La Borsa penalizza le nostre banche, oberate di sofferenze, e il governo non ha una strategia. Ci riprova con la bad bank di sistema, ammettendo così che la neonata Gacs non funziona. Le fondazioni ne approfittano per rientrare nel capitale delle banche: il lupo perde il pelo, ma non il vizio.
Le azioni delle banche
La tempesta che si è abbattuta sulle banche italiane in questo primo trimestre dell’anno è impressionante. È vero che anche gli istituti di credito degli altri paesi europei sono state colpiti, ma le banche nostrane hanno subito l’attacco più pesante. L’indice di borsa del settore bancario italiano ha perso il 37 per cento da inizio anno, contro il 25 per cento dell’Europa. Vi sono diverse ragioni dietro i crolli, e non sono le stesse in tutti i paesi. In Italia, il problema fondamentale è quello delle sofferenze (prestiti a soggetti che sono divenuti insolventi), che pesano come un macigno sui bilanci. Da quest’anno, con l’entrata in vigore della direttiva sul bail-in (Bank Recovery and Resolution Directive), il problema è diventato più acuto, perché la direttiva di fatto impedisce che lo Stato possa venire in aiuto delle banche in difficoltà: qualsiasi aiuto di Stato farebbe scattare il bail-in (cancellazione o conversione in azioni) su almeno l’8 per cento delle passività della banca oggetto di aiuto. Nessun governo lo farebbe, in particolare quello italiano, dopo l’esperienza delle quattro banche regionali.
Bad bank: Padoan ci riprova
Sul fronte sofferenze, il governo italiano sembra navigare a vista, senza una strategia precisa, e questo non aiuta. L’accordo raggiunto il 26 gennaio tra il ministro Padoan e la commissaria europea alla concorrenza Vestager prevede che le banche italiane possano cedere sul mercato le sofferenze tramite operazioni di cartolarizzazione, usufruendo di una garanzia statale (divenuta nota come Gacs – garanzia cartolarizzazione sofferenze).
Per evitare che sia considerata aiuto di Stato, facendo scattare il famigerato bail-in, la garanzia deve essere pagata dalle banche a prezzi di mercato, e può essere posta solo sulla tranche senior delle obbligazioni emesse dalla società-veicolo che effettua la cartolarizzazione. L’evidente contraddizione tra garanzia statale e necessità di evitare la scure degli aiuti di Stato rende il meccanismo contorto e poco appetibile per le banche, come abbiamo osservato a suo tempo. In effetti, finora solo una banca (Popolare di Bari) si è fatta avanti per utilizzare questo strumento.
In questi giorni, proprio mentre il parlamento converte in legge il decreto che introduce la garanzia statale, il governo si è accorto che la Gacs è una pallottola spuntata, e sta cercando di porvi rimedio.
Secondo notizie di stampa (si veda Il Sole-24-Ore del 6 aprile), il governo ha riunito attorno a un tavolo alcuni banchieri per vedere se è possibile creare un veicolo di sistema, che dovrebbe comprare dalle banche le sofferenze ed emettere obbligazioni, usufruendo della garanzia fornita dallo Stato (la Gacs appunto). Al veicolo potrebbero partecipare investitori istituzionali: casse previdenziali, assicurazioni, fondi. Insomma, il governo riprova a costituire fare la famosa bad bank di sistema, che ha animato la tormentata trattativa con la Commissione europea per tutto lo scorso anno. Riuscirà questa volta a spuntarla con Bruxelles? C’è da dubitarne, visto che l’accordo con la Commissione prevedeva che ogni banca si facesse la sua bad bank, escludendone una di sistema. Vedremo, forse questa volta Margrethe Vestager chiuderà un occhio. Intanto, il governo ha ottenuto il bel risultato di segnalare al mercato che la neonata Gacs, da sola, non va molto lontano.
Le fondazioni rientrano nel capitale delle banche?
L’altra nota dolente sono gli aumenti di capitale in corso, a cominciare da quelli delle popolari venete (ma non sono le uniche). Su questo fronte, il timore è che il mercato azionario non sia in grado di assorbire gli aumenti, anche perché la qualità di ciò che viene offerto non è proprio delle migliori. Ecco allora emergere l’idea di creare un altro veicolo di sistema, finanziato da soggetti privati (sempre per aggirare la normativa sugli aiuti di Stato), destinato a comprare le quote azionarie che rimanessero invendute: una specie di compratore di ultima istanza dei bidoni che stanno per essere rifilati al nostro mercato azionario. E qui notiamo che al tavolo convocato dal governo c’erano due invitati piuttosto abituali in questo genere di incontri: la Cassa depositi e presiti e le fondazioni bancarie. La loro presenza è un po’ inquietante. Come si può sostenere che si tratta di soggetti privati, quando la Cdp è controllata dal Tesoro e le fondazioni dagli enti locali? E poi, il governo Renzi non aveva fatto una riforma per indurre finalmente le fondazioni a uscire dalle banche e dedicarsi ai loro scopi sociali? Vuoi vedere che, dopo averle fatte uscire dalla porta, le fa rientrare dalla finestra? Se lo storico presidente Guzzetti era seduto a quel tavolo, non era certo per fare beneficenza…
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