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Una crisi che si allunga sul futuro *

In Italia le conseguenze della crisi in termini di perdita di prodotto e di occupazione sono state molto pesanti. E senza ulteriori interventi, rischia di lasciare un segno per lungo tempo perché la crescita prevista non basterà a recuperare quanto finora perso. Un esercizio su due scenari.

Gli effetti sul capitale

La crisi internazionale, iniziata a fine 2007 negli Stati Uniti e propagatasi nel 2010 in Europa, ha causato ingenti perdite all’attività economica dei paesi europei. In particolare in Italia dove ben cinque dei sette anni che vanno dal 2008 al 2014 sono stati di recessione.
Le conseguenze in termini di perdita di prodotto e di occupazione sono state pesantissime. Secondo le ultime previsioni della Commissione europea nel 2017, a dieci anni dall’inizio della crisi, il Pil italiano sarà ancora del 5,7 per cento inferiore a quello del 2007.
La disponibilità di dati per un orizzonte di dieci anni (2008-2017) permette di effettuare un’analisi, benché caratterizzata da ipotesi semplificatrici, degli effetti di medio-lungo periodo della crisi. Più precisamente, la domanda a cui si intende rispondere è: quale sarà la perdita a livello di prodotto e di fattori produttivi che l’Italia avrà subito nel 2017 rispetto a una ipotesi in cui la crisi non si fosse verificata?
Lo scenario base, ovvero quello descritto nelle ultime previsioni della Commissione, viene qui confrontato con uno scenario alternativo in cui si ipotizza che la crisi non si sia verificata e una dinamica dell’economia italiana, dal 2008 in poi, pari a quella media registrata nel 2002-2007. In particolare, qui ci si sofferma sull’impatto della crisi sia sui fattori produttivi sia sul prodotto e in entrambi i casi sui valori effettivi e su quelli potenziali. L’analisi è svolta al di fuori dell’approccio della funzione di produzione utilizzato dalla Commissione che richiederebbe molte ulteriori ipotesi. I singoli fenomeni, quindi, verranno trattati disgiuntamente.
Tra il 2002 e il 2007 il tasso di crescita medio degli investimenti è stato circa del 2 per cento. Se lo si utilizza nello scenario alternativo per proiettare in avanti (con il metodo dell’inventario permanente) lo stock di capitale (la cui valutazione potenziale ed effettiva coincidono), si osserva che in assenza della crisi, il capitale sarebbe risultato superiore del 20 per cento rispetto a quanto la Commissione si attende per il 2017, mentre per gli investimenti l’incremento sarebbe stato del 61 per cento (figura 1).

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Occupazione e disoccupazione

La stessa analisi per il fattore lavoro necessita di una specificazione preliminare. A differenza del capitale che in linea teorica può espandersi indefinitamente, il fattore lavoro ha come limite la dinamica della popolazione attiva, nonché elementi frizionali del mercato del lavoro. Ciononostante, i risultati dello scenario alternativo (tasso di occupazione al 62 per cento) non presentano caratteristiche di straordinarietà in un’ottica internazionale.
Tra il 2002 e il 2007 l’occupazione effettiva è aumentata in media dell’1,2 per cento, mentre quella potenziale dello 0,9 per cento. Presi questi tassi come riferimento, si osserva che l’occupazione effettiva senza la crisi sarebbe stata superiore del 15 per cento di quella ora prevista per 2017 dalla Commissione, mentre l’occupazione potenziale sarebbe stata del 9 per cento superiore. In termini assoluti, le differenze sono di circa 3,8 e 2,3 milioni di occupati in più nello scenario senza crisi per l’occupazione effettiva e potenziale rispettivamente (figura 2). Se nello scenario alternativo si ipotizza un ritorno del tasso di disoccupazione pari a quello del 2007 (6,1 per cento), dei 3,8 milioni di occupati in più al 2017, 1,3 milioni sarebbero i disoccupati in meno e 2,5 milioni sarebbero di nuovi occupati netti.

Figura 2

Schermata 2016-02-05 alle 08.43.10

Infine il Pil, potenziale ed effettivo. Tra il 2002 e il 2007 entrambi sono cresciuti in media dell’1,1 per cento. In assenza della crisi e mantenendo la stessa dinamica, al 2017 il Pil effettivo sarebbe risultato superiore del 18 per cento rispetto a quanto oggi previsto per quell’anno, mentre il Pil potenziale sarebbe stato del 16 per cento superiore. In valori assoluti, si tratta di circa 290 miliardi di euro per il Pil effettivo e circa 240 miliardi per il Pil potenziale (figura 3).

Figura 3

Schermata 2016-02-05 alle 08.50.51

Una crescita troppo lenta

Come ultimo esercizio esemplificativo, proiettando in avanti i tassi di crescita attualmente previsti dalla Commissione per il 2017 del Pil potenziale ed effettivo (rispettivamente 0,07 per cento e 1,35 per cento), si può valutare in quanto tempo l’economia italiana tornerebbe sui livelli che si sarebbero registrati in assenza della crisi. Mentre per il Pil effettivo il recupero avverrebbe solo nel 2078, per quello potenziale il gap non verrebbe mai chiuso e anzi si amplierebbe. Con un tasso di crescita dell’1,5 per cento medio annuo dal 2018 in poi invece, il Pil potenziale incrocerebbe il sentiero pre-crisi solo nel 2053.
Da questa semplice analisi appare evidente che, se non in maniera permanente, la crisi rischia di lasciare un segno almeno per due generazioni poiché la crescita prevista per i prossimi due anni non basterà a recuperare quanto finora perso. Servono azioni più incisive per imprimere all’economia italiana un’accelerazione tale da modificare sensibilmente il sentiero di crescita dei prossimi decenni.

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* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire all’autore e non rispecchiano necessariamente la posizione dell’istituzione di appartenenza.

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  1. Non c’è alcuna allegria per troppo tempo quindi. Serve, ma non basta, un cambiamento sensibile e rapido degli stili di vita e consumo, che la crisi ci ha indotto a vivere. Azioni più incisiva si possono fare se tutti i soggetti dell’Arena politica nazionale ed UE, danno la stessa lettura della prospettiva qui esposta. Di conseguenza le risorse necessarie vanno reperite ladfove abbondano a ladfove di annidano molte situazioni di privilegio fiscale, sociale, sanitario, previdenziale, finanziario ed imprenditoriale. In assenza di ciò di testa la posizione nota delle vignette di Altan!

  2. Henri Schmit

    L’art. tocca il cuore del problema; ma la questione non è se la crisi non si fosse verificata, bensì se l’Italia con o senza crisi avesse fatto riforme serie. Il periodo di riferimento è fuorviante perché assume fantasia finanziaria italiana con tassi tedeschi. Alla fine del 2008 in una riunione di Assoimmobiliare un operatore estero faceva presente che i loro modelli prevedevano un caduta dei valori (immobiliari, più volatili, quindi un ottimo indicatore) tale che non sarebbero tornati ai livelli pre-crisi prima del 2014. Tutti (gli Italiani) intorno al tavolo ridevano. Oggi non ride più nessuno. Bisogna finalmente arrendersi alla realtà: il mondo economico (globale) è fondato sulla concorrenza fra prodotti, aziende e …. paesi. Spetta alla governance economica creare le condizioni per stimolare l’investimento (meglio: certi investimenti) attraverso la prevedibilità di ritorni competitivi con certezza giuridica, amministrativa e fiscale oltre ad altri fattori (geografici, storici, umani) in cui l’Italia spesso eccelle.Queste condizioni valgono sia per l’investimento domestico che per quello estero in Italia. Le multinazionali da anni lasciano la penisola; rimane poco oltre le catene alberghiere e i supermercati. Una politica fiscale demagogica che lancia caramelle alla domanda (all’elettorato) ha vanificato i pochi miglioramenti creati attraverso il jobs act. Se manca la testa, non si va da nessuna parte. Non è colpa dei limiti di bilancio, l’UE è una grande opportunità!

    • bob

      …vero quello che lei sostiene, dimentica però un “piccolo” particolare : l’ Italia sono circa 30 anni che non ha più un sistema-Paese. E quello che lei sostiene si affronta con un sistema integro e politici lungimiranti e non con 21 bande di “signorotti” che neanche le “caramelle” hanno distribuito . Un Paese serio e culturalmente adeguato non avrebbe permesso che attraverso la magistratura si annientasse una intera classe politica per sostituirla con miseri “masanielli”. Un Paese senza memoria è un Paese senza futuro

    • Aldo Mariconda

      Concordo totalmente con Henri Schmit. Mi chiedo, perché in Italia i politici non fatto le riforme serie e radicali necessarie alla competitività e allo sviluppo? Anche da prima della crisi, da circa 20 anni il ns. PIL è di circa un 1% inferiore alla media EU e di un 2% rispetto a quello dei Paesi più dinamici.
      Perché la Svezia dal ’90 al ’97 ha avuto il coraggio delle vere riforme? Perché, pur in tempi diversi, Margareth Thatcher in UK e Smith in Germania anche, affrontando come conseguenza la perdita del potere?
      Abbiamo bisogno di leaders, come lo sono stati De Gasperi, Adenauer, Schumann, non di piccoli uomini che guardano al complicato intreccio dei consensi e non hanno il coraggio di rompere certi equilibri!

    • Amegighi

      Sono perfettamente daccordo. L’idea e la progettualità a lungo termine (cioè un termine che coinvolge seriamente il ragionare sulle “strutture”) non fa parte attualmente nè dell’orizzonte governativo (statale e locale) o privato. Prendiamo la spesa per la Ricerca e Sviluppo. Analizzando i dati forniti ogni anno dalla National Science Fundation (principale ente di finanziamento della Ricerca Federale negli USA; nsf.gov), risulta che gli USA rappresentano, da soli, il 30% dei fondi mondiali per Ricerca e Sviluppo. I Paesi Asiatici (compresa India), un restante 30%; l’UE un 20%. La Germania un 8%. Non c’è dubbio che ciò corrisponda alla potenza economica di queste nazioni/regioni. UE ha spinto e spinge ad investire di più in Ricerca e Sviluppo. I Grant Europei dell’ ERC rappresentano un tentativo di unificazione, regolazione e centralizzazione del finanziamento europeo della ricerca per evitare doppioni e sprechi. In Italia remiamo contro corrente con un misero 1% del PIL in ricerca ed una spesa privata praticamente inesistente. Su questo il (anzi i) Governo (i) non fanno niente ormai da innumerevoli anni, lasciando un patrimonio umano di ricercatori agli altri paesi UE (libera circolazione di lavoratori, ragazzi…) e non spingendo per un reale ammodernamento e miglioramento tecnologico delle nostre imprese. Poi i nodi vengono al pettine e non si risolvono con la bacchetta magica. Mettere in piedi un laboratorio funzionante ed efficiente richiede anni.

  3. marcello

    Non entro nel merito dei numeri, ma sulle tendenze solo per dire che già nel 2010, molti economisti facevano notare che, ceteris paribus, sarebbero occorsi almeno 20 anni per tornare ai livelli di Pil del 2008. Certo poi c’erano gli apologeti dell’austerità o della vendita delle riserve auree, che oggi sono però tutti scomparsi, mi sembra. L’articolo mostra come dice da anni Krugman che esiste una differenza sostanziale tra tassi e valori assolluti, per cui la Spagna che nel 2015 è cresciuta del 3,2% è comunque a -16% rispetto al Pil del 2008. I problemi dell’industria italiana sono ben noti: dai manager (il 47% ha la licenza media!), la struttura societarie, il capitale, la dimensione, ecc. che rendono il ns valore aggiunto circa la metà di quello tedesco. Che fare? Solo gli investimenti pubblici possono riattivare la crecsita attraverso il moltiplicatore fiscale Come evitare sprechi e ineffciienze? La risposta è banale: investire in reti ed energia: Abbiamo interi territori che mancano di acqua potabile, abbiamo reti stradali fatiscenti, porti ridicoli, reti ITC preistoriche, ferrove locali da quarto mondo, tranvie urbane da ridere. Qui dove si mette mano non si sbaglia e gli sprechi possono essere resi minimi. C’è solo da lanciare il cuore oltre l’ostacolo di Bruxelles.

  4. Mario Rossi

    Diciamo che questi numeri li giochiamo al lotto! il se fosse di questo articolo non tiene conto del fatto che in tutti i paesi che ora si difendono sullo scenario mondiale sono state fatte riforme che hanno addirittura esclusa dalla politica chi le ha fatte e non dopo il 2008 ma decenni prima. In Italia va sempre bene tutto perchè per noi l’opportunità europea non è quella di crescere e svilupparsi ma quella di poter agganciare un treno che ti tirerà senza alcuno sforzo. Tutto ha funzionato fino a quando il mercato finanziario mondiale pompava liquidità a non finire poi dopo gli altri paesi si sono resi conto di avere 2 palle al piede: Grecia e Italia. E non è che ardono di slancio per portarsele dietro

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