Lavoce.info

Esportazioni di made in Italy: un primato in declino

L’Italia esporta ancora un numero elevato di prodotti manifatturieri, ma non compare tra i paesi con i risultati migliori nel commercio mondiale. Negli ultimi anni sono stati proprio i settori di punta a registrare le dinamiche più deludenti. Presenza ed export nei comparti dove la domanda cresce.

La contraddizione

Nonostante le difficoltà che hanno caratterizzato l’economia italiana negli ultimi anni, la capacità delle nostre imprese di essere presenti sul mercato mondiale è ancora certamente molto elevata. L’Italia può vantare infatti una posizione di leadership in molti prodotti del settore manifatturiero: è primo esportatore mondiale in ben 235 prodotti (sulla base della classificazione HS-6 delle Nazioni Unite) e nei primi tre posti del ranking mondiale in 946.
Nonostante i primati, la dinamica delle esportazioni e delle quote di mercato, se confrontata con quella dei principali paesi europei, non sembra avvalorare una visione troppo ottimistica sui risultati dell’economia italiana sui mercati internazionali. La quota italiana sulle esportazioni mondiali è infatti passata dal 3,9 nel 2003 al 2,8 nel 2013 con una contrazione del 26 per cento. Il risultato non colloca l’Italia tra i paesi più performanti tra quelli dell’Unione Europea.
Come spiegare allora l’apparente contraddizione tra la progressiva erosione delle quote di mercato nel commercio mondiale e una posizione di leadership in tanti comparti?
Per rispondere alla domanda abbiamo innanzitutto calcolato il peso a livello mondiale dei prodotti in cui l’Italia risulta almeno tra i primi tre paesi esportatori. Le prime due colonne della tabella 1 mostrano la quota delle esportazioni italiane sui prodotti in cui l’Italia è posizionata rispettivamente al primo (primi prodotti) o nei primi tre posti (prodotti leader) del ranking mondiale.
Due considerazioni emergono dai dati. La prima, positiva, riguarda il peso ragguardevole dei prodotti italiani nei settori considerati, quasi il 20 per cento nel 2013 nel caso dei prodotti in cui l’Italia è principale esportatore e oltre il 13 per cento nei prodotti che risultano nei primi tre posti dell’export mondiale.
Se si considera, invece, l’evoluzione nel tempo delle quote, il quadro diventa meno rassicurante: negli ultimi dieci anni, il peso delle esportazioni italiane nei comparti in cui vantiamo un predominio si è andato progressivamente riducendo, passando rispettivamente dal 24,2 al 19,4 per cento e dal 16,9 al 13,1 per cento. A ciò si aggiunga che anche le quote di questi prodotti sul totale del commercio mondiale di manufatti si sono a loro volta contratte passando dal 2,6 all’1,9 per cento e dal 16,3 al 14,7 per cento con una contrazione di circa il 10 per cento.

Leggi anche:  Per Netflix una supremazia finora incontrastata

Tabella 1 – Quote di mercato

Tabella 1 Quintieri

Fonte: Elaborazione Fondazione Masi su dati UN-Comtrade

Se poi si confronta l’andamento dell’export nei prodotti di punta rispetto al resto delle esportazioni nazionali (tabella 2) si scopre che i primi non solo sono aumentati a un tasso molto inferiore rispetto alla crescita dell’export mondiale, ma hanno anche registrato una dinamica più lenta rispetto alle altre esportazioni italiane.

Tabella 2 – Crescita percentuale export

Tabella 2 Quintieri

I settori più colpiti dalla crisi

 Figura 1 – Andamento dinamico delle quote (2003=100)

quintieri

Fonte: Elaborazione Fondazione Masi su dati UN-Comtrade

La figura 1 riassume bene la situazione, mostrando sia la progressiva perdita di quote sul commercio mondiale dell’insieme dei prodotti considerati sia il relativo peggiore andamento delle esportazioni italiane.
Il risultato, apparentemente sorprendente, in parte è anche il frutto di quanto avvenuto nel periodo di crisi 2008–2013, durante il quale, nonostante una crescita complessiva delle esportazioni italiane (+ 5,4 per cento), si è registrata una consistenze contrazione nei comparti di punta del nostro export. Questi risultati sembrerebbero indicare che i settori nei quali il nostro paese vanta più elevati vantaggi comparati sono stati quelli maggiormente colpiti dalla crisi. E quindi sarebbero stati proprio i comparti merceologici nei quali l’Italia non può vantare una particolare specializzazione a sostenere le esportazioni negli ultimi anni.
Certamente avere una specializzazione produttiva in un numero elevato di prodotti, e il conseguente elevato grado di diversificazione che ne consegue, costituisce una sorta di “assicurazione” contro il rischio di crisi o di shock concentrati in uno specifico settore. Tuttavia, detenere una posizione di leadership in tanti prodotti non costituisce a priori una garanzia di successo sui mercati internazionali, ciò dipendendo anche dalla loro tipologia e dai settori di specializzazione. La relativa minore presenza nei settori più dinamici, caratterizzati da un andamento della domanda più sostenuto, ha penalizzato, in termini di perdita di quote di mercato, le esportazioni italiane, nonostante la leadership che molte imprese hanno saputo conquistare in un numero non trascurabile di prodotti manifatturieri.

Leggi anche:  La televisione del futuro*

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Regole di convivenza tra politica industriale e antitrust*

Precedente

Effetto Cina sull’export

Successivo

Dai distretti agli ecosistemi innovativi

  1. key

    Fuori dal petrolio,non ne abbiamo.
    Fuori da tutto ciò che è consumer electronics :Errore strategico clamoroso.
    Nani in software technologies.Altro errore clamoroso.
    Leader in settori cui la Cina ed altri Paesi emergenti possono essere validissimi competitor.
    Ripensare il modello di sviluppo italia e decidere su quali settori possiamo ancora puntare per specificità geografica e di prodotto.
    Impossibile che un paese così piccolo competa a livello globale con player sempre più grandi,soprattutto finanziariamente.

    • bob

      ,,sono d’accordo con Lei . Ma le pongo questa domanda: quanti anni ci servono per ripensare un modello di sviluppo? A mio avviso l’errore strategico è frutto del vuoto abissale di cultura. Il Paese che fu di Giulio Natta pensava di risolevare la chimica con un “varacchinaro di Treviso” semianalfabeta

  2. nicolas

    Grazie Grazie Mr. Prodi. parte tutto dalle sue conoscenze economiche e dalla grandiosa idea di farci competere con imprese localizzate in paesi che non rispettano orari, diritti della persona e brevetti.

    • andrea goldstein

      cosa c’entra Mr Prodi? tutt’al più Ugo la Malfa e Guido Carli, che negli anni 50 liberalizzarono il commercio con l’estero, ponendo la basi per il miracolo economico trainato dall’export. il problema attuale sta nella scarsa competitività del Made in Italy nei settori che crescono di più sui mercati globali, e i cui i produttori italiani sono o assenti oppure insuffientemente innovativi. ultima notazione, Prodi ha guidato l’Italia per appena 4 anni con una maggioranza risicata, Berlusconi per il doppio con una maggioranza ampia che in teoria avrebbe dovuto liberalizzare. si è visto e ne paghiamo le conseguenze

  3. luca.bongis

    mi chiedo che senso abbia commentare
    il periodo 2003 – 2013 siamo nel 2016 e penso che i dati siano leggermente migliorati

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén