014 assume che gli attuali rimborsi spese e diarie vengano mantenuti per i 100 senatori del nuovo senato. Questo comporterebbe un aggravio di spesa, rispetto alle mie stime, di 24 milioni.
Inoltre, attualmente il Senato ha a bilancio 12 milioni di rimborso spese elettorali. Nei miei calcoli ho assunto che, abolendo l’elettività diretta del Senato, la riforma farà risparmiare questi 12 milioni. In realtà, i rimborsi elettorali sono già stati aboliti dal governo Letta a partire dal 2017, quindi questa voce sarebbe scomparsa tra pochi anni in ogni caso.
Tenendo conto di questi due aggravi di spesa, e del risparmio di spese di segreteria proposto da Stagnaro, il risparmio complessivo sulle sole spese della politica oscillerebbe tra 106 e 130 milioni invece che tra i 137 e 161 milioni che stimo attualmente.
La differenza con le altre stime
La mia stima è superiore alle stime di molti sostenitori del no, e inferiore alle stime di molti sostenitori del sì. Come si spiegano queste differenze?
I sostenitori del no riportano spesso una stima di 57,5 milioni. In realtà questa cifra è frutto di un malinteso. Essa è derivata da una nota della Ragioneria dell’ottobre 2014, che però considerava solo due voci specifiche: i risparmi dall’abolizione dell’indennità e la riduzione della diaria, e i risparmi dall’abolizione del CNEL, per un totale di 57,5 milioni, in linea con i miei calcoli (la Ragioneria assumeva un risparmio di 8,7 milioni dal CNEL, perché all’epoca non si parlava di riassegnazione dei suoi dipendenti). La Ragioneria però affermò di non avere elementi per stimare i risparmi da tutti gli altri componenti della riforma (una strana risposta, perché come abbiamo visto è facile, con un minimo di lavoro, stimare i risparmi sui compensi die consiglieri regionali e sui contributi ai gruppi consiliari regionali, e fornire una stima approssimativa sui risparmi dalla riduzione dei dipendenti del Senato).
I sostenitori del sì citano invece spesso una cifra di circa 500 milioni. Per esempio, nel question time dell’8 giugno 2016 la ministra Boschi citava queste cifre (pagina 67):
– 80 milioni dalla “riduzione del 33 per cento delle indennità parlamentari”. Una cifra sovrastimata di 25 milioni, perché le indennità nette sono oggi 25 milioni, e circa 45 milioni i rimborsi spese e diarie, di cui meno di 30 milioni verrebbero risparmiati
– altri 70 dalla riduzione dei rimborsi ai gruppi al Senato, dal minor lavoro delle commissioni di Palazzo Madama e dal ruolo unico del personale di Camera e Senato. Una cifra molto difficile da ricostruire, perché la spesa stanziata per le commissioni al momento è minima, 1,5 milioni, mentre quella per i gruppi parlamentari è di “soli” 21 milioni.
– 20 milioni dall’ abolizione del CNEL. Abbiamo visto come questa cifra sia totalmente inesatta
– 320 dai risparmi sul personale politico delle province. Ma come abbiamo visto, questo risparmio si è già manifestato anche in assenza della riforma costituzionale; inoltre, andrebbero contati anche le maggiori spese per le città metropolitane e, in futuro, per le aree vaste.
Ma vi sono anche altre cifre ancor più difficili da razionalizzare. Nella lettera agli italiani all’estero firmata dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, si parla di un costo del CNEL pari a “un miliardo”. È difficile capire da dove venga questa affermazione. L’ ipotesi più probabile è che si tratti di un calcolo eseguito come segue. Al suo apice, qualche anno fa, il CNEL stanziava circa 20 milioni l’anno. Un miliardo dovrebbe quindi essere all’ incirca il costo complessivo del CNEL durante la sua esistenza (in realtà anche il costo complessivo è ben inferiore a un miliardo, perché i venti milioni comprendono partite di giro e avanzi di bilancio, restituiti allo stato). Seguendo questa logica, i risparmi dalla riforma del Senato sarebbero 35 miliardi (i 500 milioni del costo annuale attuale del Senato, moltiplicati per i 70 anni della sua esistenza nella forma attuale).
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