Lo sciopero dei fattorini torinesi di Foodora ha acceso i riflettori sull’economia on-demand, dove il rapporto di lavoro si costituisce attraverso un’applicazione sul cellulare. Come per il taylorismo, è difficile fermare un’innovazione che dà benefici ai consumatori. Ma si può regolamentarla.
Cos’è la gig economy
Lo sciopero dei riders (fattorini) torinesi di Foodora ha messo in luce un nuovo aspetto dell’economia moderna che si sta affermando sempre più prepotentemente: la gig economy, conosciuta anche come economia on-demand. Nella gig economy, la tecnologia facilita l’erogazione di un servizio tramite un’applicazione sul cellulare, che è utilizzata per contrarre ogni prestazione lavorativa quando se ne ha bisogno, sostituendo il rapporto diretto dei lavoratori – in questo caso i riders – con il datore di lavoro.
L’innovazione si basa su un algoritmo che ottimizza le consegne, selezionando i fattorini in maniera efficiente in base a una serie di parametri oggettivi, come il percorso da compiere per consegnare il cibo, il tempo medio di accettazione di una comanda, la velocità media del rider. L’algoritmo elimina così gli elementi soggettivi che possono caratterizzare la prestazione di lavoro – decidendo chi lavora e chi no e monitorando il servizio – e limita i comportamenti opportunistici.
Come regolamentarla
Per il fenomeno della Gig economy, si può tracciare un parallelo storico con l’organizzazione scientifica del lavoro introdotta da Frederick Taylor (Principle of scientific management, 1911). Così come allora, l’obiettivo è poter controllare il processo produttivo per ottimizzarlo. Nel caso di Taylor si trattava della produzione industriale, mentre in quello della gig economy si tratta di un servizio – le consegne. Anche ai tempi di Taylor, il cambiamento produsse diverse proteste e scontri fra i lavoratori e i datori di lavoro. Tuttavia, le proteste non riuscirono a bloccare l’avanzare dell’innovazione. Frederick Taylor spiega il perché all’interno del suo libro, ricordando il ruolo che il consumatore gioca nel rapporto fra produttore e lavoratore con il suo desiderio di prodotti sempre migliori e più convenienti. Ai tempi di Taylor, per esempio, un numero maggiore di persone poteva permettersi un’automobile Ford grazie alla riduzione dei prezzi, dovuta alla produzione in serie. Ai tempi della gig economy, invece, i consumatori possono usufruire di una prestazione personalizzata grazie all’algoritmo che ottimizza il servizio, individuando la combinazione perfetta fra chi ordina e il fattorino più vicino e rapido, che può consegnare il cibo ancora caldo.
Politiche economiche volte a bloccare o eliminare un’innovazione che porta benefici ai consumatori difficilmente sono efficaci. È invece fondamentale realizzare politiche che gestiscano il cambiamento e rendano la transizione più graduale. Attualmente, una proposta di legge sulla regolamentazione della sharing economy (economia della condivisione) è in discussione in parlamento. Il disegno di legge riguarda servizi come BlaBlaCar o Airbnb, dove l’obiettivo è diminuire i costi, condividendo servizi quali il passaggio in auto o la stanza vuota, che altrimenti rimarrebbero inutilizzati. Non si considera invece la gig economy di Deliveroo o Foodora, dove non avviene alcuna condivisione, ma si ha una prestazione di lavoro “freelance” facilitata dalla tecnologia dell’algoritmo. È quindi importante distinguere tra i due fenomeni e inquadrare la nuova figura lavorativa prodotta dalla gig economy nella regolamentazione. Per esempio, la proposta di legge sulla sharing economy distingue fra chi affitta per hobby e chi lo fa per mestiere, fissando un guadagno di 10mila euro annui come limite fra le due categorie. Se il guadagno è inferiore a questa soglia, la tassazione sui “redditi da condivisione” sarà del 10 per cento. Mentre si applicherà l’aliquota corrispondente al lavoro dipendente o da lavoro autonomo nel caso in cui la soglia dei 10mila euro di guadagno sia superata (articolo 5). Una proposta di legge sulla gig economy potrebbe anch’essa individuare un limite volto a distinguere i fattorini che lo fanno per hobby da quelli che lo fanno come mestiere, gestendo il cambiamento e riconoscendo diritti e doveri specifici per le due diverse figure lavorative.
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