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Se il pubblico impiego ha regole uguali al privato

Si estendono ai dipendenti pubblici gli effetti della riforma Fornero sull’articolo 18. Allora non resta che adottare una legge che modifichi il testo unico sul pubblico impiego. La questione si ripropone per le previsioni del Jobs act. Eventuali norme ad hoc e legittimità costituzionale.

Riforma Fornero e dipendenti pubblici

La sentenza della Cassazione del 26 novembre 2015, n. 24157, ha risolto nel modo più logico e scontato il problema dell’estensione al lavoro pubblico dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori come modificato dalla riforma Fornero: evidenziando che l’articolo 18 riformato si applica alla pubblica amministrazione.
La ragione è semplicissima e sta tutta nella previsione contenuta nell’articolo 51, comma 2, del testo unico sul lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (decreto legislativo 165/2001): “La legge 20 maggio 1970, n.300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti”.
Dunque, per espressa previsione di legge e con buona pace di qualsiasi interpretazione dottrinale o governativa, le modifiche allo Statuto dei lavoratori automaticamente si riverberano anche nell’ambito del lavoro pubblico privatizzato (con l’eccezione dei lavoratori non privatizzati, come docenti universitari, magistrati, prefetti, forze dell’ordine, militari).
Il problema, ora, si sposta su due fronti. Il primo riguarda le intenzioni del governo e del parlamento. Da mesi, anzi da anni, i vari governi che si sono succeduti dalla riforma Fornero a oggi hanno sostenuto che la riforma dell’articolo 18 non valesse per il lavoro pubblico. La Cassazione conferma l’erroneità di questa impostazione, sicché per dare corpo all’intenzione di non estendere ai dipendenti pubblici gli effetti della riforma non resta che adottare una legge che modifichi l’articolo 51, comma 2. E su questa linea pare essersi orientato il governo, che ha manifestato l’intenzione di proporre l’esclusione esplicita del lavoro pubblico dalla riforma dell’articolo 18 con un decreto apposito.

Le questioni aperte dal Jobs act

Il secondo fronte riguarda l’estensione al lavoro pubblico dell’ulteriore riforma al regime del licenziamento dei dipendenti pubblici operata con uno dei decreti attuativi del Jobs act, il decreto legislativo 23/2015.
Secondo un primo orientamento, il Jobs act non si estende al lavoro pubblico perché riguarda espressamente lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, una classificazione che non riguarda il lavoro pubblico. Si può, dunque, ricavare da tale classificazione una riserva di applicazione del nuovo regime di tutela dal licenziamento illegittimo al solo lavoro privato.
Tale tipo di interpretazione, tuttavia, può essere superata da una lettura più sostanziale. Nel lavoro pubblico non esistono, è vero, queste categorie di lavoratori, ma dall’esame delle declaratorie delle qualifiche e mansioni contenute nei vari contratti nazionali collettivi di lavoro è possibile reperire figure professionali del tutto assimilabili.
C’è, poi, un secondo elemento, sia formale sia sostanziale, rappresentato dal comma 3 del medesimo articolo 1 del decreto legislativo 23/2015, che estende la disciplina del Jobs act anche ai lavoratori alle dipendenze di aziende prima non soggette all’articolo 18.
Il quale articolo 18, tuttavia, per l’espressa previsione dell’articolo 51, comma 2, del testo unico alle dipendenze del lavoro pubblico si è sempre applicato alla Pa, a prescindere dal numero dei dipendenti.
Dunque, l’espresso richiamo dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori contenuto nel Jobs act rende evidente che è una modifica e integrazione implicita dell’articolo 18 stesso. Quindi, secondo l’interpretazione sostanziale, il decreto legislativo 23/2015 finirebbe comunque per rendersi operante nel lavoro pubblico.
Non si deve dimenticare che in termini generali il testo unico sul lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni dispone l’estensione delle norme contenute nelle leggi sul rapporto di lavoro subordinato nelle imprese che non siano espressamente derogate dalle regole speciali del pubblico impiego.
Il decreto legislativo 23/2015 è senza ombra di dubbio “legge sul rapporto di lavoro subordinato nell’impresa”, mentre nel testo unico non esiste alcuna disposizione “diversa” sulla tutela dei licenziamenti.
Il che, allo scopo di fugare ogni dubbio e il fondato rischio che in giurisprudenza emergano interpretazioni contrastanti come in dottrina, porta comunque alla necessità che governo e parlamento intervengano in modo chiaro ed espresso sul tema, decidendo quale posizione assumere.
Il problema ulteriore che si porrà, laddove governo e parlamento adottino iniziative normative finalizzate a escludere il lavoro pubblico dalle riforme del Jobs act, sarà quello della legittimità costituzionale di simili norme, potenzialmente lesive dei principi di uguaglianza.

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  1. Enrico

    Non capisco il problema di estendere il jobs act al pubblico, se ne possono beneficiare le imprese perchè non potrebbe beneficiarne il datore di lavoro Stato?
    Se è un beneficio per i lavoratori nel privato perchè non lo sarebbe per i lavoratori nel pubblico?

  2. Riccardo

    Spererei che anche i contributi previdenziali versati prima del 2011 possono essere anche ricongiunti con altri periodi, non come ora che si debbano pagare somme di parecchie decine di migliaia di euro per poter riavere ciò che è stato versato. Inoltre, se meritevole, anche un adeguato stipendio, non i 900 euro di adesso e sperare che non ti capiti un problema serio. Noi dipendenti pubblici saremmo ben contenti che le stesse regole del privato venissero applicate anche da noi. Purtroppo non succederà mai, perchè un servizio pubblico efficiente creerebbe parecchi problemi al servizio privato. Esempio, se la sanità funzionasse in modo eccellente? Cosa succederebbero alle bustarelle o agli ospedali privati? Altro esempio, lo sapevate che lo stato versa alle scuole paritarie qualcosa come 490 € ad alunno mentre nelle scuole pubbliche la cifra si ferma a circa 30€? Ci avete mai pensato a questa disparità?

    • Enrico

      Salve Riccardo, la sua accettazione di allineamento del pubblico al privato le fa onore. Purtroppo penso che sia in netta minoranza, anche a causa di certi approcci sindacali (ricordo un segretario nazionAle che diceva “licenziare nel pubblico? Non esiste!”). Detto questo, l’allineamento non sarebbe indolore in quanto bisognerebbe accettare in toto il sistema privato, la cui efficienza deriva da obbiettivi chiari e committente a raggiungerli: esempio, se le pratiche sono da smaltire entro lunedì piuttosto si va il sabato a lavorare e “si tira” fino alle 20. Questo unito al fatto di cercarsi un altro lavoro se non si è soddisfatti della paga o delle prospettive di carriera, nel tempo, portano magari ad avere una paga più alta (ma sempre acquisendo nuove responsabilita). Unisca il tutto al fatto che se un ufficio è in esubero semplicemente si mettono in mobilità le persone e il gioco è fatto. Veramente pensa che i dipendenti pubblici siano pronti a diventare privati? Le esternalizzazioni in fondo sono sempre state contestate.
      PS = straordinari ovviamente non pagati, al massimo a recupero (ma se si lavora fino a tardi probabilmente non c’è tempo per il recupero….)

      • Riccardo

        Lavoro da 20 anni nel pubblico impiego e di ore di straordinario ne ho fatte e anche parecchie (compreso il giorno di Natale e non perché ero di turno), il problema principale è che il primo a volere che le cose non funzionino è il nostro datore di lavoro, ovvero lo Stato. Le faccio un esempio pratico, lavoro in una scuola e stiamo affrontando il problema della dematerializzazione dei documenti e come prevede la legge dovremmo fare tutto via internet e con strumenti idonei tipo scanner documentali ecc., bene, nella nostra scuola, un istituto comprensivo, internet funziona si e no per qualche ora durante la giornata. Abbiamo contattato diversi fornitori telefonici ma nessuno ci ha garantito una connessione perché il doppino di rame e le centrali sono già sature oltreché obsolete. Abbiamo contattato anche gestori di connessioni WIMAX ma i ripetitori sono troppo distanti e la scuola è immersa in un piccolo boschetto. La mia collega della didattica in questi giorni pubblica il materiale delle iscrizioni da casa. Inoltre, i collaboratori scolastici, sono molto spesso figure uniche per ogni plesso scolastico e quindi con scuole aperte anche i pomeriggi le ore di straordinario fioccano. Quello che chiediamo al nostro datore di lavoro è impegno e serietà e mi creda, nel mondo scolastico tutto ciò non avviene e molto spesso è lasciato alla buona volontà dei dipendenti, immagino che non è facile crederlo, ma è così. PS. faccia una ricerca su internet sui finanziamenti sulle private…

        • Enrico

          Scusi il ritardo nella risposta. Premetto che non nulla contro i dipendenti pubblici e sono cosciente dell’impegno di alcuni, a volte di molti, per far funzionare le cose.
          Quello che sostengo è che non c’è solo una mancanza di conoscenza del pubblico impiego da parte dei lavoratori privati, ma anche una mancanza di conoscenza dei lavoratori pubblici nei confronti del lavoro privato.
          Si citano sempre i lati positivi del lavoro privato, come se fosse possibile ereditare solo quelli.
          Ad esempio il caso degli straordinari: è vero che tenendo aperte le scuole nel pomeriggio gli straordinari fioccano, ma nel privato si lavora 40 ore settimanali da contratto (quindi il minimo) e gli straordinari partono dalla 41 ora (non considererei i part-time).
          L’equiparazione salariale quindi va fatta a tutto-tondo, considerando la paga oraria e non mensile.

  3. Roberto

    Domanda: avere regole diverse per i dipendenti pubblici e quelli privati non è anticostituzionale? Non siamo tutti uguali di fronte alla legge?

  4. Claudio Rossi

    Non capisco i dubbi sulla legittimità di norme “ad hoc” per il pubblico impiego. Perché fattispecie diverse devono essere normate dalle stesse regole?
    Il principio di uguaglianza si viola se si disciplinano in modo uguale casi diversi. Al lavoro pubblico si accede in condizioni di uguaglianza (art. 51 cost.) e mediante concorso (art. 97).
    Al lavoro privato no. Se mi si raccomanda per entrare in un posto pubblico si commette reato. La raccomandazione per accedere in una impresa privata è neutra.
    I funzionari pubblici rispondono ex art. 28 Cost. e sono sottoposti ai doveri ex art. 54. Principi che non valgono per i privati.
    Il l. pubblico è soggetto a rigorose norme su incompatibilità e cumulo di impieghi (art. 53 TUPI e D.lgs. 39/2013). Il privato è soggetto all’obbligo di fedeltà (art. 2105 cc) ma è cosa diversa.
    Al l. pubblico la retribuzione è determinata. Il privato può conseguire, oltre i minimi salariali, compensi liberamente erogati dal datore di lavoro, anche in forma di partecipazione agli utili ed anche in forma differenziata rispetto agli altri dipendenti della stessa azienda.
    Nel l. pubblico non esiste più la carriera e sono vietate promozioni discrezionali.
    Il privato, anche su ciò, non ha vincoli.
    I l. pubblico risponde del danno arrecato all’ente di appartenenza davanti ad una giurisdizione speciale (Corte dei Conti)…
    Risponde sul piano penale di condotte che per il privato non rilevano o sono diversamente considerate dalla legge.
    Più diversi di così!

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