La cosiddetta emergenza migranti ha messo in discussione l’intera politica europea di asilo. Ma una maggiore omogeneità tra i sistemi nazionali porterebbe a una gestione delle risorse più efficace. Oggi le differenze nella spesa dei singoli stati sono notevoli. Fondi dagli aiuti allo sviluppo.
Le differenze tra i paesi Ue
Dopo mesi di contraddizioni e chiusure, l’Unione Europea sembra finalmente trovare alcuni elementi di accordo, almeno teorici, sulla questione migranti. Oltre al coinvolgimento dei paesi terzi, maggiori sforzi sarebbero auspicabili anche sul fronte della costruzione di quel “sistema comune di asilo” già proposto dall’agenda Juncker del 2015.
Analizzando i dati Eurostat e Ocse sulle richieste d’asilo e sui costi dell’accoglienza, è possibile mettere a confronto la spesa in questo campo nei dieci paesi Ue che nel 2015 hanno registrato il maggior numero di richieste d’asilo.
Nel 2015 le richieste d’asilo nei paesi Ue hanno superato quota 1,3 milioni, il doppio rispetto al 2014 e al precedente record del 1992. La Germania, con quasi 500mila domande, si conferma la meta principale. Un tentativo di correggere lo squilibrio tra paesi risiederebbe nella cosiddetta politica di rilocalizzazione, anch’essa prevista dall’agenda Juncker, che tuttavia stenta ancora a decollare: a maggio 2016 dall’Italia sono state “ricollocate” 530 persone, appena l’1,5 per cento dell’obiettivo finale, e 615 (1 per cento) dalla Grecia.
La spesa per l’accoglienza
Secondo i dati Ocse, riferiti ai costi per l’accoglienza dei richiedenti asilo durante i primi dodici mesi di permanenza, la spesa complessiva è più che raddoppiata nell’ultimo anno in molti paesi Ue. Aumento peraltro facilmente prevedibile, considerando che nel 2015 più di un milione di persone ha varcato le frontiere europee per cercare protezione (dati Frontex). Il dato meno conosciuto è che spesso i costi per l’accoglienza rientrano negli Aps (aiuti pubblici allo sviluppo), cioè i fondi destinati alla cooperazione internazionale.
Il dato più significativo è quello relativo alla spesa complessiva di ciascun paese. Chiaramente risente delle differenze normative e procedurali tra gli stati (come aspetti normativi, competenze degli enti locali, tipologia delle strutture di accoglienza), oltre che delle metodologie di analisi e rendicontazione dei costi, ma offre comunque uno spunto di riflessione.
In termini assoluti, nel 2015 la Germania è il paese che ha speso di più per la gestione dell’accoglienza, con 2,7 miliardi di euro (primato comprensibile, considerato il numero di richieste d’asilo). Seguono Svezia (2,1 miliardi) e Paesi Bassi (1,2 miliardi). L’Italia, con 885 milioni, è il quarto paese. Più del doppio, ad esempio, di quanto speso da Regno Unito e Francia.
Interessante osservare anche la variazione dal 2014: la Germania spendeva allora appena 129 milioni, venti volte in meno rispetto al 2015. L’Austria ha più che triplicato la spesa, e Svezia, Finlandia e Regno Unito l’hanno raddoppiata. L’Italia ha registrato un aumento meno intenso (+40 per cento). La Francia che ha avuto una diminuzione della spesa.
Tabella 1 – Spesa pubblica per i rifugiati, confronto 2014/2015
Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati Eurostat e Ocse
Il costo pro-capite
Infine è possibile analizzare il costo pro-capite annuo per ciascun migrante ospitato nei sistemi di accoglienza nazionali. Da qui, si può calcolare facilmente il costo medio giornaliero.
Il valore medio in Italia è di 35 euro al giorno per migrante (12 mila euro annui). A livello europeo non esistono linee guida in questo senso, per cui assistiamo a una forte eterogeneità tra paesi. Si va dai 65,9 euro al giorno dei Paesi Bassi (24 mila euro annui per migrante), fino ai 6,7 euro al giorno del Regno Unito.
Tabella 2 – Costo medio pro-capite per rifugiato, anno 2014 (valori in euro)
Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati Ocse
La cosiddetta “emergenza migranti” ha di fatto messo in discussione l’intera politica europea di asilo: le misure proposte dalla Commissione, in particolare i maggiori controlli (attraverso gli hotspot) e le quote di ricollocamento, mirano proprio al superamento del regolamento di Dublino (basato sul principio secondo cui l’accoglienza spetta al paese di primo ingresso). Parallelamente agli sforzi proposti dalla Commissione, una maggiore omogeneità tra i sistemi nazionali porterebbe a una più efficace ed efficiente gestione delle risorse, oltre che a una maggiore trasparenza e chiarezza, importanti per dare risposte all’opinione pubblica.
Sebbene i dati Ocse lascino alcuni dubbi sull’effettiva corrispondenza con la situazione reale (ad esempio il costo pro-capite del Regno Unito appare di molto sottodimensionato, così come l’aumento della spesa tedesca nell’ultimo anno), aiutano a compiere un primo confronto su questi temi.
Certamente, oltre all’analisi quantitativa della spesa per l’accoglienza, sarebbe opportuna una seria analisi qualitativa, ovvero sull’efficacia, in termini di obiettivi e risultati. Anche in questo caso, meglio se con parametri condivisi a livello europeo. Infine, il fatto che una porzione consistente dei costi necessari per la gestione dell’emergenza derivi dagli aiuti pubblici allo sviluppo rappresenta un’anomalia, proprio mentre la Commissione discute un piano di investimenti per rafforzare la cooperazione con i paesi terzi.
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