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Aspettando il Def

I conti pubblici nel 2015 hanno rispettato gli obiettivi. Ma determinante è stato il ruolo della Bce. Per il 2016 il rallentamento della crescita nominale rispetto alle previsioni minaccia il raggiungimento di quanto programmato su deficit e debito. Perché è importante il buon rapporto con l’Europa.

Saldi per il 2015 e previsioni 2016

In attesa del Def, il Documento di economia e finanza, vale la pena interrogarsi su quali siano le condizioni della finanza pubblica italiana.
Per quello che riguarda i saldi, la buona notizia è che l’indebitamento netto della pubblica amministrazione ha raggiunto nel 2015 gli obiettivi di riduzione previsti dal governo. Il disavanzo si è infatti collocato al 2,6 per cento del Pil, in riduzione dal 3 per cento del 2014. Un livello così basso, tolta l’eccezione del 2007, non si vedeva dal lontano 2000. Tuttavia, lo stesso modo in cui l’obiettivo è stato raggiunto testimonia della situazione di fragilità nella quale si trova ancora il paese.
Il 2,6 per cento è infatti la somma algebrica di un avanzo primario che è risultato leggermente minore del previsto (all’1,5 per cento del Pil) e di una spesa per interessi al 4,2 per cento del Pil, anch’essa inferiore alle previsioni di quasi mezzo punto di Pil. È il miracolo delle politiche espansive della Banca centrale europea, in particolare dell’acquisto di debito sovrano deciso nell’ambito delle politiche di Quantitative easing. Nonostante un debito pubblico al 132,6 per cento del Pil (129,3 se si calcola al netto delle politiche di sostegno decise in sede europea e del pagamento dei debiti pregressi della Pa) e una scarsa crescita nominale, l’Italia paga per il servizio del suo debito in termini di Pil quanto pagava nel 1978, cioè prima della crescita esponenziale del debito pubblico negli anni Ottanta. C’è da interrogarsi su cosa succederà quando, inevitabilmente, verrà meno il sostegno della Bce. Sul dato del 2015 ha influito positivamente anche la dinamica particolarmente favorevole del deflattore implicito del Pil, che ha tenuto alta la crescita nominale (all’1,5 per cento) pur a fronte di una variazione reale del prodotto limitata (+0,8 per cento). Non è ovvio che la positiva dinamica dei prezzi, dovuta al differenziale di crescita tra quelli interni e quelli esteri, si riproduca in futuro.
Per il 2016, il governo ha incrementato l’obiettivo di indebitamento netto, portandolo al 2,4 per cento – dunque ancora in riduzione rispetto al 2015 – ma in peggioramento di un punto percentuale rispetto al tendenziale.
Le ipotesi che sostenevano il raggiungimento di questo obiettivo erano basate su un’accelerazione della crescita reale (+1,6 per cento) e a una ripresa dell’inflazione (+1 per cento). Il peggioramento della congiuntura nella fase finale del 2015, propagatosi al primo trimestre del 2016 e dovuto essenzialmente alle fibrillazioni sui mercati finanziari e alla riduzione della crescita internazionale, rende poco credibile il raggiungimento del primo obiettivo, mentre la ripresa dei rischi di deflazione, che a marzo 2016 ha stimolato un più incisivo intervento della Bce, mette in dubbio anche il secondo. Vedremo nel Def come il governo prevede di mantenere i saldi alla luce della peggiorata dinamica economica nominale. Oltre al deficit pubblico, particolarmente rilevante sarà l’impatto previsto sul rapporto debito/Pil, che il governo prevedeva in riduzione già nel 2016, in ottemperanza dell’obiettivo cosiddetto forward looking (lungimirante) definito dalle regole europee.

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I rapporti con l’Europa

Gli effetti sui saldi naturalmente influenzano anche la discussione in corso con la Commissione europea, che alla luce del Def e, più in generale, dell’andamento dell’economia presenterà a giugno la sue raccomandazioni all’Italia. Le scelte attuate dal governo con la legge di stabilità per il 2016 hanno infatti rallentato il percorso previsto per il raggiungimento dell’obiettivo di medio termine, espresso in termini di bilancio strutturale, e il governo ha sfruttato tutte le clausole di flessibilità consentite (per le riforme strutturali e per gli investimenti) per giustificare il rallentamento. Più che nel 2016, dove al massimo si può immaginare qualche richiesta minima di correzione, c’è il rischio che questo porti la Commissione a chiedere un aggiustamento più pesante del previsto nella legge di stabilità per il 2017, quando, almeno sulla base di quanto è noto oggi, non si potranno più invocare le clausole di flessibilità e quando ci saranno da trovare le risorse per evitare il dispiegarsi delle clausole di salvaguardia, un impegno già preso dal governo. Si tratta degli incrementi automatici delle imposte indirette, prevalentemente aumenti nelle aliquote Iva, già decisi dal parlamento a garanzia appunto della tenuta dei conti. Si tratta di 15 miliardi nel 2017 e di 19,6 miliardi nel 2018 e 2019.
Raggiungere un accordo con l’Europa è importante per il governo, non tanto per le ipotetiche sanzioni che la Commissione potrebbe imporre al paese, ma per l’effetto che l’apertura di una procedura di infrazione potrebbe avere sui mercati finanziari. Inoltre, la stabilità futura del paese e la sua resistenza a potenziali nuove crisi finanziarie è predicata sul raggiungimento di un accordo che porti al completamento dell’unione bancaria, attualmente in stallo per l’opposizione tedesca. La dimostrazione da parte dell’Italia della capacità di mantenere i saldi e di procedere a una riduzione significativa del rapporto debito su Pil in tempi ragionevoli è parte integrante della costruzione del consenso necessario per completare l’unione monetaria.

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  1. Mario Rossi

    Caro Massimo non è che ci vuole un corso di studi per capire che le cose non vanno. Io faccio impresa e sinceramente sono demoralizzato perchè le dinamiche dell’economia sono diventate senza regole e senza punti di riferimento, senza certezze sui risultati e senza sbocchi per il futuro. Sto infatti pensando seriamente o di spostare la mia attività all’estero se trovo un canale oppure di tirare avanti ancora qualche anno chiudendo la mia attività ed andando a sfruttare il mio curriculum all’estero in qualche lavoro a rischio. Il problema di fondo è che non si vuole ancora rompere il sistema per il semplice motivo che mi ricordava un amico tedesco l’altro giorno: ” Sai che la Germania si è presentata bene alla sfida di questi anni grazie allo statista Shroder, egli ha fatto un gran lavoro per la Germania……ma non è stato più rieletto”

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