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La maledizione di Pontezuma

All’improvviso è tornato di attualità il Ponte sullo Stretto di Messina. Porterà vantaggi? Per rispondere servirebbe un’analisi costi-benefici che tenga conto anche delle possibili soluzioni alternative. Come affrontare in maniera corretta e trasparente una importante scelta di spesa pubblica.

Costi e benefici del Ponte

Ecco, ci risiamo. Pensavamo tutti che il Ponte sullo Stretto di Messina fosse stato archiviato con la vecchia, infruttuosa e costosa stagione delle “grandi opere”. E invece è tornato tra noi, improvvisamente. Proviamo perciò a rispondere ad alcune questioni cruciali relative al progetto, ai suoi costi e ai suoi benefici e alle sue alternative.
Quali sono i costi del Ponte? La risposta è apparentemente facile. Il contratto (che, incidentalmente, non è pubblico) firmato con il vincitore della gara per la costruzione vale circa 3,8 miliardi di euro. La controparte è la società Eurolink, tra i cui soci c’è Salini-Impregilo. Il contratto, però, è per la sola costruzione del manufatto, mentre la delibera Cipe 136/2012 indica un costo di 8 miliardi e 549,9 milioni di euro (di cui oltre 7 “da reperire”), che presumibilmente comprende le opere di accesso e soprattutto i costi finanziari.
Dal 2011 non ci sono più revisioni, dunque non sappiamo se la stima sia ancora attuale, ma il passato ci autorizza a pensare male, soprattutto per le opere fuori contratto. Quel che è certo è che la Stretto di Messina spa già oggi non dovrebbe esistere più (è in liquidazione) e con essa dovrebbe scomparire il periglioso “project financing” che ne aveva ottimisticamente giustificato l’esistenza.
Andrebbero poi aggiunti i costi di gestione e manutenzione, che in teoria avrebbero dovuto essere coperti con i ricavi tariffari, ma che in un’ottica costi-benefici sono dei costi netti.
Quali i benefici per la lunga percorrenza? È certamente la questione più difficile. Probabilmente i benefici principali sarebbero i risparmi di tempo per le merci, quantificati dai proponenti in 1-1,5h per gli automezzi, rispetto ai tempi dei traghetti. Si tratta di risparmi importanti, che vanno però pesati per il “valore del tempo” di passeggeri e merci oltre che per i volumi di traffico in gioco. Tuttavia, il valore del tempo delle merci è inferiore ai passeggeri ed è valutabile in 2-4 €/h/ton. Si tratta di valori molto variabili, che dipendono dal tipo di merce: risparmiare un’ora per un tonno fresco o per un pomodorino di Pachino vale molto di più rispetto al risparmio per una tonnellata di benzina prodotta a Priolo. Dunque, non tutto quanto prodotto e destinato in Sicilia passerà dal Ponte.
I benefici ambientali, invece, sono più dubbi e probabilmente l’effetto netto sarà negativo, sia per l’impatto del Ponte che per il cambio modale indotto dal trasporto navale (per esempio Palermo-Napoli) a quello stradale. Che vi sia un percepibile spostamento dalla nave al trasporto ferroviario di lunga percorrenza lo vedo improbabile: i costi sono sicuramente a favore della nave e già oggi i treni merci dal Sud al Nord sono pochissimi e largamente sussidiati.
Sul beneficio per i passeggeri a lunga percorrenza (per esempio Milano-Catania o Napoli-Palermo) lascio giudicare il lettore in base a quanto detto dal ministro Del Rio: “Oggi per andare in treno da Roma a Palermo ci vogliono dieci ore e mezza. Con il Ponte e tutto il corridoio scenderemo a sei ore”. Alzi la mano chi abbandonerà l’aereo. E soppesiamo bene l’innocua frasetta “e tutto il corridoio”: significa che non basta il Ponte per questi risultati, ma che serve anche l’alta velocità in Sicilia e in Calabria e dunque non stiamo più parlando degli 8,5 miliardi, ma di molto, molto di più.
Vi è un terzo beneficio, che potrebbe essere molto rilevante: l’eliminazione dei costi dei traghetti. Ma è incerto (Channel Tunnel docet) perché non è detto che tutti i traghetti verranno cancellati dal Ponte e avverrebbe anche a spese dei lavoratori del settore.
I benefici per i gli spostamenti di breve raggio sono invece assai meno rilevanti. Le due aree urbane oggi scambiano circa 5mila persone al giorno per lavoro e studio, oltre ad altrettante per motivi vari e ai ritorni. Ventimila viaggi giorno non sono pochi e giustificherebbero circa 1 treno/h per direzione o anche di più. Ma il beneficio netto sarà limitato, poiché il treno impiegherebbe comunque circa mezzora a causa della distanza del Ponte da Reggio e dunque sarebbe perfettamente comparabile con i tempi di traghettamento attuali.

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Come decidere?

In buona parte del mondo occidentale, lo strumento principe per accompagnare questo tipo di decisioni è l’analisi costi benefici, che mette insieme tutto quanto e valuta i trade-off tra i diversi effetti. Ma l’Acb non è – e non deve essere – uno strumento “assoluto”, ma di confronto.
Confrontare i costi e i benefici del solo Ponte rispetto alla situazione odierna presuppone che non vi siano miglioramenti possibili, cosa che però è difficile da sostenere. Si potrebbero quindi individuare soluzioni un po’ meno efficaci al problema, ma molto meno costose e quindi preferibili in un contesto di spesa pubblica quantomeno limitata: comprare nuove navi, sussidiare servizi di traghettamento aggiuntivi, costruire più attracchi e migliorare quelli esistenti.
Oppure si potrebbe definire un pacchetto di interventi altrettanto costoso, ma con benefici maggiori per tutto il Sud: incentivi alle autostrade del mare da tutti i centri dell’Isola, porti franchi, raccordi ferroviari nei porti, migliori collegamenti tra aeroporti e territori circostanti, soluzioni per i nodi ferroviari più congestionati.
Spendere miliardi su una singola opera, peraltro molto rischiosa sia dal punto di vista tecnico che da quello dei benefici futuri, significa non avere più risorse per fare altro, in una parte del paese che ha certamente molti bisogni inespressi.
Se il valore del Ponte sta negli 8 miliardi e nei posti di lavoro “attivabili”, più che nei benefici diretti, diciamolo chiaramente. Ma allora stimiamo quanti posti di lavoro si genererebbero con più asili e servizi alla persona, con venti bonifiche di siti inquinati, con la cura del territorio o con cinquemila campagne archeologiche o mille restauri di monumenti.
Non si tratta di eludere una domanda legittima di un territorio, ma di affrontare in maniera corretta e trasparente una importante scelta di spesa pubblica che ha inevitabilmente un effetto sulle altre.

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Il Punto

12 commenti

  1. Roberto Convenevole

    Neanche per la costruzione del Colosseo furono impiegati 100.000 uomini tra schiavi, liberti, artigiani ed ingegneri. Sono passati 2000 anni e le tecniche di costruzione si sono evolute. Sarebbe interessante conoscere il parere per l’appunto di ingegnieri.

  2. Roberto Bellei

    Secondo i miei ricordi la Coopers & Lybrand (ora PriceWatherhouseCoopers), che aveva già fatto un’analisi costi-benefici per il Channel Tunnel, ne fece una anche per il Ponte di Messina per conto della Comunità Europea. Basterebbe ripartire da quello studio, che mi sembra fosse molto scettico, ed aggiornarlo ad oggi

  3. EzioP1

    Forse qualche considerazione è necessaria. I soldi spesi nella realizzazione dei progetti, tolti i costi di manodopera, progettazione, acquisto di materiali, ecc. che vanno nell’infrastruttura in costruzione, e che piaccia o meno vanno nelle tasche dei lavoratori, ingegneri, progettisti ecc., quindi di noi che lavoriamo, per la rimanente parte stimabile in una percentuale del massimo 30% e anche meno vanno a chi ha l’onere della costruzione che deve anche provvedere alla continuazione della vita dell’impresa e quindi della ricerca e sviluppo necessaria per restare in vita e restare competitiva. Le critiche quindi fantasiose che vengono fatte non considerano questi aspetti logistico-finanziari. Il principale problema del ponte è che fino ad ora nessuno si è pronunciato tecnicamente se questo regge o non regge, tenuto conto che con i materiali attuali il ponte a campata unica più lungo al mondo è stato inaugurato in Giappone nel 2014 ed è lungo poco meno di 2.000 metri. E’ da verificare se un ponte lungo oltre i 3.000 metri necessita di altri materiali più resistenti di quelli usati in Giappone e se questi sono disponibili. Allo scopo infatti il ministro Delrio ha detto che si tratta prima di fare e finanziare lo studio di fattibilità del progetto. Decidere se fare o non fare il ponte è un passo successivo.

    • il caroGna

      Quindi, visto che i costi di un’opera vanno comunque a finire nelle tasche dei lavoratori che ci lavorano, basta finanziaria una serie di opere anche assolutamente inutili (un ascensore per salire sul Monte Bianco, la galleria ipotizzata dalla Gelmini, la rimozione del Masone per far circolare l’aria nella Pianura Padana, una autostrada Aosta-Lecce) e abbiamo risolto il problema della disoccupazione…Mah…

  4. Fabio La Franca

    Non capisco perche` ogni volta che si parla del ponte sullo stretto lo si valuta per decidere se conviene per andare da Palermo a Roma. Serve per andare da Catania a Catanzaro. Da Messina a Taranto. Da Palermo a Cosenza. Come l’autostrada Trieste-Venezia non serve molto per andare a Roma. Serve par far sviluppare gli scambi di merci ed il trasporto di persone NEL SUD e PER IL SUD e non solo verso il nord. Per avere un treno veloce da Taranto a Palermo…
    Se la momento queste tratte sono poche utilizzate e` anche perché mancando il ponte sono difficilmente percorribili.
    Cari saluti

    • sottoscritto

      Palermo-Roma è palesemente solo un esempio, preso in considerazione perchè utilizzato dal ministro quando parlava dell’opera. Il punto resta sempre lo stesso, valutare costi e benefici dell’opera; se i primi superano i secondi non ha senso procedere. Come in tutte le grandi opere credo che il problema stia nell’attendibilità del metodo utilizzato per la valutazione.
      In merito a fare qualcosa nel sud e per il sud, come spiega l’autore, con 8 miliardi e mezzo di euro si potrebbero fare molte cose in alternativa al ponte, forse molto più utili per il sud.

  5. luca

    Soldi per i lavoratori? sarebbe ottima cosa, ma questo articolo mi fa pensare che le maggiori risorse non finirebbero lì: http://www.lavoce.info/archives/32576/alta-velocita-brescia-verona-come-cambiare-regole-progetto/

  6. Fabrizio

    sarebbe interessante sapere dov’erano tutti questi esperti di analisi costi/benefici quando in Italia venivano finanziate con fondi pubblici opere di dubbia sostenibilità finanziaria come la brebemi (i soldini li hanno usciti i pensionati, ovvero CPD, con risultato ante imposte 2015 di (88.859.706); un bell’affare eh), la pedemontana veneta (zaia vuole andare a chiedere i soldi a mamma CDP), o quello scempio di denaro pubblico che è la tav torino-milano. O vogliamo parlare dei 5,5 miliardi che vorrebbero spendere da qui al 2028 per l’AV catania-palermo?
    Allora, o si iniziano a valutare seriamente le opere pubbliche, tutte – e dico tutte – le opere pubbliche, oppure ci sarà sempre qualcuno che vorrà il ponte, le olimpiadi, i mondiali e l’expo.

  7. Giancarlo Castiglioni

    Premesso che in un’opera pubblica il confronto costi-benefici non chiude la questione e vi sono casi in cui si può derogare, la mia opinione è che il ponte sarebbe meglio non farlo.
    Ma lamentarsi adesso non serve.
    Il contratto è stato firmato, per annullarlo ci sono penali colossali, il ponte è stato promesso ai siciliani che il ponte lo vogliono appassionatamente, anche se non sanno bene perché.
    Che fare?
    Una idea la avrei.
    1) Una autorevole perizia tecnica che dichiari che il ponte con la tecnologia attuale non si può costruire, o meglio, che si potrebbe anche fare, ma i rischi sono eccessivi, ecc ecc.
    2) recuperare il progetto del “Ponte di Archimede”, tunnel sommerso a circa 20 metri di profondità in equilibro idrostatico ancorato al fondo.
    Il progetto era stato sviluppato dal gruppo ENI (Snamprogetti) verso la fine degli anni ’80 ed aveva (a mio avviso) parecchi vantaggi sul ponte sospeso.
    Sicura realizzabilità (anche se non se ne sono ancora costruiti).
    Costo minore.
    Eliminazione delle rampe di accesso.
    Collegamento in pochi minuti tra Reggio e Messina, sarebbe in pratica come una metropolitana.
    A suo tempo fu scartato dopo accesa lotta tra ENI che lo aveva progettato ed IRI che sponsorizzava il ponte sospeso.
    Le motivazioni furono “sqisitamente tecniche”.
    il ponte sospeso IRI (DC) vinse contro il ponte subacqueo ENI (PSI).
    Adessso che DC e PSI non ci sono più, si potrebbe ripensarci.

  8. Massimo GIANNINI

    Ottima analisi, che purtroppo in Italia non viene mai utilizzata; esempi ce ne sono molti dalla Brebemi al TAV o altre opere pubbliche.

  9. bob

    Il ponte sullo stretto si doveva fare 30 anni fa se fossimo un Paese serio e con politici lungimiranti, come tutti i Paese ( basta vedere Norvegia- Svezia o altri) . Il ponte sullo stretto non è questione di Sicilia o Calabria e questione del sistema- Paese. Si è fatto Malpensa che come diceva Bernardo Caprotti è l’aeroporto per la Svizzera e non certo per Milano. Interessi da condominio e c’è chi ancora su questo rivista parla di Regioni e bufala federalista

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