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Sotto le cartelle rottamate, un nuovo condono fiscale

La definizione agevolata delle somme iscritte a ruolo non sembra essere altro che un condono fiscale. Elimina infatti sanzioni e interessi di mora per tributi non pagati. In più crea disuguaglianze tra contribuenti e non risponde agli obiettivi del governo. Un provvedimento per fare cassa.

Come si rottama una cartella

L’articolo 6 del decreto legge 22 ottobre 2016, n. 193 contiene una delle disposizioni normative più discusse del provvedimento fiscale: prevede la “definizione agevolata” delle somme iscritte a ruolo o, comunque, già prese in carico dall’agente della riscossione.
La “definizione agevolata” si perfeziona versando interamente il tributo, gli interessi e l’aggio di riscossione e ha l’effetto di estinguere sanzioni e interessi di mora.
Il provvedimento ha pertanto i tratti fondamentali di un condono fiscale, perché è una misura di carattere transitorio che permette di definire le somme iscritte a ruolo tra il 2000 e il 2015, senza versare sanzioni e interessi di mora.
L’effetto premiale è evidente considerato che:
– le sanzioni amministrative pecuniarie, in genere, variano da un minimo del 30 per cento del tributo (in ipotesi di omesso versamento) a un massimo compreso tra il 120 e il 240 per cento del tributo (in ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione);
– gli interessi di mora, cioè gli interessi che decorrono dalla scadenza del termine per versare le somme iscritte a ruolo, hanno invece una misura, nel periodo oggetto del condono, compresa tra il 4,88 e l’8,4 per cento annuo, da calcolarsi sul solo tributo.
La norma di oggi ha però caratteristiche peculiari rispetto alle precedenti “rottamazioni dei ruoli”.
Nel 2002, il condono si perfezionava mediante il versamento di un importo pari al 25 per cento di tutte le somme iscritte a ruolo (inclusi i tributi, le sanzioni e gli interessi, ma esclusi gli interessi di mora, che erano interamente annullati).
Nel 2012, la legge di stabilità per il 2013 aveva disposto l’annullamento automatico delle somme iscritte a ruolo fino al 1999, per un importo massimo di euro 2mila. La misura era però volta a evitare azioni esecutive laddove i costi amministrativi del recupero sarebbero stati maggiori degli importi recuperati.
Nel 2013, la legge di stabilità per il 2014 aveva disposto la possibilità di definire i carichi fiscali pendenti senza versare i soli interessi di mora (e quelli per ritardata iscrizione a ruolo), ma pagando interamente sanzioni e tributi.

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Meglio una riforma strutturale

L’attuale condono mostra vari profili di criticità.
Innanzitutto, l’effetto premiale rischia di essere compromesso dal fatto che, per beneficiarvi, è necessario versare le somme dovute in massimo quattro rate, rinunciando ai piani di rateazione, più favorevoli, previsti dall’articolo 19, Dpr n. 602/1973.
Possono beneficiare del condono anche coloro che hanno un contenzioso in essere, purché vi rinuncino. Tale estensione non è però coordinata con le norme in tema di riscossione provvisoria in pendenza di giudizio, rendendo appetibile la misura (almeno con riguardo all’imposizione reddituale) solo per i contribuenti risultati soccombenti in entrambi i gradi di giudizio di merito.
Non viene fatta alcuna distinzione in merito alla capacità finanziaria del contribuente e alle ragioni che lo hanno indotto a violare la norma tributaria. Non c’è alcuna differenza, insomma, tra colui che ha evaso per impossibilità di versare il tributo e colui che ha evaso per mero arricchimento.
Il provvedimento presenta poi più profili di disuguaglianza. Oltre a quello, comune a tutte le forme di condono, di premiare i contribuenti meno meritevoli, la misura distingue:
(i) tra coloro che stanno versando ratealmente le somme (che devono continuare a versare le rate, inclusive di sanzioni, fino al 31 dicembre 2016) e coloro che non hanno alcun piano di rateazione in essere (che possono semplicemente attendere di perfezionare il condono);
(ii) tra coloro che stanno versando ratealmente somme non iscritte a ruolo (ad esempio, a seguito di un’acquiescenza, di un accertamento con adesione o di una conciliazione giudiziale) – che non pare possano beneficiare del condono – e coloro che invece stanno versando ratealmente somme iscritte a ruolo, che possono usufruire della misura;
(iii) tra coloro che sono debitori di un tributo locale la cui riscossione è gestita direttamente dall’ente locale (che non sembra possano beneficiarne) e coloro che risultano debitori dello stesso tributo in comuni la cui riscossione è affidata a Equitalia.
In conclusione, l’intervento, per come strutturato, appare parzialmente incoerente con i proclami governativi: se l’intenzione è quella di aiutare i contribuenti a far fronte alle obbligazioni tributarie che, in ragioni di sproporzionati interessi di mora, vedono il debito fiscale originario lievitare a dismisura, sarebbe opportuno un intervento strutturale di riforma del sistema di riscossione, non solo per quanto riguarda gli interessi moratori, ma anche per l’aggio da riscossione, che non è oggetto di condono.
Invece, come emerge indirettamente anche dalla relazione tecnica, l’obiettivo della misura pare quello di incrementare (o anticipare) il gettito nel breve periodo, al costo, comune a tutte le misure di condono, di compromettere fortemente il rapporto di fiducia dei contribuenti nei confronti del fisco.

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  1. GIUSEPPE JENI

    Preg.mo Prof. io la chiamerei la rottamazione truffa . Fermo restando che le cartelle – notificate ( ruolo esecutivo) dal 1.1.2010 al 31.12.2015 , sulle quali sono applicate sanzioni ed interessi e che comunque col passare del quinquennio dalla data di notifica , saranno prescritte in assenza di atti interruttivi , le cartelle notificate nel periodo anteriore sono per legge sgravate – in assenza di atti interruttivi – per decadenza Cass. ord. n. 12715 del 20.6.16.; Cass. Sez. Unite sent. n. 25790/2009 e art. 20 D.Lgs. 472/1997 ( escluse quelle soggette al giudicato ). La maggiore disparità resta per tutte le cartelle giacenti presso le C:T: provinciali regionali , Cassazione., e quelle oggetto di reclamo- mediazione ecc. cioè nel limbo e non coperte da giudicato definitivo. Cordialirà Giuseppe Jeni

  2. Antonio Carbone

    È la prima volta che leggo un autore (non solo de “la voce”) fare la sacrosanta distinsione “tra colui che ha evaso per impossibilità di versare il tributo e colui che ha evaso per mero arricchimento”. Bisogna specificare ulteriormente che c’è, tra i tanto vituperati evasori (termine mette sullo stesso piano una multinazionale e il Sig. Rossi):
    a) chi dichiara fino all’ultimo centesimo ma non paga alla scadenza perché materialmente non ha i soldi in cassa;
    b) chi non dichiara proprio nulla, o una piccola parte del proprio reddito;
    c) chi usa stratagemmi fiscali al limite della legalità per pagare il meno possibile (il caso delle multinazionali con contenziosi per centinaia di milioni, risolti spesso con transazioni che hanno più l’aspetto di condoni tombali).
    L’autore evita anche l’odioso luogo comune del “a pagare sono sempre i soliti” cioè i dipendenti con la ritenuta alla fonte.
    Vorrei sapere cosa farebbero questi “virtuosi obbligati” se non venisse pagato loro lo stipendio per più di un anno (cosa che, ad esempio, avviene usualmente per le fatture che un professionista emette nei confronti di una PA)! Chiederebbero al datore di lavoro di versare prima le ritenute e poi, chissà, lo stipendio!? Comunque questo non avviene nella PA e raramente nel privato. E quando avviene si mobilitano (giustamente) tutti, vescovi compresi, a tutela dei lavoratori.
    Ecco il punto! Anche i tanto vituperati lavoratori autonomi (evasori per antonomasia nella vulgata corrente) sono lavoratori.

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