Alla fine del 2015 si è registrato un aumento significativo dell’occupazione dipendente a tempo indeterminato. Nuovi incentivi potranno solo affinare gli strumenti di politica attiva e passiva del lavoro. Ma sarà inutile aspettarsi risultati immediati o cercarne le tracce nei dati di breve periodo.
Un balzo confermato da tutti
I dati Istat sull’occupazione di gennaio forniscono una conferma importante: l’occupazione tendenziale, misurata su base annuale, è cresciuta molto significativamente sulla fine del 2015, per quanto riguarda i dipendenti permanenti; è al palo per l’occupazione a termine; è in contrazione nell’ambito del lavoro indipendente.
Si tratta di tendenze nette. È chiara in modo particolare la consistenza inedita della prima, vale a dire l’accelerazione – possiamo ben dire uno scalino perfetto – per gli occupati dipendenti permanenti: si registra al proposito un trend straordinariamente concorde, nella sua anormalità, con quanto emerso dai dati amministrativi Inps e da quelli fin qui disponibili delle comunicazioni obbligatorie delle imprese (Istat: tra gennaio 2015 e gennaio 2016 da 14,4 a 15 milioni secondo i dati grezzi, da 14,5 a 14,9 milioni secondo i dati destagionalizzati; Inps oltre 0,7 milioni di variazione netta nel 2015). Il grafico sottostante non ha bisogno di molti commenti.
Lo scalino di fine 2015 che tutte le rilevazioni ci propongono – la cui solidità è dunque fuori discussione – è altresì fuor del comune per dimensione e induce diversi importanti interrogativi.
Sotto il profilo metodologico si potrà continuare a indagare sugli scostamenti, pur nella consonanza di fondo, tra le diverse fonti nella tempistica e nei livelli delle variabili considerate. Sotto il profilo dell’individuazione delle cause c’è ampio spazio di ricerca per approfondire la ripartizione dei meriti tra decontribuzione, Jobs act, per i più arditi quantitative easing e congiuntura.
E ora?
La questione cruciale posta dalle dimensioni dello scalino 2015 può però essere ricondotta a una domanda: quale spazio ulteriore ci può essere per la regolazione politica (normativa) nell’incentivare l’occupazione? Se tra decontribuzione, Jobs act e altre misure si è generata una crescita degli occupati a tempo indeterminato superiore al 4 per cento (con un Pil che cresce al massimo attorno all’1 per cento) che altro ci si può aspettare dal regolatore? Vien da pensare: nulla è possibile di altrettanto eclatante. Le politiche del lavoro dovranno orientarsi ad affinare strumenti di politica attiva e passiva, precisare i target e le tipologie di intervento, portare a realizzazione le numerose previsioni del Jobs act, selezionare progetti strategici (capitale umano): tutte cose importanti per migliorare le istituzioni (la loro reputazione) e in definitiva il funzionamento del paese, ma sarebbe vano (per dir poco) aspettarsi, da questi interventi, risultati immediati e magari cercarne le tracce nei movimenti di breve periodo del tasso di occupazione. Dopo un pieno di benzina, l’auto deve correre almeno un po’ prima di invocare una nuova fermata alla stazione di rifornimento. Se non è così, vuol dire che siamo messi male con gli apparati di base, meccanici ed elettronici.
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