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Senza risorse non esiste la città metropolitana

Ridimensionate drasticamente le province, la legge Delrio ha assegnato alle città metropolitane funzioni fondamentali che intersecano l’azione delle regioni. È mancato però un progetto strategico di governo delle aree metropolitane. Così come non sono state previste risorse finanziarie specifiche.

Come sono cambiate le province

La legge n. 56 del 7 aprile 2014, la cosiddetta legge Delrio, è stata una delle prime riforme approvate dal governo Renzi. Dopo due anni è possibile tracciare un primo bilancio del nuovo governo di area vasta.
L’obiettivo della legge n. 56 era di ridurre i poteri, le funzioni, le risorse finanziarie delle province. E soprattutto si prefiggeva la loro trasformazione da governo eletto dai cittadini a ente di secondo livello, in attesa della definitiva abolizione con legge costituzionale.
Le province sono ora centrate su tre organi di governo: il presidente, il consiglio e l’assemblea dei sindaci. I primi due sono eletti dai sindaci e dai consiglieri dei comuni con voto ponderato in base alla densità demografica, mentre il terzo è formato dai sindaci. Sono confermate le funzioni principali di area vasta svolte storicamente dalle province, che nel testo risultano ben specificate nel rispetto della programmazione regionale, mentre alle province montane (Sondrio) sono assegnate funzioni aggiuntive.
Il comma 150 ha stabilito che dalla attuazione della legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e ha imposto nuovi sacrifici alle province (e alle città metropolitane) per gli anni a venire. Già nei mesi immediatamente successivi all’approvazione, la legge n. 56 ha subito numerose modifiche legate principalmente al trasferimento delle risorse umane e a nuovi tagli alle risorse finanziarie, ripartiti con criteri molto eterogenei, che vanno sommati a quelli effettuati dai governi precedenti. Certamente, le scelte del governo hanno consentito di ottenere immediate riduzioni di spesa per le funzioni generali e gli organi istituzionali, ma va ricordato che risparmi più significativi sarebbero derivati dall’accorpamento delle province nelle regioni a statuto ordinario: ad esempio avrebbero potuto passare da 86 a 51. D’altra parte, il mantenimento del potere tributario in capo a un governo di secondo livello, privo di un responsabile politico, non aiuta a migliorare il rapporto con i cittadini.

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Le città metropolitane

A oltre vent’anni dalla loro istituzione nel 1990, la legge n. 56 ha sostituito le province dei principali capoluoghi delle regioni a statuto ordinario con le città metropolitane, definite enti territoriali di area vasta, con la finalità di curare lo sviluppo strategico del territorio. La legge ha assegnato loro funzioni fondamentali che intersecano principalmente l’azione delle regioni – piano strategico triennale; pianificazione territoriale generale (comprese reti e infrastrutture); servizi coordinati di gestione dei servizi pubblici; mobilità e viabilità; sviluppo economico e sociale – senza però modificare i confini delle province rispetto alle aree metropolitane. Solo per Milano, Roma e Napoli è prevista l’elezione del sindaco e del consiglio metropolitano a suffragio universale, a condizione che siano istituite zone territoriali omogenee e che il comune capoluogo istituisca zone dotate di autonomia amministrativa.
La legge ha il merito di attivare un governo specifico per le maggiori città, come avviene nei principali paesi europei, ma non sono state considerate alcune questioni: le città metropolitane non sono governi locali perché caratterizzati da territori di circolazione e dalla presenza di popolazioni non residenti; esistono difficoltà nei processi decisionali multilivello e di integrazione dell’azione dei capoluoghi (comuni holding) con gli altri comuni; sono desiderabili forme di governo urbano per le città non metropolitane. Dunque, le città metropolitane non sono l’esito di un progetto strategico di governo delle aree metropolitane.

Il problema delle risorse

A quasi due anni dal varo della legge n. 56 sono stati approvati gli statuti delle città metropolitane, molte regioni hanno emanato norme specifiche ed è in corso la costruzione dei piani strategici. Tuttavia, le città metropolitane non solo hanno subito i tagli ai trasferimenti come le province, ma sono state ancor più penalizzate dal mancato finanziamento delle funzioni fondamentali. E vale la pena di ricordare che le città si trasformano per politiche, progetti ed eventi che richiedono risorse finanziarie ulteriori rispetto alle funzioni, in particolare per investimenti nel settore infrastrutture e trasporti.
Ancora una volta il legislatore centrale interviene con provvedimenti uniformi prima sulle funzioni, poi (eventualmente) sulle risorse finanziarie. Per far partire i governi metropolitani serve una nuova finanza delle città metropolitane, che tenga conto del loro ruolo strategico nell’economia italiana.
Almeno su questo punto è necessario effettuare il tagliando alla legge n. 56.

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  1. bob

    …non sarebbe più corretto parlare di sfoltire i livelli di governo? Con una cura drastica? Invece che parlare di sostituzione?

  2. chiara fasce

    opinione di dipendente città metropolitana genova dal 2000. 1.occasione mancata dal punto di vista di efficacia ed efficienza 2.operazione mediatica sul piano della forma. in breve sarebbe stato molto più serio procedere ad una revisione puntuale delle funzioni, una per volta, xché dentro questi enti ci sono servizi i più disparati. nulla a che vedere con scuola e sanità, p.e. settori per i quali si possono contestare scelte e strategie di riforma, ideologicamente parlando, ma non l’oggetto del contendere. con le province no. è stato come aver comprato, con mutuo, l’arredamento della nostra prossima abitazione senza avere ancora neanche visto la casa che potremo comprare, e con ciò avendo esaurito pure le nostre disponibilità economiche …
    non è che le province avessero funzioni sconosciute dal punto di vista normativo: sia quelle proprie sia quelle delegate sono riconducibili a normative cogenti. poi, all’italiana, nelle maglie dei bilanci, i politici di turno facevano saltare fuori le loro prebende e allora con fondi destinati alla formazione, magari, un assessore finanziava un progetto agli amici suoi. perciò se non fosse stata una riforma di facciata da dare in pasto al popolo bue (in termini di spesa pubblica le province sono ed erano risibili), si sarebbe potuto entrare nel merito con normative di settore (diminuendo margini mangiatoia settori più creativi) x ridurre-razionalizzare livelli decisionali. solo alla fine si sarebbe potuto dire “chi fa cosa con che soldi”

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