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Riforma costituzionale: perché serve il limite di mandato

La riforma costituzionale così come è stata approvata e l’Italicum rafforzano il centralismo e aumentano la governabilità. Il contrappeso per una simile preminenza governativa è il limite di mandato. Istituzioni che dovrebbero facilitare la partecipazione e la libertà preservata dalla collegialità.

Centralità del parlamento e governabilità

Il dibattito sulle riforme costituzionali diventerà sempre più incandescente con l’avvicinarsi del referendum confermativo. Vi sono pareri favorevoli e contrari, questi ultimi ben espressi da una enumerazione ricapitolante di Gustavo Zagrebelsky, su Il Fatto quotidiano.
Una riforma costituzionale dovrebbe seguire principi generali, come la centralità del parlamento, e non le contingenze specifiche, ma non le può ignorare. L’azione politica degli ultimi due decenni ha enfatizzato la realizzazione del programma elettorale. Le coalizioni si sono mostrate spesso inefficienti per resistenze, conflitti e cambiamenti degli alleati. In contrasto con le leggi vigenti, si pratica surrettiziamente l’elezione del presidente del Consiglio. Si può presumere, quindi, che qualunque riforma dovrà contemplare in qualche forma il problema della governabilità e ciò diventa necessario quando non c’è l’arte del dialogo e del compromesso. Zagrebelsky contesta questa tesi, ma l’area che sostiene il suoi punto di vista ha dimostrato di non approfittare di quell’arte che cerca il possibile bene collettivo. Più ci si arrocca nel programma e più diventa difficile governare, quando i numeri non lo consentono: lo dimostrano Italia e Spagna. Non c’è disponibilità a cooperare, forse perché ci sono molti vettori di interessi e pochi politici, molta autosufficienza e poca condiscendenza, molta impazienza e poca competenza.

Rischio potenziale e limite di mandato

Se nei progetti si scopre un rischio, non si può argomentare che è poco probabile che si verifichi, ma si deve operare per eliminarlo.
Con la riforma costituzionale e la legge elettorale (Italicum) può accadere che un solo partito prenda la maggioranza alla Camera, controlli il Senato e l’elezione del Presidente della Repubblica. In teoria, un presidente del Consiglio potrebbe ricoprire la carica per tutta la vita. È poco probabile, ma potrebbe accadere e si ricollega a uno dei punti di Zagrebelsky: temiamo l’uomo forte. Chi non lo teme, un giorno o l’altro, potrebbe diventare stolto per l’effetto perverso della storia: è più saggio evitarlo.
Ora, la riforma costituzionale approvata e l’Italicum sembrano cogliere il contingente politico, rafforzare il centralismo sottraendo alcune funzioni alle regioni, aumentare la governabilità. La direzione è discutibile, ma si assuma pure che la contingenza suffraghi tale necessità. Il contrappeso alla linea tendenziale di preminenza governativa, indipendentemente da quelli tecnico-giuridici, che dovrebbe essere sempre incluso in una riforma costituzionale che rafforzi il potere esecutivo, concerne il limite di mandato: “chi ricopre una carica o una funzione o un ruolo esecutivo per due mandati effettivi pieni (10 anni) in un certo livello di governo, non potrà assumere alcun altro ruolo o carica o funzione nello stesso livello”.
La regola è un po’ severa, ma protegge dal rischio che un giovane carismatico e potente (un Silvio Berlusconi trentacinquenne?) governi per quarant’anni. Dopo che ha terminato i suoi due mandati, non potrà essere più nemmeno parlamentare: deve stare fuori del parlamento. Potrà fare il presidente di regione o il sindaco per altri dieci anni, ma in parlamento no. In una versione più debole, la regola potrebbe essere applicata solo al presidente del Consiglio. La proposta è un contrappeso semplice che non confligge con gli altri e non li sostituisce. Se questa regola fosse stata introdotta nella riforma, e sarebbe stata introdotta se il Matteo Renzi capo del governo fosse stato coerente con il Matteo Renzi rottamatore, si potrebbe quasi votare “sì”. Purtroppo, non c’è e i rischi paventati permangono, lasciando una pesante eredità ai figli e al futuro del paese.

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Obiezioni al limite di mandato

La proposta del limite di mandato scaturisce da considerazioni oggettive sulle due riforme, ma è anticonvenzionale e anti-paradigmatica e dà luogo almeno a due rilievi.
Il primo è che la limitazione di mandato c’è nel presidenzialismo, perché il presidente è eletto direttamente e ha molti poteri. Risposta: l’elezione qui è surrettizia e i poteri formali non sono diversi dai poteri di fatto, come quelli che la riforma attribuisce al presidente del Consiglio, i due sistemi diventano equivalenti.
La seconda obiezione sostiene che se capita di avere un uomo capace e utile per il paese, perché vietargli di servirlo? Risposta: un paese deve essere in grado di preparare dirigenti. Se ha bisogno del salvatore, allora è perduto. Ecco perché occorrono istituzioni che facilitino la partecipazione: una maggiore collegialità preserva la libertà. Dove la carica di presidente del Consiglio è ricoperta per molti mandati dalla stessa persona, si corre qualche pericolo in più. E non è salutare per la democrazia.

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Italiani bocciati sugli antibiotici

  1. GIUSEPPE LUPOI

    la matematica non è una opinione: non è possibile che il partito che vince le elezioni possa eleggere il Presidente senza il concorsoi dell’opposizione.
    per cui l’articolo si basa su un dato erroneo
    se volete posso dimostrarlo!

  2. E vero, la doppia riforma costituzionale ed elettorale contiene elementi utili ad una maggiore governabilità (obiettivo qualitativo e contingente): il maggioritario a doppio turno di lista (o di coalizione, cambierebbe poco), l’indispensabile controriforma del titolo V, lo snellimento di certe procedure parlamentari attraverso un bicameralismo asimmetrico e alcuni privilegi procedurali a favore di progetti del governo vanno tutti i questa direzione. Un’ampia maggioranza del paese appoggia queste riforme. Non guasterebbero altre modifiche più radicali a favore della stabilità dell’esecutivo. Ma la doppia riforma è anche altro: la nomina partitica nazionale della maggior parte dei deputati e il controllo partitico locale della maggior parte dei senatori, alcuni ritocchi delle condizioni del referendum d’iniziativa popolare e della nomina dei membri della consulta che può essere chiamata da un certo numero di parlamentari per sindacare la conformità di leggi appena votate. L’asimmetria bicamerale è eccessivamente complessa con un nuovo articolo 71 che merita una bocciatura senza appello. Tutta la seconda serie di modifiche non è degna di un paese che nonostante i numerosi difetti dovuti forse più ad interpretazioni furbesche che al testo costituzionale stesso poteva vantarsi di appartenere da 70 anni a un gruppo ristretto di democrazie virtuose, ma fa pensare ai numerosi regimi fondati su forzature e inganni che non mancheranno di rivelare nel tempo la loro vera natura.

  3. salvatore

    Si continua a parlare di governabilità ma il problema sta nelle persone in Parlamento. Se fra questi ci sono, in percentuale, più delinquenti che in un condominio (si fa per dire) di Quarto Oggiaro credo che molti problemi si attenuerebbero sostituendoli con persone degne. Il resto sono chiacchere: le fondamenta sono importanti!

  4. Filippo Tronconi

    Articolo curioso: rivendica la centralità del Parlamento ma sottrarrebbe al Parlamento la sua prerogativa più importante: eleggere e rimuovere (attraverso il voto di s/fiducia) il capo dell’esecutivo. Che sarebbe poi l’ennesimo unicum italiano (nessun sistema parlamentare prevede limiti di mandato per il primo ministro).
    La tesi a favore del limite di mandato è sostenuta poi con due argomenti inconsistenti: 1) Il partito di maggioranza potrebbe controllare l’elezione del Presidente della Repubblica. Nella situazione attuale in cui il PD controlla 17 regioni su 20 otterrebbe circa 51-53 senatori. Sommati ai 340 deputati del partito di maggioranza sono 391-93. Per eleggere il PdR (438 voti necessari: 3/5 di deputati+senatori) ne mancano almeno altri 45 (sempre che nello scrutinio segreto si mantenga un’improbabile granitica unitarietà). Dunque il PdR NON può essere in nessun caso eletto senza il consenso di almeno una parte dell’opposizione.
    2) Con l’italicum si eleggerebbe di fatto il Primo ministro. Ma l’italicum assegna il premio a un partito, non al suo segretario. In prima battuta il Primo ministro incaricato sarebbe verosimilmente il leader del partito vincitore, ma niente assicura che questi manterrebbe il controllo del suo partito e della maggioranza parlamentare per l’intera legislatura. L’esperienza italiana e le esperienze di molti altri regimi parlamentari (da ultimo Cameron in UK) insegnano piuttosto che è frequente il caso contrario.

    • Davide

      @Filippo Tronconi, la riforma prevede che dal nono scrutinio in poi basti la maggioranza assoluta dei votanti, per cui 630+100=730/2=365 parlamentari. Come vede la maggioranza assoluta sarebbe coperta dai 391 parlamentari che lei ha indicato e pertanto il pericolo che il capo dello stato venga eletto da un singolo partito è assolutamente plausibile.

      • Filippo Tronconi

        Mi perdoni, dove l’ha letto? Questo è il testo del terzo comma dell’articolo 83 della Costituzione, come risulta dalla riforma:
        L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi della assemblea. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea. Dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti.

        Consiglio la lettura degli ottimi e dettagliati dossier del Servizio Studi della Camera dei Deputati (http://www.camera.it/leg17/465?tema=riforme_costituzionali_ed_elettorali) o, lettura più agevole, della guida alla riforma costituzionale del Prof. Fusaro, sostenitore del Sì (http://www.carlofusaro.it/materiali/Guida%20ragionata%2015052016.pdf)

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