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Eurowelfare: come evitare la rotta di collisione

La costruzione di sistemi di welfare nazionali sembra essere diventata uno dei principali ostacoli a un’integrazione europea non solo monetaria. Nel suo ultimo libro, Maurizio Ferrera ne analizza le cause e indica le possibili soluzioni. Dalla flessibilità sostenibile alla sicurezza dei cittadini.

Da Lisbona alla crisi

Il progetto nato con Lisbona 2000, certamente ambizioso e di grande rilievo, di conciliare l’integrazione economica con un modello sociale europeo è andato via via indebolendosi nel corso e a causa della crisi.
La costruzione di un welfare state a livello nazionale, particolarmente inclusivo, insieme a una integrazione sempre più stretta tra i paesi della Unione Europea sono stati “gli obiettivi politici e ideali più salienti del secondo Novecento”. Nell’ultimo ventennio queste due costruzioni istituzionali sono entrate in una crisi profonda e, quel che è peggio, sembrano aver imboccato una rotta di collisione». Così scrive Maurizio Ferrera nell’introduzione al suo ultimo volume (Rotta di collisione. Euro contro welfare?, Editori Laterza, Roma-Bari, 2016).
Sono andate sviluppandosi numerose aree di divergenza all’origine della “rotta di collisione”. I paesi «creditori» al Nord sono entrati in conflitto con i paesi «debitori» al Sud. Gli stati membri hanno progressivamente rivendicato maggiore libertà rispetto alle direttive di «Bruxelles» in ambiti come le pensioni e il mercato del lavoro.
L’Unione Europea ha assunto una serie di decisioni e impostato una serie di politiche che invece di attutire le conseguenze della crisi e delle riforme mancate, ha finito con l’amplificarne e intensificarne gli effetti negativi. L’integrazione, poi, è stata accompagnata dall’introduzione di numerosi vincoli diretti e indiretti al fine di garantire gli equilibri macroeconomici. L’intento era quello di obbligare gli stati nazionali a mantenere quegli equilibri e di contringerli ad attuare le indispensabili riforme istituzionali che favorissero il raggiungimento degli obiettivi.
Il peso dei vincoli e delle mancate riforme si è tradotto in una progressiva difficoltà ad attuare politiche sociali sostenibili. La costruzione di welfare state nazionali, momento essenziale all’affermazione di istituzioni democratiche e liberali all’interno dei principali paesi dell’Unione, sembra essere diventata uno dei principali ostacoli al perseguimento di una integrazione che non sia solo monetaria. È sempre più difficile allargare a un contesto sovranazionale sistemi di welfare nati all’interno dei singoli stati.
Uno dei principali impedimenti è costituito dalla mancanza di coesione sociale a livello europeo. La difficoltà ad adottare politiche di natura sociale, insieme all’intensificarsi dei flussi migratori, ha finito non solo con il peggiorare le condizioni di vita dei cittadini europei, ma ha favorito la nascita di movimenti politici di stampo nazionalista e populista. È questo, probabilmente, il rischio più grave. L’idea di un’Europa comune è sempre meno condivisa. In uno spazio più ampio e integrato, un atteggiamento di “avversione” nei confronti dello “straniero” prevale rispetto al sentimento di “empatia” verso i connazionali.

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La via di uscita

Se la diagnosi sull’origine della “rotta di collisione” è relativamente semplice, lo è molto meno prefigurare una “via d’uscita”. Quella suggerita da Ferrera consiste nel convincere non solo i cittadini, ma anche la classe politica a riconoscere il fatto che una maggiore solidarietà potrebbe avere effetti positivi per tutti, forse non nel breve periodo, ma certamente nel lungo. Le crisi che colpiscono uno spazio integrato hanno sempre una componente sistemica di cui gli stati membri non possono essere ritenuti responsabili individualmente. L’interdipendenza tra paesi può avere effetti negativi, spesso inattesi e imprevedibili, sul terreno sociale. Occorre, allora, “dotare la Ue di strumenti adeguati per il governo dell’interdipendenza”. L’attivazione di reti di protezione sociale dei gruppi più deboli (giovani, donne, anziani) dovrebbe essere coordinata tra tutti gli stati appartenenti all’Unione.
Per rendere compatibile il processo di integrazione con la sostenibilità del welfare occorre elaborare un nuovo modello. Il rafforzamento della Ue deve essere perseguito insieme – e non in contrasto – alla sua capacità di garantire protezione sociale e sicurezza esterna. Solo se il progetto di costruzione europea sarà in grado di produrre benefici diffusi ed equamente distribuiti, potrà riconquistare la legittimità perduta e raggiungere l’obiettivo di una sorta di “neowelfarismo” liberale.
La priorità strategica dovrebbe essere la creazione di uno strumento di protezione contro le avversità comuni dotato di una adeguata sostenibilità fiscale. Bisogna immaginare nuove forme di assicurazione interstatale per ammortizzare le conseguenze causate da crisi economiche drammatiche e improvvise. Occorre, secondo Ferrera, una maggiore flessibilità “responsabile”, e cioè fiscalmente sostenibile, nella scelta delle politiche nazionali. Occorrono più politiche comuni. La Ue deve diventare non solo uno “spazio” economico, ma anche un “posto” in grado di “ispirare fiducia e nel quale i singoli cittadini (…) possano sentirsi davvero al sicuro”.

 

Maurizio Ferrera, Rotta di collisione. Euro contro Welfare?, Editori Laterza, Roma-Bari, 2016.

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Se gli economisti fanno i conti con la Brexit

  1. Non sembra molto facile creare un welfare a livello europeo in un contesto in cui le divergenze di produttività, reddito pro-capite e salario medio sono tali che il salario medio dei alcuni paesi è inferiore al livello di povertà di altri.Un reddito minimo garantito, poniamo, che copra gli incerti della vita nei paesi più ricchi dovrebbe essere un multiplo del salario medio dei paesi poveri… Forse occorre attendere che la crescita dei paesi più poveri, dell’ Unione, che in effetti comporta una progressiva riduzione del divario con i paesi ricchi, faccia il suo corso. Solo quando i livelli di produttiità saranno allineati potrebbe proporsi un sistema di sicurezza sociale a livello di UE. Ma quello che complica il quadro è la stagnazione dei paesi a livello intermedio dell’ Europa Meridionale, come il nostro. Il problema della crisi del welfare di questi ultimi sta nel fatto che se si finanzia col debito la spesa sociale adesso diminuiscono le possibilità di finanziarla nel futuro a meno di non potere giocare alla Ponzi, cosa che ovviamente ha i suoi limiti. E per noi il futuro è arrivato e sarà molto peggio quando i tassi di interessi sul debito ritorneranno al livello “normale”.

  2. Roberto

    Trovo sia l’articolo sia il commento di Alberto ampiamente condivisibili. Un allineamento e una condivisione di alcuni servizi welfare potrebbe essere utile a migliorare il senso di unione europea. Ma veniamo da anni di distruzione di unità nazionale, Italia ha il doppio della strada degli altri. Purtroppo.

  3. Emanuele

    Grazie per la recensione/segnalazione, ho apprezzato molto il libro.
    Riassume molto serenamente gli ultimi anni di cronaca europea, inserendola in un contesto più ampio che permette di capire anche il perchè siano state fatte alcune scelte piuttosto che altre.
    Sinceramente consigliatissimo.

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