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Risparmio: niente rischi, siamo italiani

Timore di perdite, scarsa educazione e mancanza di fiducia scoraggiano la partecipazione al mercato finanziario e portano il risparmiatore italiano a fare scelte sbagliate. Le scienze cognitive aiutano a ripensare il ruolo degli intermediari e potenziare le capacità decisionali degli investitori.

La paura di perdere il capitale investito

L’ultimo Rapporto sulle scelte di investimento della famiglie italiane, pubblicato dalla Consob lo scorso settembre, ripercorre tra conferme e smentite taluni stereotipi sul comportamento dei risparmiatori italiani. I dati disponibili mettono in discussione l’idea che attribuisce all’Italia la maggiore propensione al risparmio in Europa. Dopo la crisi finanziaria del 2008, infatti, il nostro tasso di risparmio ha segnato un divario crescente rispetto alla media dell’area euro, restando a fine 2015 molto al di sotto dei valori di lungo periodo.
Trova conferma, invece, l’elevata avversione alle perdite e la difficoltà a valutare il rischio finanziario. Il 72 per cento degli investitori, in effetti, dichiara di essere disposto a sottoscrivere solo prodotti con capitale o rendimento minimo garantito (figura 1). Un’attitudine che si riflette nella preferenza crescente per circolante e depositi, come si evince dal dato sull’incidenza sul portafoglio di depositi bancari e postali, passata dal 38 per cento nel 2007 al 52 per cento nel 2015, rispetto alla diminuzione della quota di ricchezza detenuta in azioni (-43 per cento), titoli del debito pubblico (-23 per cento) e obbligazioni (-19 per cento; figura 2).

Figura 1 – Ragioni pro e contro l’investimento

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Fonte: Consob

Figura 2 – Composizione del portafoglio degli investitori italiani

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Fonte: Consob (2016)

Diversificazione e consulenti

La bassa comprensione del rischio finanziario accomuna la maggior parte degli italiani, che solo di recente hanno iniziato a confrontarsi con la complessità nel campo delle scelte economico-finanziarie, in un contesto storicamente connotato da un welfare generoso, prodotti standardizzati e rendimenti (almeno nominali) relativamente elevati dei titoli del debito pubblico. Ne è la riprova la ridotta propensione degli italiani a una varietà di investimenti: solo il 6 per cento conosce le implicazioni di una corretta diversificazione di portafoglio, mentre il 52 per cento ne coglie solo un aspetto, dichiarandosi disposto a sottoscrivere numerosi titoli a basso rischio (erronea diversificazione) oppure non comprende lo scambio fra rischio e rendimento, essendo disposto a investire solo in prodotti a basso rischio e alto rendimento (figura 3).

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Figura 3 – Attitudine alla diversificazione di portafoglio da parte degli investitori italiani

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Fonte: Consob (2016)

Diversificazione di portafoglio e relazione rischio/rendimento non sono le uniche nozioni estranee al bagaglio conoscitivo degli investitori. Solo poco più del 40 per cento degli intervistati, infatti, è in grado di definire correttamente l’inflazione; ancora meno i soggetti che conoscono le caratteristiche dei prodotti più diffusi (figura 4).

Figura 4 – Conoscenze finanziarie degli investitori italiani

Linciano 4

Fonte: Consob (2016)

Avversione alle perdite e bassa educazione finanziaria possono incidere negativamente sulla partecipazione al mercato finanziario. Non è trascurabile, inoltre, il ruolo della fiducia, indicata dal 53 per cento degli investitori tra gli elementi determinanti della scelta di detenere un prodotto finanziario (figura 1). La gran parte degli italiani, infine, non ha piena consapevolezza dei fattori da ponderare prima di investire ed esibisce alcune distorsioni comportamentali che possono influenzare la percezione e la valutazione del rischio: si tratta di lacune forse più gravi delle basse conoscenze finanziarie, che la riluttanza ad affidarsi a un consulente può acuire se le alternative sono il fai-da-te (24 per cento degli italiani) o il passa-parola (il 38 per cento preferisce amici e colleghi; figura 5).

Figura 5 – Stili decisionali degli investitori italiani

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Fonte: Consob (2016)

Consapevolezza è la parola d’ordine

Le scienze cognitive hanno ormai identificato le caratteristiche dei processi decisionali che guidano le scelte individuali in condizioni di incertezza e offrono spunti di riflessione interessanti per tutti gli attori del sistema finanziario. Se si condivide l’approccio delle cosiddette boost policies, gli sforzi di consulenti e istituzioni dovrebbero essere orientati verso l’innalzamento della consapevolezza dei risparmiatori, per consentire loro di essere coscienti dei rischi e delle responsabilità che assumono quando investono. Il boosting, infatti, non esclude un ruolo attivo del decisore finanziario ma, al contrario, suggerisce l’utilizzo di strumenti che ne accrescano le competenze e ne valorizzino le modalità decisionali.
I consulenti e, in generale, gli intermediari sono in una posizione privilegiata, potendo interagire direttamente con i clienti (almeno finché la consulenza automatizzata non diventerà la modalità dominante di investimento assistito) guidandoli in un percorso di investimento ragionato.
Alle istituzioni, invece, spetta il compito di disegnare norme e strumenti informativi e formativi che potenzino le capacità decisionali degli investitori, secondo una metodologia interdisciplinare, basata sull’evidenza e controllabile a posteriori.

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Debito di Atene, pomo della discordia tra Europa e Fmi

  1. marco

    e quindi? vogliamo indurre gli italiani a investire i propri guadagni dopo tutti i danni già arrecati dalla finanza coscientemente o incoscientemente?
    Per favore, un pò di onestà intellettuale.

  2. Methos

    Io mi sento molto consapevole. E con tutti i miei Ph.D e i miei master e il mio inglese sono molto consapevole che del mercato finanziario è meglio fidarsi molto poco. Mi sembra che sempre più interventi nel sito vengano scritti con singolare leggerezza…

  3. bob

    ..perchè i questo Paese non ricominciamo a parlare di economia vera e L’ Europa ( se esiste) non la smette di andare a rimorchio dalle ” americanate”?

  4. Emanuele

    La gestione corretta di un portafoglio oltre le minime basi presenta aspetti piuttosto contro intuitivi che spesso sfuggono anche a persone presumibilmente “consapevoli”, quindi per la maggior parte delle persone mantenere un atteggiamento di prudente diffidenza è sensato, anche se non ottimale. Per quanto riguarda l’industria della consulenza finanziaria purtroppo spesso non fa che generare costi di transazione e commissioni con gestioni attive che non producono in aggregato nessun beneficio per i risparmiatori, essendo la speculazione un gioco a somma zero. Sarebbe utile che si diffondesse una minima cultura finanziaria, ma anche che cessassero i sussidi impliciti che l’industria del risparmio gestito riceve (vari sgravi fiscali per chi in varie forme da in gestione i propri risparmi, per es pensioni integrative)

  5. Tutto vero, tutto bello, tutto giusto.
    Le cose si complicano quando, i 150 mila euro, risparmi di una vita, non sono protetti in alcun modo dalle leggi dello Stato

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