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Quella percentuale che non fermerà il consumo di suolo

Il Parlamento si appresta a discutere un disegno di legge per limitare l’utilizzo di terreni agricoli per finalità diverse dalla coltivazione. Prevede meccanismi complessi e rischia di consolidare la mappa del consumo disegnata a livello locale. La riduzione in valore percentuale genera un paradosso.

Dal limite al consumo alla riduzione progressiva

Il progetto di legge sul contenimento del consumo del suolo presentato dal governo Letta agli inizi del 2014 (atto della Camera 2039/2014) ha ricevuto il via libera dalle commissioni Agricoltura e Bilancio; dopo il parere delle altre commissioni interessate, se ne inizierà a discutere in aula. Già il governo presieduto da Mario Monti aveva presentato un disegno di legge sullo stesso tema, decaduto con la fine della legislatura. Ora l’obiettivo è il medesimo: frenare l’edificazione di terreno agricolo e puntare in via prioritaria sulla riqualificazione e il riuso delle aree già edificate per soddisfare la domanda di spazi destinati ad accrescere l’offerta di case e capannoni e alla realizzazione di infrastrutture. I disegni di legge dei due governi hanno in comune anche la stessa architettura complicata e gerarchizzata delle procedure. I dubbi sull’efficacia dell’impostazione del primo si ripropongono, per certi versi amplificati, per quello ora all’esame del parlamento.
L’obiettivo di contenere l’uso di terreno agricolo per finalità diverse dalla produzione di derrate è oggi affidato all’emanazione di un decreto del ministero delle Politiche agricole (d’intesa con i ministeri dell’Ambiente, dei Beni culturali e delle Infrastrutture), con il quale determinare “la riduzione progressiva vincolante, in termini quantitativi, di consumo del suolo a livello nazionale” (articolo 3, comma 1).
Il progetto di legge del governo Monti si proponeva di stabilire “l’estensione massima di superficie agricola consumabile sul territorio nazionale”.
In entrambi i casi, il contenimento del consumo di suolo è un obiettivo che richiede tempo (d’altra parte il traguardo del consumo zero di suolo è posto dall’Unione Europea al 2050, una data lontana). Può esserci una differenza rilevante, però, tra porre un tetto al consumo di suolo vergine in un determinato arco temporale e stabilire di quanto il consumo deve ridursi. Nel secondo caso c’è il rischio che alla quantificazione si arrivi dando un peso maggiore al dato storico rispetto al fabbisogno di territorio agricolo per costruire case, capannoni e infrastrutture. Probabilmente, sul versante della comunicazione e del consenso politico, dire che il consumo di suolo si riduce di un X è più accattivante dell’affermare che, nello stesso arco di tempo, si consuma la quantità Y di nuovo suolo, anche se la prima procedura può portare a un consumo molto superiore della seconda.

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Una procedura macchinosa

Il meccanismo, oltre a essere particolarmente macchinoso, rischia anche di consolidare la mappa del consumo disegnata dalle scelte fatte finora a livello locale. La quantificazione della riduzione a livello nazionale deve essere fatta applicando criteri e modalità stabilite dalla conferenza unificata Stato-regioni-enti locali (o dalla presidenza del Consiglio, se la conferenza non adempie entro un termine stabilito). I fattori da considerare per il calcolo sono indicati dalla legge (stato della pianificazione, caratteristiche dei suoli, estensione e localizzazione delle aree agricole, tra l’altro). Non sarà agevole individuare i parametri per identificarli e il peso da attribuire a ognuno di essi. Il risultato al quale si perverrà dovrà essere distribuito (con deliberazione della conferenza unificata) tra le regioni, le quali, a loro volta, indicheranno ai comuni le modalità per concorrere all’obiettivo.

Percentuali e valore assoluto

Il calcolo di un valore assoluto darebbe una maggiore affidabilità alla previsione della riduzione del consumo di suolo a livello nazionale. Ma non è per niente agevole determinare quel valore e non è semplice ripartirlo a livello territoriale. È più probabile, perciò, che l’obiettivo sia perseguito stabilendo una percentuale nazionale di riduzione del consumo che i comuni dovranno applicare a quello registrato da ciascuno in un certo arco temporale precedente. È certamente la via più semplice da percorrere, anche se la quantificazione della riduzione del consumo a livello nazionale potrà essere fatta solo a posteriori, sommando i “risparmi” dei singoli comuni. Non è, però, il solo inconveniente al quale si va incontro.
La percentuale nazionale di riduzione dovrà essere verosimilmente applicata in modo uniforme in tutti i comuni. Il che creerà un paradosso: i comuni che in passato hanno consumato più suolo, saranno quelli che continueranno a consumerne di più e contemporaneamente a risparmiarne di più. Per illustrare il paradosso, supponiamo che si decida una riduzione del consumo di suolo del 10 per cento in un dato periodo; e che nei comuni A e B il consumo di suolo, nell’arco temporale preso a riferimento, sia stato rispettivamente di 50mila e 10mila metri quadrati. Nel comune A si risparmiano 5mila metri quadri di terreno agricolo ma si continuano a utilizzarne 45mila, mentre nel comune B i metri quadri sono rispettivamente mille e 9mila. La geografia del consumo muterà con lentezza. Di conseguenza, continueranno a registrarsi gli eventuali squilibri del passato tra domanda e offerta di nuovi spazi per l’edificazione.

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La buona edilizia inizia in comune

  1. Antonio Carbone

    Non solo! In base alla definizione contenuta nel testo, la «superficie agricola, naturale e seminaturale», corrisponderebbe con tutti i terreni qualificati come agricoli dagli strumenti urbanistici.
    Il fatto è che molti piani urbanistici (la maggior parte) identificano come agricole tutte quelle aree non diversamente qualificate, comprendendo in esse, pertanto, molta parte di territorio che per le sue caratteristiche potrebbe essere, di fatto, già non edificabile ne coltivabile. Anche questo può aprire un varco enorme all’uso “disinvolto” dei numeri e delle percentuali (sport diffusissimo nel nostro paese, forse più del calcio).
    Ps. Ho avuto l’occasione di evidenziare questa e altre criticità del testo in occasione di un incontro pubblico al senato al quale erano presenti molti senatori direttamente impegnati sul disegno di legge……… mi guardavano come un marziano!
    Forse mi sbagliavo: lo sport più diffuso in Italia sembra essere l’autorefenzialita’.

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