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Un’Italia più competitiva? Investiamo nel fisco

Non bastano aliquote più basse per rendere il fisco un interlocutore positivo per il contribuente, specie quando si tratta di un’impresa. Servono risorse per permettere all’Agenzia delle entrate di adeguare la propria struttura ai nuovi compiti che le vengono richiesti. Dove trovare i soldi.

Due decreti per gli investimenti

Si discute molto di freno ai nuovi investimenti dovuto al peso delle imposte e del positivo contributo che verrebbe dalla riduzione dell’Ires al 24 per cento (dovrebbe decollare l’anno prossimo) e da un insieme di nuove norme. Si discetta, poi, di possibili aiuti fiscali al dimensionamento ottimale delle nostre imprese, anche nell’ottica della loro espansione sui mercati internazionali, e di rimozione di ostacoli – anche tributari – all’attrattività del nostro paese per investitori esteri. Argomenti certo degni di attenzione e che i decreti usciti dalla legge delega n. 23 del 2014 hanno in gran parte cercato di soddisfare (con le buone integrazioni aggiunte dalla legge di stabilità).
Quei decreti affidano all’Agenzia delle entrate una serie di compiti. Si va dalla disciplina del diritto di interpello, meglio sistematizzata (anche se ancora con qualche difetto di coordinamento, per esempio sull’interpello disapplicativo), al cosiddetto adempimento collaborativo (cooperative compliance), al trattamento dei meccanismi autocorrettivi (primo fra tutti il ravvedimento operoso).
Si tratta di funzioni che, se concretamente messe a regime, renderebbero il fisco italiano un interlocutore positivo, adeguato a convergere con le funzioni di politica economica di chi vuole dirigere il paese verso quelle innovazioni sistemiche che massimamente servono.

Nuovi compiti per le strutture operative

Ma nella pressante ottica di tenere botta sul versante della spesa, nei decreti nulla si dice sui maggiori costi che l’Agenzia delle entrate dovrà sopportare per adeguare la struttura alle nuove e più impegnative esigenze operative. Peraltro, in una situazione già di per sé difficile dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha retrocesso i dirigenti non vincitori di concorso (i migliori dei quali sono rapidamente passati dall’altra parte del tavolo).
La verità è che un sistema tributario non è mai un insieme di sole norme: è un sistema in cui al quadro normativo deve corrispondere un’attrezzatura amministrativa idonea a farlo vivere e fruttificare. Il “fisco”, per il contribuente, non è la norma specifica da applicare, ma il “tassatore” (il funzionario) che si trova di fronte. E dunque le norme che più richiedono un intervento sulla struttura dell’Agenzia paiono essere quelle in tema di diritto di interpello (decreto legislativo 156/2015) e quelle sull’adempimento collaborativo (decreto legislativo 128/2015).
Le prime spingono palesemente a un uso più esteso del ruling, proponendo una cultura del chiarimento anticipato rispetto a quella del contenzioso postumo su fronti contrapposti. Bene, anzi benissimo. Ma come non vedere che la gestione di questo servizio richiede un rafforzamento quantitativo e, soprattutto, qualitativo dell’organo che è chiamato a gestirlo? Si può sensatamente pensare che alla novità sistemica si possa far fronte senza alcun maggiore costo?
Lo stesso dicasi per la cooperative compliance che si traduce in un dialogo più serrato e continuo fra contribuente-grande impresa e fisco. È evidente che la grande impresa non sta mai ferma, è costretta a innovare spesso e volentieri per stare sul mercato e i relativi tempi decisionali sono decisivi sia per i “sì” che per i “no” che ne devono caratterizzare le mosse. Con l’adempimento collaborativo il contribuente fornisce informazioni su quello che fa, come lo fa, come lo controlla, come lo vorrebbe modificare. L’Agenzia, da parte sua, forma gruppi dedicati, che si impadroniscono della materia “industriale”, affiancano l’organo di controllo, recepiscono le problematiche attuali e prospettiche accentuando la relativa specializzazione settoriale. E risponde in tempi rapidi. Occuparsi della fiscalità delle banche e di soggetti vigilati in generale richiede competenze assai diverse rispetto a quelle di chi si occupa di attività commerciali o immobiliari. È necessario, poi, concentrare le competenze presso uffici centralizzati piuttosto che periferici. Ma è evidente che i funzionari hanno bisogno di vivere nei contesti imprenditoriali e di monitorare continuamente la conoscenza del proprio specifico settore, la cui evoluzione è spesso rapida e fortemente soggetta a spinte di derivazione internazionale.
Il successo della cooperative compliance non deve avere come obiettivo la mera tenuta del gettito: serve al paese perché attiva un fisco (cioè una pubblica amministrazione) dialogante in continuo con la grande impresa; rende l’ambiente Italia appetibile, in grado di capirne le problematiche e affidabile nel “se” e nel “quando”.
Ma l’affidabilità la confermano o la smentiscono i comportamenti degli uffici chiamati a farla vivere. Davvero qualcuno pensa che tutto ciò esista già in natura? Davvero si pensa di raggiungere questo ambizioso risultato senza un adeguato investimento di risorse materiali oltreché intellettuali? Forse sarebbe preferibile una minor riduzione dell’aliquota Ires (ad esempio al 24,5 per cento) riservando risorse per gli innovativi interventi sulla struttura e sul funzionamento dell’Agenzia delle entrate. Il mercato, almeno quello sano apprezzerebbe.

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Quella cura che ringiovanisce i senatori

  1. AM

    Devono migliorare i rapporti tra il Fisco e i cittadini evitando posizioni e interpretazioni della normativa sbagliate da parte degli uffici, dovute a impreparazione o malafede. Un esempio tipico è quello che riguarda l’applicazione della cedolare sulle locazioni dove il Fisco, confondendo la figura del locatore con quella del locatario, vorrebbe escludere i contratti in cui il locatario non sia una persona fisica. In realtà la normativa in base ad alcune sentenze (CT Prov. Milano 17.042015 n. 3529/25/15) dovrebbe ovviamente riguardare solo la figura del locatore, che per beneficiare delle agevolazioni deve essere necessariamente un persona fisica.

  2. I nuovi compiti richiesti all’Agenzia non dovrebbe fare aumentare il carico fiscale sulle imprese.
    Abbiamo in Italia la spesa per la pubblica amministrazione superiore alla Germania di circa il 10%. Su questo tema deve lavorare il governo, sono circa 80 miliardi, a quel punto si potrà diminuire il carico fiscale alle imprese e ai lavoratori.

    • Tommaso Di Tanno

      La mia è, chiaramente, solo una provocazione. Ruling e cooperative compliance sono strumenti sofisticati e hanno lo scopo di migliorare i rapporti fra grande impresa e fisco. Ed evitare, in particolare, che investimenti rilevanti o creazione di centri decisionali vengano allocati in paesi diversi dall’Italia solo perchè ivi si ottengono risposte rapide ed impegnative che qui, invece, mancano. Il tema della certezza e ragionevolezza dei comportamenti della PA è, infatti, decisivo quando sono in gioco importi di rilievo o determinazioni strategiche. E queste partite l’Italia le perde spesso proprio alla luce di questi passaggi critici. Tommaso Di Tanno

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