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Stress test 2016: foto di gruppo con sorpresa

Diffusi i risultati dello stress test sui principali gruppi bancari europei. Nel complesso, le banche italiane ne escono meglio di altre, nonostante le difficoltà del Monte dei Paschi. Meno positivo è il dato sulla redditività del capitale. Il rischio di perdite per comportamenti inappropriati.

Prima del “cosa”, il “come”

Il 29 luglio l’Autorità bancaria europea (Eba) ha diffuso il risultati dello stress test (un esercizio di simulazione che verifica la resistenza a un ipotetico scenario macroeconomico avverso nel periodo 2016-2018) per i principali cinquantuno gruppi bancari europei. Quali lezioni possiamo trarne?
Svolgiamo prima due considerazioni di metodo: una positiva, l’altra forse un po’ meno.
Positiva è stata la scelta dell’Eba di non fissare, per la prima volta, un livello minimo di Cet1 ratio (l’indicatore che rapporta il patrimonio di alta qualità all’attivo ponderato per il rischio) oltre il quale il test potesse considerarsi superato (era il 5,5 per cento nell’edizione di due anni fa).
Ciò ha privato i commentatori di una lavagna su cui trovare già scritti i nomi di buoni e cattivi, costringendoli a sporcarsi le mani con qualche numero. E a scoprire tra l’altro che esistono almeno due indicatori importanti per capire quanto una banca è vulnerabile: il patrimonio che rimane al termine dello scenario avverso, ma anche la quantità di capitale “bruciata” per effetto del medesimo. Arrivare alla fine del 2018 con un 8 per cento di Cet1 ratio, infatti, non è la stessa cosa se si parte dal 10 per cento o dal 15 per cento: nel secondo caso, l’impatto del test risulta evidentemente ben più drammatico. A titolo d’esempio, Deutsche Bank e Commerzbank chiudono il test con il 7,8 per cento e il 7,4 per cento, un po’ meglio del 7,1 per cento di Unicredit; ma perdono per strada, il 5,4 per cento e il 6,4 per cento, contro il 3,5 per cento della banca milanese. Chi è messa peggio secondo voi?
Meno positivi risultano alcuni limiti della metodologia usata per imporre a tutte le banche un esercizio di simulazione ragionevolmente uniforme. Come ben spiegato dalla Banca d’Italia, infatti, alcune ipotesi del tutto ragionevoli per la media degli intermediari possono risultare indebitamente penalizzanti per alcuni. Per esempio, la scelta di introdurre nel test uno shock sul rating delle banche, imponendo un declassamento di due “gradini” del loro merito di credito, è risultata pressoché indolore per gli istituti il cui giudizio è oggi “tripla A” (perché scendendo di due categorie si resta comunque in una fascia di voto molto elevata), mentre ha comportato esiti pesantissimi per quelle che partivano da un livello meno brillante (e che, una volta retrocesse di due “tacche”, si sono ritrovate a fronteggiare una drammatica espansione del costo del debito, che le regole dello stress test non consentivano peraltro di traslare nemmeno in parte sul rendimento dei prestiti). Per evitare che le rigidità della metodologia ne compromettano la credibilità, è necessario mettere in campo due antidoti: il primo è la trasparenza, e l’Eba ha fatto la sua parte rendendo noti, per le banche sotto la sua “giurisdizione”, tutti i dettagli e le determinanti del risultato finale; il secondo è la ragionevolezza, e solo nei prossimi mesi vedremo se le autorità di vigilanza (Banca centrale europea inclusa) interpreteranno il risultati del test con adeguata flessibilità.

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Chi vince e chi perde?

Detto questo, i risultati del test contengono molte indicazioni degne di nota e non sono privi di soprese. Per cominciare, l’impatto sulle cinque banche italiane analizzate risulta nel complesso contenuto: -4,1 per cento (sempre in termini di Cet1 ratio), di poco peggiore della media europea nonostante il dato pesantemente negativo del Monte dei Paschi (che più di altri ha pagato, tra l’altro, le rigidità metodologiche). È andata peggio alle banche belghe o olandesi, o ancora alle già citate banche tedesche: queste ultime cedono il 5,4 per cento, con tanti saluti a chi pensava che le autorità bancarie europee non osassero scontentare Frau Angela Merkel.
Meno positivo è il dato sulla redditività del capitale, che pure è un parametro cruciale per le sorti dell’industria bancaria (perché è difficile trovare investitori disposti a versare altro patrimonio in un settore che guadagna poco). Si può discutere se il 3,8 per cento della Svezia o l’1,5 per cento della Spagna siano troppo poco, visti i rischi e le incerte prospettive di crescita; ma certo il dato italiano, pari a -0,7 per cento, è decisamente poco allettante.
Un altro aspetto interessante è quello relativo al “conduct risk”, cioè al rischio di perdite derivanti da comportamenti inappropriati da parte delle banche (come la vendita di prodotti rischiosi a risparmiatori non abbastanza esperti). Le cinquantuno banche analizzate stimano un costo pari a 71 miliardi, che da solo spiega oltre un quinto dell’erosione conosciuta, in media, dai coefficienti patrimoniali. È una cifra enorme, a maggior ragione se si pensa che le banche sono spesso restie a rendere pubblico questo tipo di informazioni (dunque il dato dell’Eba potrebbe anche essere sottostimato). E ci ricorda che rifondare il rapporto con i risparmiatori non è più una questione di etica, ma di sopravvivenza.

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  1. bob

    “E ci ricorda che rifondare il rapporto con i risparmiatori non è più una questione di etica, ma di sopravvivenza.” Prof.re rifondare un rapporto con i propri clienti o con i risparmiatori presuppone atteggiamenti che si fondano almeno su due punti i: pagare il danno subito per rifondare il rapporto e impostarlo di nuovo – presentarsi dal cliente con facce nuove . Prima di considerare l’ interessante relazione che lei ci presenta, dovrebbe fare una premessa di come se arrivati in certe banche a questo disastro, chi sono i responsabili e quali azioni serie di responsabilità sia civile che penale devono pagare. Altrimenti la sua relazione da adito a un pensiero: ci cambiamo vestito, ci mettiamo una cravatta nuova e dimentichiamo tutto il resto. Non credo che sia difficle capire senza essere esperto di finanza, che il disastro di questi istituti è dovuto a un vero e proprio furto della fiducia e dei risparmi dei clienti. Consob e Banca d’ Italia dove erano? Se in una cittadina qualsiasi si susseguono furti infiniti senza mai arrivare a prendere un ladro, il maresciallo della stazione viene quantomeno trasferito e declassato …ma non mandato in pensione con una lauta ricompensa

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